CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 ottobre 2018, n. 26582
Tributi locali – ICI – Accertamento – Immobili – Catasto edilizio urbano – Requisito dell’abitabilità
Ragioni della decisione
La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett, e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016, osserva quanto segue;
Con sentenza n. 1754/35/2016, depositata il 5 aprile 2016, non notificata, la CTR del Lazio rigettò gli appelli, separatamente proposti e quindi riuniti ex art. 335 c.p.c., da Roma Capitale nei confronti di E.S.T. S.r.l. e dalla società nei confronti dell’ente locale, relativamente alle statuizioni in cui erano rimasti reciprocamente soccombenti, avverso la stessa sentenza di primo grado della CTP di Roma, che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso avvisi di accertamento per ICI relativi alle annualità 2006, 2007 e 2008, limitatamente all’irrogazione delle sanzioni.
La CTR ha ritenuto che la disapplicazione delle sanzioni trovasse giustificazione nella sussistenza di obiettive oscillazioni ed incertezze interpretative nel triennio in contestazione, che sarebbero state risolte solo dalla richiamata pronuncia di questa Corte, Cass. sez. 5, 10 ottobre 2008, n. 24924, che aveva chiarito che la registrazione all’ufficio del catasto del fabbricato, anche quando si tratti di immobili di “nuova costruzione” è condizione sufficiente perché si realizzi il suo assoggettamento all’ICI, indipendentemente dal requisito di abitabilità.
Avverso la sentenza della CTR il Comune di Roma Capitale ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo.
La società intimata non ha svolto difese.
1. Con l’unico motivo l’Amministrazione comunale ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 1, del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 e dell’art. 8 del d. lgs. n. 546/1992 e degli artt. 1 e 2 del d. lgs. n. 504/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la decisione impugnata ha confermato la statuizione di primo grado, che aveva annullato l’atto impositivo limitatamente all’irrogazione delle sanzioni per omesso degli importi dovuti a titolo di ICI in relazione ad alcuni fabbricati di un complesso edilizio edificato su area di proprietà della società e già accatastato.
1.1. Il motivo è manifestamente fondato.
Questa Corte (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 23 novembre 2016, n. 23845; Cass. su,. 5, 24 giugno 2015, n. 13076), ha chiarito che, in tema di responsabilità amministrativa tributaria, l’incertezza normativa oggettiva, che giustifichi l’esenzione del contribuente da detta responsabilità, ai sensi dell’art. 10, comma 3, 1. n. 212/2000, 6 del d.lgs. n. 472/1997 e 8 del d. lgs. n. 546/1992, richiede l’inevitabilità di detta condizione, tale da consistere in un’oggettiva impossibilità, accertabile esclusivamente dal giudice, d’individuare la norma giuridica in cui sussumere il caso di specie.
1.2. Nella fattispecie in esame, incontroverso in fatto che si trattava di fabbricati già accatastati, la ricognizione del presupposto impositivo ai fini ICI era agevolmente individuabile nel combinato disposto dell’art. 1 comma 2 in relazione all’art. 2, comma 1, lett. a), primo periodo, del d. lgs. n. 546/1992, secondo cui «per fabbricato si intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano».
1.3 Né appare idoneo ad integrare il requisito della situazione d’incertezza normativa oggettiva il mero richiamo al citato intervento nomofilattico della Corte in materia a conclusione del triennio in contestazione, atteso che nella fattispecie si era in presenza, per ciascuna delle annualità in contestazione, di totale omesso versamento dell’ICI dovuta in relazione al complesso edilizio per cui è causa, ultimato, sebbene privo del requisito dell’abitabilità.
Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata — fermo restando il giudicato interno formatosi per omessa impugnazione da parte della società della pronuncia nella parte ad essa sfavorevole — va cassata nella parte in cui ha disposto la disapplicazione delle sanzioni tributarie irrogate con l’atto impositivo.
2. Non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere, la causa può dunque essere decisa nel merito, ex art. 384, comma 2, ultima parte c.p.c., con il rigetto integrale dell’originario ricorso della società.
Tenuto conto dell’andamento del giudizio, possono essere interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito, ponendosi, secondo soccombenza, nella misura così come liquidata in dispositivo, le spese del giudizio di legittimità a carico dell’intimata.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza nei termini di cui in motivazione e, decidendo la causa nel merito, rigetta integralmente l’originario ricorso della contribuente.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito e condanna la società intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti dell’Amministrazione ricorrente, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge se dovuti.
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