CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 ottobre 2018, n. 26658
Attività di gestione di impianti sportivi – Iscrizione alla gestione commercianti – Accertamento ispettivo – Requisiti di abitualità e prevalenza dell’attività commerciale
Rilevato che
Il Tribunale di Parma dichiarava illegittima l’iscrizione a ruolo ed annullava le cartelle di pagamento opposte da L.A., L.F. e S.M. (componenti del Consiglio di amministrazione della S. s.r.l., esercente attività di gestione di impianti sportivi e di esercizio di attività sportive), come tali iscritti alla Gestione Separata di cui all’art. 2, comma 26, legge n. 335/95), avente ad oggetto la somma da corrispondere all’I.N.P.S. a titolo di omessi contributi e relative sanzioni per effetto dell’iscrizione d’ufficio alla Gestione Commercianti;
la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 211/2013 del 2/4/2013 confermava la decisione di primo grado, sul rilievo che, pur dovendosi aderire alla tesi della legittimità della doppia iscrizione tuttavia non era riscontrabile, ai fini della iscrizione alla Gestione Commercianti, la sussistenza dei requisiti specificamente previsti dall’art. 1, comma 203, legge n. 662/96, posto che gli elementi probatori raccolti nel corso dell’accertamento ispettivo ed i dati forniti dall’I.N.P.S., onerato della relativa prova, non avevano rivelato lo svolgimento da parte degli opponenti di attività sconfinante rispetto a quella di amministratore e la sussistenza dei requisiti di abitualità e prevalenza dell’attività commerciale che si assumeva svolta dal predetto;
per la cassazione di tale decisione ricorre l’I.N.P.S., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.p.A., affidando l’impugnazione ad unico motivo; resiste, con controricorso, L.F., L.A. e S.M. e formulano ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi.
Considerato che
l’Istituto denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 203 e 208, della legge 662/96, come interpretato dall’art. 12, comma 11, del D.L. 78/2010, conv. dalla legge n. 122/2010, in relazione all’art. 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché erronea motivazione, assumendo che le norme richiamate della legge n. 662/96 avevano inteso estendere l’obbligo di iscrizione a soggetti, tra i quali i soci di società a responsabilità limitata, prima esclusi in ragione della limitazione della loro responsabilità, e che il requisito della personale partecipazione al lavoro aziendale con abitualità e prevalenza, previsto ai fini dell’iscrizione alla gestione commercianti, doveva estendersi a quelle prestazioni di lavoro relative alle attività connesse, grazie alle quali il servizio veniva reso;
in sostanza non solo l’espletamento di un’attività esecutiva era rilevante ai detti fini, ma anche quella organizzativa e direttiva di natura intellettuale, idonea a rendere effettivo l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti, indipendentemente dal giudizio di prevalenza che rileva in un ambito di gestioni speciali, nel cui interno possano configurarsi fattispecie unitarie ma caratterizzate dalla compresenza di elementi cd. “misti” e dalla unicità del reddito; il ricorso, in piena continuità con precedente specifico relativo al socio L.A. costituito da Cass. n. 3989 del 2016, è infondato alla luce dei precedenti di questa Corte del 5 marzo 2013, n. 5444 e del 26 marzo 2015, n. 6192 pure resi in casi del tutto analoghi;
per effetto dell’ emanazione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, art. 1, comma 1, norma dichiaratamente di interpretazione autentica, non opera più proprio alla stregua della norma interpretativa (ritenuta conforme a Costituzione dalla sentenza n. 15 del 2012 della Corte costituzionale), la regola della attività prevalente e quindi, in via generale, vale l’obbligo di iscrizione e contribuzione sia alla gestione commercianti, sia alla gestione separata; il presupposto per la iscrizione alla gestione commercianti è che si eserciti effettivamente l’attività commerciale e quindi vi siano le condizioni cui la legge subordina il relativo obbligo, infatti la disciplina previgente è, infatti, stata modificata dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203 che così ha sostituito la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1: <L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonché per i soci di società a responsabilità limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli>;
la iscrizione alla gestione commercianti è, quindi, obbligatoria ove si realizzino congiuntamente la titolarità o gestione di imprese organizzate e dirette in prevalenza con il lavoro proprio e dei propri familiari; la piena responsabilità ed i rischi di gestione (unica eccezione proprio per i soci di s.r.l.); la partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; il possesso, ove richiesto da norme e regolamenti per l’esercizio dell’attività propria, di licenze e qualifiche professionali, con la conseguenza che l’esercizio di un’attività di impresa commerciale, artigiana o agricola, la quale di per sé comporti l’obbligo dell’iscrizione alla relativa gestione assicurativa presso l’I.N.P.S., non fa scattare il criterio dell’unificazione della posizione previdenziale in un’unica gestione secondo l’individuazione dell’attività “prevalente”, rimanendo attività distinte e (sotto questo profilo) autonome, sicché parimenti distinto ed autonomo resta l’obbligo assicurativo nella rispettiva gestione assicurativa, deve coerentemente ritenersi che ognuna delle due distinte attività debba essere valutata, ai fini della sussistenza dell’obbligo contributivo, secondo gli ordinari criteri; in, particolare, in tema di iscrizione alla gestione commercianti, i requisiti congiunti di abitualità e prevalenza dell’attività del socio di s.r.l. sono da riferire all’attività lavorativa espletata dal soggetto stesso in seno all’impresa, al netto dell’attività eventualmente esercitata in quanto amministratore, indipendentemente dal fatto che il suo apporto sia prevalente rispetto agli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali); tale accezione del requisito della “prevalenza” meglio si attaglia alla lettera dell’art. 1, comma 203, della I. n. 662 del 1996, volto a valorizzare l’elemento del lavoro personale, ed alla sua “ratio”, includendo nell’area di applicazione della norma tutti i casi in cui l’attività del socio, ancorché abituale e prevalente rispetto al resto delle sue attività, non possa essere ritenuta preponderante rispetto agli altri fattori produttivi dell’impresa (Cass. n. 4440 del 2017);
ai fini di tale ulteriore obbligo contributivo verso la gestione commercianti occorre, dunque, una “coesistenza” di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria e la verifica della sussistenza di requisiti di legge per tale “coesistenza” è compito del giudice di merito e deve essere effettuata in modo puntuale e rigoroso, indispensabile essendo che l’onere probatorio (il quale, secondo le ordinarie regole, grava sull’ente previdenziale, tenuto a provare i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo – cfr. ex multis Cass. 20 aprile 2002, n. 5763; Cass. 6 novembre 2009, n. 23600) venga compiutamente assolto, potendo assumere rilevanza, ai fini di tale valutazione e, quindi, della prova del personale apporto all’attività di impresa, con diretta ed abituale ingerenza dell’amministratore nel ciclo produttivo della stessa, elementi quali la complessità o meno dell’impresa, l’esistenza o meno di dipendenti e/o collaboratori, la loro qualifica e le loro mansioni (così, ad esempio, in presenza di una società di capitali con numerosi dipendenti ed un sistema organizzato di controlli sul personale, la diretta partecipazione al lavoro aziendale dell’amministratore, ancorché pure socio, non beneficia di elementi presuntivi che diversamente possono sussistere quando si è in presenza di una società con due soli soci, di cui uno amministratore, e senza dipendenti – si veda, per una ipotesi di questo secondo tipo, Cass. 11 luglio 2012, n. 11685;
nella specie, il decisum della Corte territoriale, incentrato sullo svolgimento da parte di ciascuno degli attuali controricorrenti della sola attività di amministratore, con un apporto operativo all’attività materiale ed esecutiva della società (svolta stabilmente attraverso la collaborazione di numerose persone: “dipendenti, collaboratori autonomi o a progetto, incaricati dei corsi di fitness, nuoto, aerobica, spinning nonché della reception e della campagna abbonamenti”) e di certo non prevalente rispetto agli altri fattori produttivi, non è stato validamente infirmato dalla parte ricorrente e dal mezzo d’impugnazione articolato;
né, di per sé, la qualifica di socio di una società di capitali (con responsabilità limitata al capitale sottoscritto e con partecipazione alla realizzazione dello scopo sociale esclusivamente tramite il conferimento di tale capitale) può essere significativa dell’esercizio di diretta attività commerciale nell’azienda; il ricorso va dunque rigettato con assorbimento del ricorso incidentale condizionato; le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo; si deve dare atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002 si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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