CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 ottobre 2019, n. 26983
Tributi – IVA – Fattura riferita ad operazioni inesistenti – Obbligo di versamento dell’imposta – Esclusione detraibilità per l’acquirente o committente – Variazione Iva ex art. 26 del DPR n. 633 del 1972 – Esclusione
Rilevato che
l’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva accolto l’appello proposto dalla società S. S.r.l. avverso la sentenza n. 2175/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma in rigetto del ricorso proposto avverso avvisi di accertamento IVA, IRES, IRAP 2008 per mancata presentazione della dichiarazione dei redditi 2008, accertamento di maggiori ricavi non dichiarati e non assoggettati ad IVA ed operazioni soggettivamente inesistenti;
la contribuente resiste con controricorso e deposita memoria.
Considerato che
1.1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. denunciando, in rubrica, <<violazione dell’art. 21 comma 7 e falsa applicazione dell’art. 19 DPR 633/72>> per avere la CTR erroneamente annullato la ripresa a tassazione relativa ad IVA non versata con riguardo alle fatture emesse dalla contribuente in favore della M.G.T. S.r.L., sottese ad operazioni soggettivamente inesistenti, sull’assunto che l’Ufficio non avesse provato la consapevole partecipazione della società contribuente al meccanismo fraudolento, lamentando l’Agenzia che nella specie non si verteva in ipotesi di detrazione su fatture passive;
1.3 la censura è fondata sul rilievo che la disciplina di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 – a norma del quale <<se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relativi sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura>> – costituisce attuazione dell’art. 21, paragrafo 1, lett. c), della sesta direttiva 77/388/CEE, come modificata dalla direttiva 91/680/CEE del Consiglio, del 16 dicembre 1991 – al quale è subentrato l’articolo 203 della direttiva CE 2006/112 -, a cui tenore chiunque indichi l’IVA in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta;
1.4. in particolare, tale soggetto è debitore dell’IVA indicata in una fattura indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta ad IVA (v. Corte giust. 18 giugno 2009, Stadeco, C- 566/07, Racc. pag. 1-5295, punto 26; Corte di giustizia 31 gennaio 2013, C-643/11, LVK-56 EOOD, punti 53-56; Corte giustizia 31 gennaio 2013, C- 642/11, Stroy trans EOOD, punto 44) e la stessa giurisprudenza della Corte Europea è ferma nel sottolineare che il diritto comunitario non impedisce agli Stati membri di ritenere la redazione di fatture fittizie che indicano indebitamente un’imposta sul valore aggiunto come un tentativo di frode fiscale e di applicare, in tal caso, le ammende o sanzioni pecuniarie previste dal loro diritto nazionale – sent. Schmeink, cit., p.62 -;
1.5. in sintonia con i principi sopra esposti, questa Corte ha avuto modo di affermare che l’art. 21, comma 7 cit. va interpretato nel senso che il corrispondente tributo viene, in realtà, ad essere considerato <<fuori conto>, e la relativa obbligazione, conseguentemente, <<isolata>> da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione (tra IVA <<a vallo > ed IVA <<a monte>>) che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 DPR citato; e ciò anche perché l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata come delitto (cfr. Cass. nn. 12995/2014, 14337/2002, 7289/2001);
1.6. si è ancora ritenuto che l’emittente di fatture fittizie non può giovarsi dell’emissione di una nota di credito per evitare il pagamento dell’IVA indebitamente fatturata perché <<in tema di IVA, la speciale procedura di variazione prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, presuppone necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perché venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel secondo comma della norma stessa, sia una operazione vera e reale e non già del tutto inesistente. Ciò proprio in forza dell’art. 21, comma 7 cit. che, da un lato incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità e, dall’altro, incide indirettamente, in combinato disposto con l’art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, dello stesso D.P.R., anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioè dell’acquisto (o dell’importazione) di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione>> (cfr. Cass. n. 12353/2005; cfr., pure, sul versante penale, Cass. n. 33891/2006, secondo la quale ai fini dell’integrazione del delitto di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8, non è richiesto che le fatture per operazioni inesistenti vengano utilizzate nelle dichiarazioni fiscali dei soggetti destinatari);
1.7. se la fattura si riferisce a un’operazione inesistente, non è consentita, quindi la variazione in diminuzione; conseguentemente il cedente o falso prestatore deve sempre versare l’imposta esposta in fattura, mentre l’acquirente o il committente non può in alcun caso portare in detrazione l’Iva per assenza del suo presupposto, ossia l’acquisto di beni o servizi acquistati nell’esercizio d’impresa, arte o professione (cfr. Cass. n. 12353/2005);
1.8. nella specie, la sentenza impugnata non si è conformata ai principi sopra esposti, non avendo in alcun modo valorizzato, con riguardo al contestato <<omesso versamento dell’IVA>> ed ai fini della configurabilità del presupposto che determina l’insorgenza della pretesa impositiva correlata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’emissione delle fatture con la consegna al destinatario, avendo piuttosto fatto riferimento al distinto regime relativo al diritto a detrazione Iva per fatture ricevute relative ad operazioni soggettivamente inesistenti ed al mancato assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’Ufficio circa la consapevolezza, da parte del contribuente – acquirente dei beni o dei servizi-, di partecipare ad una operazione fraudolenta posta in essere da altri soggetti;
2.1. va accolto anche il secondo motivo di ricorso, da riqualificare ex art. 360 n. 5 c.p.c. secondo l’effettivo contenuto dello stesso (cfr. Cass. nn. 4036/2014, 25044/2013) relativamente al vizio motivazionale della sentenza impugnata in merito alla prova dello stato soggettivo di consapevolezza del contribuente di partecipare ad un meccanismo fraudolento;
2.2. la CTR ha infatti escluso la partecipazione della società contribuente alla frode fiscale ritenendo, immotivatamente, insufficiente la dichiarazione dell’amministratore della società, come riportata nel p.v.c., ritualmente trascritto, in parte qua, nel ricorso;
3. per le considerazioni testé esposte, va accolto il ricorso e disposta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese di questo grado, alla CTR del Lazio in diversa composizione.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di pronunciare anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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