CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 ottobre 2020, n. 23058
Pensione di reversibilità – Figlia maggiorenne totalmente inabile – Requisito della cd. “vivenza a carico” – Accertamento del requisito di non autosufficienza economica – Soli redditi assoggettati ad Irpef
Rilevato che
Con sentenza del 19.7.2018, la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’impugnazione di E.A. e confermato la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti dell’Inps, di riconoscimento della reversibilità della pensione goduta dal defunto genitore V.A., quale figlia maggiorenne totalmente inabile;
a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha posto l’insussistenza del requisito della vivenza a carico dell’ascendente alla data del decesso; a tale riguardo, ha ritenuto decisivo il reddito (della ricorrente-appellante) certificato dall’Agenzia delle Entrate in misura di euro 9.495,00, per l’anno 2009, e in misura di euro 8.946,00, per l’anno 2010;
avverso la sentenza, ha proposto ricorso E.A., articolato in due motivi, cui ha resistito l’Inps con controricorso;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – la violazione o la falsa applicazione dell’art. 13 della legge nr. 218 del 1952, nel testo sostituito dalla legge nr. 903 del 1965, art. 22;
parte istante ha sostenuto la violazione del criterio di valutazione della vivenza a carico del genitore, come indicato dall’Inps con circolare nr. 185 del 2015 (di conferma della delibera 31 ottobre 2000, nr. 478) e recepito da questa Corte nella sentenza nr. 14996/2007, secondo cui, ai fini dell’accertamento del requisito di non autosufficienza economica per il riconoscimento del diritto a pensione di reversibilità nei confronti degli invalidi civili totali, il limite di reddito è quello stabilito dalla L. 29 febbraio 1980, nr. 33, art. 14 septies (recte: dall’art. 14 septies del D.L. nr. 663 del 1979, convertito con modificazioni in legge nr. 33 del 1980, n. 33), considerando i soli redditi assoggettati ad Irpef;
con il secondo motivo di ricorso la A. ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – I’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale completamente obliterato l’accertamento del requisito di inabilità;
è fondato il primo motivo;
l’art. 13 della legge nr. 218 del 1952, nel testo sostituito dall’art. 22 della legge nr. 903 del 1965, per effetto del rinvio operato al R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, stabilisce che, ai fini del diritto alla pensione ai superstiti, «i figli in età superiore ai 18 anni e inabili al lavoro [… ] si considerano a carico dell’assicurato o del pensionato se questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa»;
tale requisito, della cd. «vivenza a carico», è stato interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che il contributo economico continuativo, del titolare della pensione, al mantenimento dell’inabile, deve avere avuto un ruolo non necessariamente esclusivo e totale ma concorrente in misura rilevante, decisiva e, comunque, prevalente (Cass. nr. 15440 del 2004; Cass. nr. 14346 del 2016) al sostentamento del discendente;
in particolare, secondo Cass. nr. 2630 del 2008, la nozione di vivenza a carico è definita dal D.P.R. 30 giugno 1965, nr. 1124, art. 106 (T.U.), sia pure riferita alla diversa posizione degli ascendenti e dei collaterali, nei seguenti termini: «Agli effetti dell’art. 85, la vivenza a carico è provata quando risulti che gli ascendenti si trovino senza mezzi di sussistenza autonomi sufficienti ed al mantenimento di essi concorreva in modo efficiente il defunto»;
la disposizione indica due presupposti (assenza di mezzi di sussistenza autonomi e mantenimento da parte del de cuius) necessari «come due facce dello stesso fenomeno» (Cass. nr. 18520 del 2006);
in relazione al primo dei due requisiti (insussistenza di mezzi sufficienti), Cass. nr. 14996 del 2007 (richiamata di recente da Cass. nn. 19555 e 32286 del 2019), ha osservato come «ragioni di certezza giuridica, di parità di trattamento, di tutela di valori costituzionalmente protetti (artt. 3 e 38 Cost.) impongono criteri quantitativi certi che assicurino eguale trattamento ai superstiti inabili, quali si desumono dalla Delib. dell’istituto previdenziale n. 478 del 2000 […]» sicché devono «considerar(si) a carico (per i decessi successivi al 31/10/2000) i figli maggiorenni inabili che hanno un reddito non superiore a quello richiesto dalla legge per il diritto alla pensione di invalido civile totale»;
a tali principi occorre, in questa sede, assicurare continuità; nella fattispecie di causa, la Corte territoriale ha ritenuto integrata la presunzione di «non vivenza a carico» sulla base del requisito reddituale, così che ha pretermesso ogni ulteriore verifica;
in altre parole, ha ritenuto di inferire l’insussistenza del requisito di insufficienza economica automaticamente dalla presenza di redditi, rispettivamente di Euro 9.495,00, per l’anno 2009, e di Euro 8.946,0, per l’anno 2010. In tal modo, però, i giudici di merito non hanno considerato che, per il 2009, il limite di reddito per beneficiare della pensione di inabilità era pari a Euro 14.886,28 mentre, per il 2010, era pari ad Euro 15.154,24;
i redditi accertati, ex se non ostativi al riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità, imponevano alla Corte di appello di procedere agli ulteriori e doversi accertamenti per la corretta applicazione della normativa di riferimento: da un lato, alla verifica dell’effettivo mantenimento, da parte del genitore, della figlia non economicamente autosufficiente, al momento del decesso, dall’altro, in caso di esito positivo del primo accertamento, all’esame del requisito sanitario;
pertanto, in accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo motivo (che afferisce al mancato accertamento della condizione sanitaria), la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, in applicazione dei principi esposti, procederà ai necessari accertamenti di fatto;
alla Corte del rinvio è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
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