CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 ottobre 2021, n. 29548

Tributi – Accertamento – Società estinta – Costi fittizi – Utili sociali distribuiti ai soci in fase di liquidazione della società – Responsabilità dell’ex socio – Responsabilità dell’ex liquidatore

Fatti e ragioni della decisione

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della C.T.R. dell’Abruzzo, Sezione distaccata di Pescara che, in controversia promossa da parte di J. D. e D. M., rispettivamente ex socio ed ex liquidatore della G.O. s.r.l. (società cancellata dal registro delle imprese il 25 marzo 2010), sull’impugnazione di avviso di accertamento per Ires e Irap per l’anno 2007, aveva respinto l’appello dell’Ufficio, confermando la sentenza di primo grado che, in accoglimento parziale del ricorso, aveva riconosciuto la responsabilità nei soli confronti della J..

La CTR escluse la responsabilità solidale dell’ex liquidatore della società per i debiti sociali, in quanto le violazioni contabili attribuite alla società si riferivano a periodi  precedenti alla nomina del liquidatore, il quale doveva ritenersi estraneo ai fatti fondativi dell’accertamento. Nondimeno, la CTR riteneva legittima l’applicazione del raddoppio dei termini per l’accertamento spiccato nei confronti della J., nonché la tempestività e legittimità dell’attività accertativa, che aveva condotto alla ripresa ad imposizione degli utili sociali distribuiti ai soci in fase di liquidazione della società,  riconoscendo la fittizietà dei costi per indagini di mercato e l’illegittimità della variazione in diminuzione.

Le parti intimate si sono costituite con controricorso; la J. ha altresì proposto ricorso incidentale, incentrato su sei censure, pure depositando memoria.

Con il secondo motivo di ricorso principale – che va esaminato con priorità per ragioni di ordine logico – si deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente, (artt. 132 c.p.c., 36 D. Lgs. n. 546/1992). Secondo l’Ufficio la CTR avrebbe rigettato l’appello motivando con argomentazioni del tutto inconferenti rispetto alle censure dedotte nell’appello.

Il motivo è inammissibile.

Giova ricordare che i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa. Invero, il ricorrente – sia incidentale che principale – ha l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il “devolutum” della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito in esame non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello, una tale modalità di formulazione del motivo rendendo impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione (Cass., Sez.VI, 5, n.1479/2018; Cass., Sez. I, n.10420/20).

Orbene, nel caso di specie il secondo motivo di ricorso risulta incompleto, avendo l’Ufficio omesso la trascrizione dei passi relativi ai motivi dedotti in appello e limitandosi a scrivere “…AB PG 24 dell’appello”. La incompletezza e l’illogicità del motivo non consente di comprendere la censura dedotta. Passando all’esame del primo motivo del ricorso principale, con lo stesso si deduce la violazione dell’ad. 36 D.P.R. n. 602/73 e dell’art. 2495 c.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c., che prevede un’obbligazione legale soggettiva che prescinde dal parametro della colpa. Secondo l’Ufficio la CTR avrebbe errato nel ritenere la liquidatrice non responsabile per l’obbligazione erariale, sebbene avesse fatto partecipare con il suo operato elementi passivi nella determinazione del risultato fiscale, e per aver assegnato ai soci il risultato della liquidazione.

Il motivo, in rito ammissibile non vedendosi in ipotesi di doppia conforme ma di verifica in ordine alla legittima applicazione del quadro normativo di riferimento rispetto alla ipotizzata responsabilità del liquidatore, è fondato.

Ed invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di liquidazione di società di capitali, la responsabilità verso i creditori sociali prevista dall’art. 2495 c.c. ha natura aquiliana, gravando sul creditore rimasto insoddisfatto di dedurre ed allegare che la fase di pagamento  dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto del principio della “par condicio creditorum”. In particolare, quanto alla dimostrazione della lesione patita, il medesimo creditore, qualora faccia valere la responsabilità “illimitata” del liquidatore, affermando di essere stato pretermesso nella detta fase a vantaggio di altri creditori, deve dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell’apertura della fase di liquidazione, e il conseguente danno determinato dall’inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, astrattamente idoneo a provocarne la lesione, con riferimento alla natura del credito e al suo grado di priorità rispetto ad altri andati soddisfatti; grava, invece, sui liquidatore l’onere di dimostrare l’adempimento dell’obbligo di procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali e di averli pagati nel rispetto della “par condicio creditorum”, secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all’epoca esistenti – cfr. Cass. n. 521/2020-.

Pertanto, il conseguimento, nel bilancio finale di liquidazione, di un azzeramento della massa attiva non in grado di soddisfare un credito non appostato nel bilancio finale di liquidazione, ma, comunque, provato, quanto alla sua sussistenza, già nella fase di liquidazione, è fonte di responsabilità illimitata del liquidatore verso il creditore pretermesso, qualora sia allegato e dimostrato che la gestione operata dal liquidatore evidenzi l’esecuzione di pagamenti in spregio del principio della “par condicio creditorum”, applicato nel rispetto delle cause legittime di prelazione ex art. 2741, comma 2, c.c.; pertanto, ove il patrimonio si sia rivelato insufficiente per soddisfare alcuni creditori sociali, il liquidatore, per liberarsi dalla responsabilità su di lui gravante in riferimento al dovere di svolgere un’ordinata gestione liquidatoria, ha l’onere di allegare e dimostrare che l’intervenuto azzeramento della massa attiva tramite il soddisfacimento dei debiti sociali non è riferibile a una condotta assunta in danno del diritto del singolo creditore di ricevere uguale trattamento rispetto ad altri creditori, salve le cause legittime di prelazione (cfr. Cass. n.28401/2020).

Orbene, la circostanza che il liquidatore, in relazione alla natura professionale dell’attività svolta (commercialista) abbia redatto la dichiarazione oggetto del contenzioso non poteva che costituire autonomo rilievo all’operato del liquidatore, idoneo come tale ad essere valutato ai fini della di lui responsabilità.

In questa prospettiva, errata si palesa la decisione della CTR laddove per escludere la legittimità della pretesa si è limitata a valorizzare la circostanza che il liquidatore non avesse contezza degli errori di contabilizzazione che, per converso, rientravano certamente nei compiti riservati al sottoscrittore della dichiarazione dei redditi, appunto coincidente con la D..

Erra dunque in diritto la CTR nell’escludere la responsabilità del liquidatore che, al contrario, si palese in relazione agli obblighi sullo stesso incombenti nella gestione della fase liquidatoria che l’Ufficio aveva espressamente posto a base dell’accertamento.

Ne consegue l’irrilevanza dei diversi profili difensivi sollevati anche in memoria della D., tutti incentrati su distinti profili della responsabilità del liquidatore e che tralasciano, invece di considerare, il nucleo dell’accertamento riportato a pag.3 del ricorso per cassazione dell’Agenzia, esattamente corrispondenti alle ipotesi di responsabilità come sopra normativamente ricordata. Il primo motivo di ricorso principale va quindi accolto.

Passando all’esame del ricorso incidentale, col primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 37, comma 24 Di n. 223/2006, relativamente all’art. 360, primo comma, n.3) c.p.c. La sentenza impugnata sarebbe viziata nella parte in cui ha ritenuto sufficiente per l’applicazione del raddoppio dei termini di accertamento la sola circostanza della configurabilità in astratto di un reato fiscale, aldilà dell’esercizio effettivo dell’azione da parte della Procura, confermando la validità dell’accertamento tardivo notificato dall’Ufficio nei confronti della J. in assenza di tempestiva comunicazione della notizia di reato alle autorità competenti.

Il motivo è infondato.

Invero, giova rammentare che questa Corte è ferma nel ritenere che “In tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d. Igs. n. 218 del 1997 già notificati, dimostrando un “favor” del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112 Cost. “(Cass., Sez VI, 5, n.33793/2019).

Orbene, nel caso di specie la CTR ha fatto corretta applicazione dei superiori principi, laddove ha ritenuto legittima- in relazione alla pretesa ripresa a tassazione- anno 2007- l’applicazione del raddoppio dei termini di accertamento, atteso l’art. 43, comma 1 del D.P.R. n. 600/1973, come novellato dall’art. 37, comma 24 del D.l. n. 223/2006, prevede come condizione necessaria e sufficiente la configurabilità in astratto del reato tributario, a nulla rilevando il momento della presentazione della denuncia, peraltro  acquisita dalla procura della Repubblica in data 25 marzo 2013, momento comunque precedente alla data di notifica dell’atto impositivo alla contribuente – ritualmente notificato il 3 aprile 2013-.

Col secondo motivo la ricorrente incidentale deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 37, comma 24 del D.l. n. 223/2006 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c. La CTR avrebbe errato nel ritenere applicabile alla J., socia unica della G.O. s.r.I., il raddoppio dei termini per l’accertamento previsto ex art. 37, comma 24 del citato decreto, a ciò ostando il carattere personale della responsabilità penale ai sensi dell’art. 37 Cost. e la intrasmissibilità della responsabilità per fatti illeciti contestati alla società verificatisi nel 2007, anno in cui la ricorrente incidentale non rivestiva la qualità di socia unica della menzionata società.

Il motivo è infondato.

Invero, giova rammentare che è consolidato l’orientamento di questa Corte secondo cui “dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo” (Cass., Sez. VI, 5, n. 33552/2019; Cass., S.U., n. 6070/2013; Cass., n. 23269/2016; Cass., Sez VI, 5, n.33793/2019).

Orbene, nel caso di specie la CTR ha fatto corretta applicazione dei superiori principi, laddove ha ritenuto applicabile il raddoppio dei termini per la notifica dell’accertamento in esame nei confronti della J., atteso che il debito fiscale si era trasferito in capo a quest’ultima in qualità di socia unica a causa della estinzione della società G.O. s.r.l. e della liquidazione operata dal liquidatore in suo favore- circostanza sottolineata dalla sentenza impugnata(pag.5 2^cpv)-, cancellata dal registro delle imprese in data 25.03.2010.

Col terzo motivo di ricorso incidentale si denuncia il travisamento dei fatti e della prova in relazione all’art.360, primo comma, n.3) c.p.c. La CTR avrebbe errato nel ritenere la fittizietà dei costi sostenuti dalla G.O. s.r.l. per il finanziamento delle ricerche di mercato commissionate alla M.R. LTD., sulla base della presupposta inesistenza della iscrizione della società commissionaria presso la Camera di Commercio della Bulgaria, omettendo la valutazione degli elementi probatori forniti dalla contribuente a dimostrazione dell’effettività delle operazioni relative alle fatture contestate.

Il motivo è inammissibile.

Invero, questa Corte (cfr. Cass. sez. 1, 25 maggio 2015, n. 10749) ha avuto modo di chiarire che “In tema di giudizio di cassazione, ove il ricorrente abbia lamentato un travisamento della prova, solo l’informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito e fa escludere l’ipotesi contenuta nella censura; infatti il travisamento della prova implica, non una valutazione dei fatti, ma un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza è contraddetta da uno specifico atto processuale“.

Orbene, nel caso di specie la CTR ha fatto corretto uso delle informazioni probatorie acquisite dalle parti, laddove ha  ribadito la fittizietà dei costi registrati dalla contribuente, sulla base della evidente incongruenza dei pagamenti rispetto alla modesta prestazione effettuata, valorizzando gli elementi indiziari dedotti dall’Ufficio, peraltro forniti dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, scartando la valenza della prova dell’effettiva iscrizione della società commissionaria presso la Camera di Commercio bulgara, risultanza di per sé inidonea a giustificare l’incongruenza tra il costo sostenuto e il servizio reso.

Col quarto, quinto e sesto motivo di ricorso la ricorrente incidentale denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, in relazione all’art. 360, primo comma, n.4) c.p.c.. La CTR avrebbe mancato di motivare rispetto alle eccezioni dedotte dalla J. a sostegno della legittimità delle variazioni in diminuzione del reddito imponibile e variamente giustificate.

Il quarto, quinto e sesto motivo del ricorso incidentale, che vanno analizzati congiuntamente per una evidente connessione logica, sono inammissibili.

Ed invero, giova rammentare che le Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) di questa Corte hanno letto la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione della sola “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

Come più recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 22232 del 2016), “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.

Orbene, nel caso di specie la CTR ha fatto corretta applicazione dei superiori principi, avendo puntualmente motivato le ragioni del rigetto delle eccezioni di merito dedotte dalla J..

In particolare, il giudice di appello ha motivato la illegittimità delle variazioni in diminuzione osservando, per un verso, che l’eliminazione del credito verso il precedente socio unico T., l’inserimento della componente negativa di € 4.800,00 – indicata quale omaggio alla clientela – non trovassero adeguate giustificazioni.

Per altro verso, la CTR ha disconosciuto la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime di neutralità fiscale alla plusvalenza generata dalla cessione d’azienda in forza delle incongruità emerse dalle scritture contabili della conferente G.O. s.r.l. e della conferitaria “F.I. s.r.l.” .

In definitiva, la contribuente sollecita a questa Corte una revisione del giudizio di fatto, inammissibile in questa sede.

È infatti consolidato principio affermato da questa Corte a sezioni unite che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., S.U., n. 34476/2019).

Ed invero, la CTR ha motivato in ordine a quanto dedotto dalla contribuente a sostegno della legittimità delle variazioni in diminuzione del reddito imponibile, ritenendo che gli elementi portati dalla J. non fossero sufficienti a giustificare l’abbattimento del credito per euro 24.000,00 a favore della società T., nemmeno rilevando l’inserimento di una componente negativa di euro 4.800,00 per asseriti “omaggi clientela”; così come il giudice di merito ha ritenuto non provati i presupposti per l’applicazione del regime di neutralità fiscale alla plusvalenza da conferimento di azienda.

Sulla base delle superiori considerazioni, va accolto il primo motivo di ricorso principale, con la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio ad altra sezione della CTR Abruzzo anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Va rigettato il ricorso incidentale.

Le spese seguono la soccombenza del ricorrente incidentale.

Va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo  unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso principale e rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Abruzzo anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Rigetta il ricorso incidentale.

Condanna J.D. al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.