CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 ottobre 2021, n. 29648
Esposizione all’amianto – Risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale – Accertamento – Prova
Rilevato che
Il Tribunale di Massa rigettava le domande proposte da C.A. nei confronti della s.p.a. N.P. intese a conseguire il risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale conseguente alla esposizione a sostanze morbigene, quali l’amianto, subita nel corso della attività di carpentiere svolta dal 1962 al 1988;
detta pronuncia veniva confermata dalla Corte territoriale – adita dagli eredi del ricorrente, medio tempore deceduto – la quale, a fondamento della decisione, deduceva che la CTU ambientale disposta, aveva accertato l’esposizione del lavoratore ad inalazione di fibre di amianto in misura inferiore ai limiti di legge, laddove gli accertamenti di natura medicolegale avevano consentito di escludere che avesse contratto patologie amianto-correlate, essendo le affezioni respiratorie diagnosticate, ascrivibili a diversi fattori, di natura non tecnopatica; quanto al danno morale, la Corte distrettuale osservava come, pur avendo una sua specificità quale voce del danno non patrimoniale, era soggetto alle regole generali di allegazione e prova, e che il pregiudizio doveva essere obiettivamente riconoscibile come conseguenza dell’illecito, non essendo sufficiente la deduzione di generici stati d’animo (stress, disagio, angoscia, ricorrenti per altri casi analoghi) del tutto disancorati da elementi obiettivi e alla stregua dei quali poter inferire un concreto peggioramento della vita interiore, affettiva e di relazione;
avverso la detta sentenza gli eredi A. interpongono ricorso per cassazione affidato ad unico motivo, cui la società resiste con controricorso;
Considerato che
1. con unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 32 Cost., 2059, 2087, 2727 cod.civ., 5 d.P.R. n. 27 del 2009, 1 d.P.R. n. 181 del 2009, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., avendo, la Corte territoriale, escluso la sussistenza del danno morale e/o esistenziale ritenendo non applicabile il ricorso alle presunzioni, anche semplici, nonostante deduzione, sin dal primo grado, di puntuali e precise allegazioni e nonostante la consulenza tecnica ambientale avesse riconosciuto la nocività dell’ambiente in cui operavano tutti i lavoratori;
2. il ricorso non è fondato;
come fatto cenno nello storico di lite, la Corte territoriale ha ritenuto la mancanza di prova del danno morale e del danno esistenziale per la mancata allegazione di circostanze obiettive, dotate di un sufficiente grado di specificità, sintomatiche di tale danno; tale ratio decidendi è immune dalle censure mosse in ricorso.
le questioni poste con il motivo sono state già esaminate da questa Corte nella pronuncia n. 27324 del 2017 ed in epoca più recente dalle ordinanze nnr. 32663, 31784, 31785, 31786, 31787, 31788, 31789, 31789, 31790 e 31791 del 2018 e dalle sentenze numeri 4615, 4616, 4673, 5747, 6260, 6339, 30641 del 2019, che hanno respinto analoghi ricorsi proposti da altri lavoratori della società odierna controricorrente, ai cui principi in questa sede si intende assicurare continuità; giova premettere che questa Corte nell’arresto a Sezioni Unite n. 26972 del 2008, nel definire la consistenza e le condizioni di risarcibilità del danno non patrimoniale, dopo avere chiarito che, al di fuori dei casi di risarcibilità previsti direttamente dalla legge, il danno non patrimoniale è risarcibile unicamente se derivato dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, ha respinto tanto la tesi che identifica il danno nella lesione stessa del diritto (danno- evento) che la variante costituta dalla affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa; ha osservato che entrambe le tesi snaturerebbero la funzione del risarcimento in quella di una pena privata per un comportamento lesivo;
le Sezioni Unite hanno, dunque, precisato che mentre per il danno biologico l’accertamento medico legale è il mezzo di prova al quale comunemente si ricorre, per il pregiudizio non-biologico, relativo a beni immateriali, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo; a tale rilievo non va disgiunto, comunque, il principio che «il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto» (punto 4.10 sent. cit.);
la Corte territoriale, dunque, non ha negato la rilevanza delle presunzioni ai fini della prova del danno non-biologico ma ha affermato che nella concreta fattispecie di causa non erano stati allegati elementi obiettivi, dotati di un sufficiente grado di specificità, sulla base dei quali risalire alla sofferenza ed al cambiamento delle abitudini di vita derivati dalla consapevolezza della esposizione lavorativa ad agenti nocivi.
appare, pertanto, corretto in punto di diritto il ragionamento della Corte di merito, che ha evidenziato come la mancata allegazione di elementi obiettivi specifici impediva di inferire la prova per presunzioni; come siano stati gli stessi ricorrenti a dedurre che i disagi e le sofferenze non si erano tradotti in alcuna malattia psichica (circostanza che avrebbero avuto autonoma valenza quale danno risarcibile per violazione dell’articolo 32 Cost., piuttosto che rilievo indiziante);
il complessivo iter argomentativo appare, dunque, conforme a diritto e chiaramente fondato non sulla inammissibilità della prova per presunzioni bensì sulla genericità delle allegazioni indizianti;
tanto premesso in diritto, il giudizio di fatto circa la genericità delle allegazioni e dei capitoli di prova e circa la loro inidoneità al raggiungimento della prova non è impugnabile in questa sede di legittimità con la deduzione del vizio di violazione di norme di diritto, ma unicamente con la denunzia di un vizio di motivazione;
tuttavia nella fattispecie di causa il giudizio di genericità delle allegazioni resta non più contestabile, per la preclusione alla deducibilità del vizio di motivazione di cui all’articolo 348 ter, commi 4 e 5, cod.proc.civ., trattandosi di giudizio conformemente reso nei due gradi di merito; a ciò si aggiunga che non risulta che gli attuali ricorrenti avessero reiterato in appello la richiesta della prova testimoniale non ammessa nel primo grado;
in definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso va respinto;
le spese di lite seguono il principio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.liquidate come da dispositivo;
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.250,00 per ,compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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