CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 ottobre 2021, n. 29690
Tributi – Accertamento – Reddito da partecipazione – Attribuzione per trasparenza – Socio di società di persone – Risultanza dal sistema della Camera di Commercio – Legittimità
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (n.452/46/13), che aveva accolto il ricorso presentato da M.M.L.M. contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle Entrate per l’anno 2006, per la somma di euro 90.823,00, ai fini Irpef, quale maggior reddito da partecipazione nella I.P. di C.R. & C s.a.s. determinato in complessivi euro 200.828,00. In particolare, il giudice d’appello, per quanto ancora qui rileva, evidenziava che la partecipazione del contribuente alla società predetta risultava dal “sistema della relativa Camera di Commercio”, mentre il M. si era limitato a negare la sua partecipazione nella compagine sociale con mere dichiarazioni, non supportate “dalla prova di fatti costitutivi”. Inoltre, la Commissione regionale rilevava l’esistenza “di un atto costitutivo di società”, redatto da pubblico ufficiale, facente come tale fede fino a querela di falso, per quanto dallo stesso risultante. La circostanza, poi, che il contribuente abbia svolto anche un altro lavoro, non precludeva la possibilità di una sua partecipazione societaria, né l’indicazione, nel rogito costitutivo di società, di soli due nomi (M.M.), e non del terzo nome (L.), dell’appellato, era idonea ad inficiare la sua identità partecipativa all’atto.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente, depositando memoria scritta.
3. L’Agenzia delle Entrate si limita a “costituirsi”, con nota delle 24 agosto 2015, “ai fini della partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370, primo comma, c.p.c.”..
4. Restano intimati R.C., G.G. e la I.P. di C.R. s.a.s.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in punto onere della prova ritenuto erroneamente assolto in capo all’Amministrazione finanziaria. Illegittimità dell’attribuzione dell’onere della prova negativa in capo al ricorrente Rag. M.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. In particolare, per il ricorrente la Commissione regionale ha deciso la controversia su prove mai confluite nel processo. Non è stato prodotto l’atto costitutivo, sicché il contribuente non era tenuto a presentare la querela di falso, dinanzi all’inesistenza di tale atto nel processo. Inoltre, il deposito, solo in sede di appello, della visura camerale non assurgerebbe a prova del fatto costitutivo da parte dell’Agenzia, dinanzi alle puntuali contestazioni formulate dal contribuente. Spetta, infatti, all’Amministrazione finanziaria fornire la prova del fatto costitutivo della sua pretesa, mente, una volta fornita tale prova, spetta al destinatario dimostrare che il fatto è inefficace o che il diritto dell’Amministrazione finanziaria sia estinto. In realtà, l’Agenzia non ha prodotto l’atto costitutivo della società di persone I.P. s.a.s., ma si è limitata a produrre nel corso del giudizio d’appello una “ispezione informatica al registro imprese”, che, in ogni caso, non sarebbe idonea ad ottemperare all’onere della prova gravante sull’Amministrazione finanziaria, né a superare le precise prove dell’estraneità del contribuente rispetto tale compagine sociale. Per il ricorrente, peraltro, la Commissione regionale avrebbe posto a carico del contribuente l’onere di provare i fatti costitutivi della infondatezza della pretesa dell’Amministrazione finanziaria, con una illegittima inversione dell’onere della prova, soprattutto in relazione alla prova negativa circa la presunta qualità di socio della I.P. s.a.s.. Il M., infatti, sin dal ricorso introduttivo ha evidenziato che il suo nome completo era M.M. L., che non aveva mai apposto la propria firma in calce all’atto costitutivo della I.P., ove è omessa l’indicazione del nome L., di non aver mai svolto attività di impresa e di non essere mai stato socio di alcuna società, di non aver mai conosciuto i signori C.R. e G.G., né il notaio Giuseppe Mazzoli, oltre che di avere svolto altri lavori dal 1° dicembre 1977 sino al 2015.
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione degli articoli 58 e 32 del d.lgs. n. 546 del 1992. Utilizzazione ai fini della decisione di un atto prodotto tardivamente e di un atto mai allegato in sede giudiziale. Sussistenza. In relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. “. Si ribadisce che l’atto costitutivo della società I.P. s.a.s. non è stato mai prodotto dall’Agenzia delle entrate, che si è limitata a depositare, in allegato all’atto di appello, la visura camerale della società, in asserita violazione dell’art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, che precluderebbe la produzione di documenti in appello.
3. I due motivi, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di stretta connessione, sono infondati.
3.1. Invero, da un lato, si rileva che è pacifico che nessuna delle parti abbia depositato in giudizio l’atto costitutivo della società I.P. s.a.s., ma dall’altro, è altrettanto incontestato che l’Agenzia delle entrate, proprio in allegato all’atto di appello, abbia depositato la visura camerale di tale società, includente tra i soci, oltre a R.C. e G.G., anche il contribuente M.M.L.M.
3.2. Per giurisprudenza consolidata di legittimità, in tema di contenzioso tributario, l’art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale deve essere esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del citato d.lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dovendo tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio) cui adempie (Cass., sez. 5, 24 giugno 2021, n. 18103; Cass., sez. 5, 7 marzo 2018, n. 5429). Oltre tutto, la parte può produrre in appello prove documentali, anche se preesistenti al giudizio di primo grado e pure se, in quest’ultimo giudizio, era rimasta contumace (Cass., sez. 5, 23 giugno 2021, n. 17921).
3.3. Del resto, è lo stesso ricorrente ad ammettere che l’Agenzia delle entrate ha provveduto a depositare la visura camerale in allegato all’atto di appello, quindi tempestivamente, entro il termine perentorio di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, richiamato nel giudizio d’appello dall’art. 61 del medesimo d.lgs. (cfr. pagina 15 del ricorso per cassazione “sul punto giova evidenziare che tale documento è stato prodotto quale doc 2 in allegato all’atto di appello”).
4. Va anche evidenziato che la sussistenza dell’atto costitutivo della società I.P. s.a.s. dinanzi al notaio costituisce circostanza pacifica non contestata da alcuna delle parti in causa.
È lo stesso ricorrente ad ammettere l’esistenza dell’atto costitutivo della società, quando si duole del fatto che in tale atto costitutivo sia stato identificato con due soli (M.M.) dei suoi tre nomi, mancando il terzo nome L. (cfr. pagina 13 del ricorso per cassazione “in particolare, il Rag. M.M.M. L. ha infatti dato atto sin dal ricorso introduttivo del giudizio: che il suo nome completo è M.M. L. come risulta dal documento di identità; di non aver mai apposto la propria firma in calce all’atto costitutivo della I.P. ove peculiarmente è omessa indicazione del nome L.”).
Trova applicazione, quindi, il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., applicabile anche nel processo tributario (Cass., sez. 5, 6 febbraio 2015, n. 2196; Cass., sez.5, 6 dicembre 2018, n. 31619; Cass., sez. 5, 1 ottobre 2018, n. 23710; Cass., sez.5, 13 marzo 2019, n., 7127, in cui si precisa che, nel processo tributario, il principio di non contestazione deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi). Tale principio, che costituisce una forma di semplificazione processuale, consente di ritenere provato un fatto non solo nell’ipotesi in cui una parte né alleghi l’esistenza e l’altra ne faccia espressa ammissione, ma anche nella diversa ipotesi in cui la parte onerata di provare il fatto lo alleghi in modo specifico e la controparte non contesti specificamente tale circostanza.
Tra l’altro, la sussistenza dell’atto costitutivo della società I.P. s.a.s. trova preciso ed inconfutabile riscontro nella produzione nel giudizio di appello della visura camerale da cui emerge non solo l’esistenza della società, iscritta nel registro delle imprese, ma anche la costituzione della compagine stessa, tra cui spicca il nome di M.M.L.M.
5. Il ricorrente, peraltro, non ha contestato l’omesso esame di fatti decisivi e controversi tra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., come modulato a seguito dell’intervento del decreto-legge n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012, ma si è limitato a censurare il vizio di violazione di legge, per avere errato nel riparto dell’onere della prova. Né la circostanza di avere contratto due mutui bancari e di aver svolto un diverso lavoro costituiscono fatti decisivi, in quanto è ben possibile la contemporanea partecipazione ad una società da parte del lavoratore dipendente. La richiesta di mutuo è condotta del tutto soggettiva del mutuatario, che può anche godere di liquidità immediata.
5.1. La doglianza relativa alla violazione della regola di riparto dell’onere della prova è infondata.
5.2. Infatti, il giudice d’appello ha ritenuto che l’Agenzia delle entrate avesse dimostrato, con la produzione della visura camerale della società I.P. s.a.s., almeno a livello presuntivo, la partecipazione del contribuente alla stessa (cfr. motivazione della sentenza di appello “mentre l’Ufficio ha fornito in merito circostanze e atti di fatto, idonei a sostenere l’assolvimento del suo onere probatorio”). In particolare, la Commissione regionale ha affermato che il reddito della società era stato determinato per l’importo di euro 200.827,23 ed era stato motivato sulla considerazione che l’appellato ne fosse partecipe al 45% per “trasparenza” ex art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986. Ciò ha ricavato sulla base della segnalazione da parte della Direzione provinciale di Frosinone e di accertamento da parte dell’Ufficio controlli di Monza, competente per territorio, “delle risultanze al sistema della relativa Camera di Commercio, con riferimento all’esistenza della predetta società e dei suoi partecipanti”.
5.3. Le presunzioni semplici, che possono essere utilizzate dall’Agenzia delle entrate a fondamento della pretesa fiscale, devono avere i requisiti della gravità, precisione e concordanza, ma in taluni casi, è sufficiente per dare la dimostrazione dell’esistenza della pretesa fiscale anche un solo indizio, purché grave e preciso.
Nella specie, dalla visura camerale della società emerge che la stessa è formata da tre soci, tra cui anche M.M. L. M., che risulta socio al 45%. Indubbiamente, tale circostanza rappresenta un indizio grave e preciso della partecipazione del contribuente alla società I.P. s.a.s.
6. Va, poi, anche evidenziato che il giudice d’appello ha effettuato un proprio accertamento in fatto sulla esistenza anche dell’atto costitutivo della società I.P. s.a.s., tanto che tale atto è stato anche iscritto ritualmente nel registro delle imprese.
L’art. 2296 c.c.prevede che “l’atto costitutivo della società, con sottoscrizione autenticata dei contraenti, o una copia autentica di esso se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico, deve entro 30 giorni essere depositato per l’iscrizione, a cura degli amministratori, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale”.
Al terzo comma dell’art. 2296 c.c. si precisa che “se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico, è obbligato ad eseguire il deposito anche il notaio”. Tale articolo è richiamato per le società in accomandita semplice dall’art. 2315 c.p.c. (“alla società in accomandita semplice si applicano le disposizioni relative alla società in nome collettivo, in quanto siano compatibili con le norme seguenti”).
L’atto costitutivo, ai sensi dell’art. 2295 c.c., oltre a indicare i soci accomandatari e i soci accomandanti, ai sensi dell’art. 2316 c.c., deve anche indicare “il cognome e il nome, il nome del padre, il domicilio e la cittadinanza dei soci”.
Ciò comporta che il notaio, debba controllare le generalità dei soci stipulanti l’atto costitutivo. Il deposito dell’atto costitutivo, con sottoscrizione autenticata dei contraenti, è richiesto qualora la società si è costituita mediante scrittura privata, mentre il deposito di una copia autentica dell’atto costitutivo consegue alla stipulazione per atto pubblico. La mancata iscrizione, infatti, non inficia la validità del contratto né, diversamente dalle società di capitali, preclude la costituzione della società, determinando soltanto una situazione di “irregolarità”, ex art. 2297 c.c., sempre rimediabile con una iscrizione tardiva. L’Ufficio non può rifiutare il deposito dell’atto costitutivo o di una sua copia autenticata, ma può soltanto negare l’iscrizione, come nel caso di mancata autenticazione delle sottoscrizioni. Nella specie, l’iscrizione presso il registro delle imprese è avvenuta e non è contestata dalle parti, oltre che certificata dalla visura camerale prodotta con l’atto d’appello dall’Agenzia delle entrate.
La motivazione della sentenza del giudice d’appello si è sviluppata anche su tale versante, affermando pure che “l’indicazione, nel rogito costitutivo di società, di soli due nomi, e non tre, dell’appellato non è idonea a inficiare la sua identità partecipativa all’atto, attesa la prassi notarile di indicare solo due nomi di uno stipulante, invece di tutti quelli risultanti dal documento di identità, ma nella completezza del codice fiscale riportato”, senza dimenticare che lo svolgimento da parte del contribuente di un diverso lavoro, non impediva sicuramente la sua partecipazione ad una società in accomandita semplice (” mentre l’assunto dello svolgimento di altro lavoro non preclude certo la possibilità di una partecipazione societaria”).
Infatti, per questa Corte, in tema d’imposte sui redditi delle società di persone (nella specie, una s.a.s.), l’imputazione proporzionale dei redditi della società ai singoli soci, prevista dall’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è indipendente dall’effettiva percezione degli utili e dalla stessa partecipazione del socio alla gestione sociale ed opera anche nel caso in cui le quote di partecipazione siano solo formalmente intestate ai soci (Cass., sez. 5, 10 giugno 2015, n. 11989).
7. Una volta rilevata l’esistenza, a livello indiziario, della partecipazione del contribuente alla società I.P. s.a.s., il giudice d’appello correttamente ha ritenuto che era onere del contribuente dimostrare la mancata partecipazione a tale società, nonostante l’inserimento del suo nome nell’atto costitutivo, poi ritualmente riportato ed iscritto presso la Camera di Commercio.
In tal modo, la Commissione regionale ha rispettato in pieno il riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c..
Infatti, ha ritenuto che “deve rilevarsi e ritenersi che il contribuente abbia fatto in merito solo una dichiarazione a contenuto negativo, non supportata dalla prova dei fatti costitutivi”.
8. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità, stante l’assenza di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle entrate e degli altri rimasti intimati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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