CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 settembre 2021, n. 25711
Tributi – IRPEF – Cessione di immobile acquisito per successione – Plusvalenza
Rilevato che
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti di R.H.B.S.F. per ripresa a tassazione ai fini IRPEF per l’anno d’imposta 2008 la plusvalenza da cessione di immobile acquisito per successione dalla predetta contribuente, la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dalla contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che «l’Ufficio non [aveva] fornito la prova di attività della contribuente volta a potenziare l’aumento del valore del bene acquistato in successione ereditaria»; valore dichiarato in sede di successione e peraltro mai contestato dall’amministrazione finanziaria.
2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replica la società intimata con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
Con il motivo di ricorso la ricorrente Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 67 e 68 del TUIR, 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, 115 e 116 cod. proc. civ.
Sostiene che la CTR aveva errato nel disporre l’annullamento integrale dell’avviso di accertamento impugnato dalla contribuente benché «la condivisione delle tesi dell’appellante potesse indurre solo all’accoglimento della domanda da questa formulata in via subordinata, vale a dire a riconoscere i costi sostenuti con il pagamento dell’imposta di successione (€ 27.373,05) e dunque a scorporarli dal totale ripreso a tassazione (€ 62.000=€ 16.000 per il 2008 + € 46.000 per il 2007)».
Al riguardo va osservato che nella specie è incontroverso che la contribuente aveva chiesto, in via principale, l’annullamento integrale dell’avviso di accertamento impugnato, per la mancata realizzazione di una plusvalenza dalla cessione del terreno pervenutole per successione ereditaria, stante il maggior valore del bene dichiarato in sede di denuncia di successione, e mai contestato dall’amministrazione finanziaria, e, solo in via subordinata, di «rideterminare la pretesa erariale avverso la ricorrente in virtù dello scomputo dell’imposta di successione avvenuta con il pagamento del richiamato F24».
Orbene, la statuizione d’appello che ha escluso l’esistenza, nel caso di specie, di cessione di bene pervenuto alla parte contribuente per successione ereditaria, di una plusvalenza tassabile, con conseguente ovvio annullamento integrale dell’atto impositivo, rende inammissibile il motivo di ricorso che, pretendendo l’accoglimento da parte dei giudici di appello della domanda avanzata in via subordinata dalla parte contribuente, mostra di non cogliere la ratio decidendi della statuizione impugnata. Invero, la rilevata infondatezza della pretesa erariale rendeva superfluo l’accoglimento e lo stesso esame della domanda subordinata della contribuente, di sottrazione dal quantum richiesto dall’amministrazione finanziaria dell’importo versato sull’immobile oggetto di cessione in sede di dichiarazione di successione. Ed il richiamo fatto dall’Agenzia delle entrate a Cass. n. 14956 del 2018 con riguardo all’orientamento consolidato di questa Corte sulla natura di impugnazione-merito del processo tributario, con conseguente obbligo per il giudice tributario di esaminare e pronunciare nel merito della pretesa tributaria, non coglie nel segno perché fondato sulla premessa, nella specie insussistente, che la CTR avesse ravvisato «una parziale fondatezza delle ragioni del contribuente».
Ne consegue che il ricorso va rigettato con condanna della ricorrente, rimasta soccombente, al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass., Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00 ed Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge.
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