CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 gennaio 2019, n. 1822
Tributi indiretti – IVA – Obblighi dei contribuenti – Pagamento dell’imposta – Rimborsi – Diniego di rimborso – Cessazione dell’attività – Prova dei fatti costitutivi del diritto di credito – Necessità
Rilevato che
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: il contribuente aveva proposto istanza di rimborso Iva relativa all’anno 2004 e l’amministrazione finanziaria aveva adottato il provvedimento di rigetto che era stato impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta; il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate;
la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: la sentenza del giudice di primo grado si era limitata ad annullare il provvedimento di diniego del rimborso, senza, tuttavia, valutare, nel merito, la sussistenza dei presupposti per il legittimo esercizio del diritto al rimborso; era onere del contribuente dare la prova della fondatezza della pretesa; il suddetto onere non era stato assolto dal contribuente, con conseguente accoglimento dell’appello;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte il contribuente affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3) e 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, della legge n. 241/1990 e dell’art. 7, comma 1, della legge n. 212/2000, nonché dell’art. 42, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 56, comma 5, del d.P.R. n. 633/1972, per non avere pronunciato sull’eccezione di carenza di motivazione del provvedimento di diniego di rimborso e non avere tenuto conto che il suddetto provvedimento era del tutto carente di motivazione sulle ragioni del rigetto;
il motivo è inammissibile;
la censura, in realtà, non coglie la ratio decidendi della pronuncia impugnata;
il giudice del gravame ha preso in considerazione la statuizione del giudice di primo grado che aveva ritenuto che il provvedimento di diniego dell’istanza di rimborso era illegittimo anche per violazione degli art. 7 e 10 della legge 212/2000, tuttavia, ha tenuto conto del fatto che, a prescindere dalla illegittimità del provvedimento di diniego, il giudice del merito è comunque tenuto a valutare, nel contraddittorio tra le parti e secondo i principi di riparto dell’onere della prova, se la domanda di rimborso proposta dal contribuente è fondata;
a tal proposito, si osserva che la controversia deriva da una istanza di rimborso Iva, anno 2004, presentata dal contribuente e dal conseguente rigetto della medesima da parte dell’amministrazione finanziaria;
in questo contesto, va tenuto conto che, secondo questa Corte (Cass. civ. Sez. V, 18 maggio 2018, n. 12291) «in tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato, con la conseguenza che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale (conf. Cass. civ., 8 ottobre 2014, n. 21197);
pertanto, in una fattispecie, quale quella in esame, in cui si impugna il provvedimento di rigetto dell’istanza di rimborso, la conseguenza della qualificazione processuale del contribuente quale attore in senso sostanziale è che, l’eventuale illegittimità del provvedimento di diniego del rimborso per difetto di motivazione, non implica, di per sé, il riconoscimento del diritto del contribuente al rimborso, essendo lo stesso onerato di dare prova dei presupposti su cui si fonda la domanda proposta; questa linea interpretativa, che correttamente è stata seguita dal giudice del gravame e che ha costituito la ragione fondante della pronuncia, non è stata colta dal motivo di censura in esame, che si è limitato a prospettare ragioni di doglianza relative alla violazione delle norme in materia di motivazione dell’atto impositivo e alla mancata pronuncia sul punto da parte del giudice del gravame; in realtà, la pronuncia in esame ha preso atto della ritenuta illegittimità del provvedimento di diniego, tenendo conto, quindi, implicitamente, della doglianza in esame, ma, come detto, ha correttamente precisato di dovere esaminare nel merito la controversia, quindi verificare se il contribuente aveva assolto al proprio onere probatorio;
per completezza, va comunque precisato che questa Corte (Cass. civ., Sez. V, 06 giugno 2018, n. 14620), in materia di motivazione del provvedimento di diniego della domanda di rimborso ha precisato che «Solo nei provvedimenti costituenti esercizio della potestà impositiva, la motivazione dell’atto, come previsto da espresse disposizioni di legge, non può che essere esaustiva, essendo l’Amministrazione, parte attiva del rapporto in qualità di creditore, tenuta ad esplicitare le ragioni in fatto ed in diritto della pretesa azionata, anche in vista di una possibile impugnativa giurisdizionale dell’atto da parte del contribuente. E difatti, anche in sede giurisdizionale, l’Ufficio assume il ruolo di attore in senso formale e sostanziale, ed è tenuto ad adempiere il relativo onere probatorio. Per converso, nel rapporto a ruoli invertiti che s’instaura tra Amministrazione e contribuente per effetto della domanda di rimborso da questi proposta, alla motivazione del provvedimento di rigetto non può attribuirsi siffatto carattere di esaustività, giacché in tale rapporto l’Ufficio assume il ruolo passivo di colui che “resiste” alla pretesa creditoria del contribuente, e non è pertanto gravato dall’onere di motivare compiutamente le proprie ragioni»;
con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 38, comma 2, e 38-bis, del d.P.R. n. 633/1972, per avere ritenuto non sussistente il diritto al rimborso del contribuente per mancata disponibilità degli atti necessari, non tenendo conto che, nella fattispecie, l’istanza di rimborso era stata presentata per cessazione di attività, sicché, in tale caso, gli unici fatti di rilievo per la concessione del rimborso dovevano essere l’esistenza del credito Iva e la cessazione dell’attività, entrambi fatti non contestati e documentati;
il motivo è infondato;
la circostanza che la domanda di rimborso è stata presentata dal contribuente a causa della cessazione dell’attività non implica che l’amministrazione finanziaria non debba verificare la sussistenza del credito Iva, come del resto la stessa parte ricorrente mostra di condividere, avendo precisato che gli unici fatti di rilievo per la concessione del rimborso erano e sono l’esistenza del credito Iva e la cessazione dell’attività;
proprio la necessità di accertare l’esistenza del credito, anche nel caso di cessazione dell’attività, postula che la parte fornisca all’amministrazione finanziaria tutti gli elementi di prova idonei per il riconoscimento del diritto al rimborso e, in caso di contestazione, assolva all’onere probatorio su di essa gravante;
con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omessa e insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio; in particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha reso una pronuncia insufficiente, generica ed eccessivamente concisa, nonché carente in ordine alla valutazione del merito; inoltre, lamenta che la suddetta decisione si è pronunciata su di una questione, la non accoglibilità del ricorso di primo grado, non proposta dall’Agenzia delle entrate nei precedenti gradi di giudizio; il motivo è inammissibile;
il passaggio centrale della motivazione del giudice del gravame attiene alla rilevata mancanza di prova, non offerta dal contribuente, della sussistenza del proprio diritto al rimborso dell’Iva;
è su questo specifico punto della decisione, non oggetto di censura con il presente motivo, che si è fondata la valutazione del giudice del gravame di infondatezza della pretesa del contribuente, sicché le questioni prospettate attengono a ulteriori passaggi della motivazione e, pertanto, non colgono la ratio decidendi della pronuncia in esame;
invero, il riferimento, compiuto dalla sentenza, alla inaccoglibilità del ricorso di primo grado, evidenziato ora dal ricorrente, trova la sua giustificazione logica nella ritenuta insussistenza, in quanto carente di prova, del diritto del contribuente al chiesto rimborso e non costituisce, invero, il profilo su cui si è basata la motivazione della sentenza impugnata, ma, piuttosto, la conseguenza del rilevato difetto probatorio;
ciò ha implicazioni anche con riferimento alle ulteriori considerazioni, espresse dalla ricorrente con il presente motivo di censura, relative alla mancata deduzione da parte dell’Agenzia delle entrate in ordine alla richiesta di pronuncia dell’inaccoglibilità del ricorso: l’avere postulato, infatti, la insufficienza probatoria della documentazione prodotta dal contribuente, implica, infatti, una richiesta di infondatezza della domanda di rimborso da esso proposto, ed è su questa linea che la sentenza in esame ha inteso procedere;
per quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il primo e terzo motivo di ricorso, infondato il secondo, con conseguente rigetto del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo e terzo motivo di ricorso, infondato il secondo, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite che si liquidano in complessive euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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