CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 gennaio 2019, n. 1831
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Commercio intracomunitario – Operazioni soggettivamente inesistenti
Rilevato che
– G.C. Srl impugnava gli avvisi di accertamento per Iva per gli anni d’imposta 2003-2006, emessi dall’Agenzia delle entrate per operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di attività di commercio intracomunitario di prodotti informatici, acquistati da società cartiere;
– la Commissione tributaria provinciale di Roma dichiarava inammissibili per tardività i ricorsi avverso gli avvisi per gli anni 2003-2005 e rigettava il ricorso con riguardo all’anno 2006; la CTR, in parziale riforma della decisione di primo grado, riteneva la nullità della notifica con riguardo agli avvisi per le prime tre annualità e, quindi, ammissibili tutti i ricorsi, che, peraltro, rigettava nel merito;
– G.C. Srl propone ricorso per cassazione con tre motivi; resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato con un motivo, cui si oppone la contribuente con controricorso;
Considerato che
– il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonché della circolare ministeriale n. 45/D del 17.11.2005, “per incompleta ricostruzione del fatto storico complesso e per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, per aver la CTR ritenuto fondata la pretesa dell’Amministrazione fiscale pur in assenza della prova della consapevolezza dell’indebita detrazione da parte della contribuente, non essendo stato né indicato, né individuato il soggetto dissimulato asseritamente effettivo fornitore della società; rileva, inoltre, che l’acquisto era stato effettivamente operato con versamento del relativo costo e che i beni non erano stati successivamente venduti ad un prezzo inferiore a quello di mercato; contesta, infine, il ragionamento presuntivo operato dalla CTR;
– il motivo è inammissibile, traducendosi in una inestricabile commistione di violazioni di legge e vizi motivazionali, lamentando la ricorrente, al contempo, sia l’errata ripartizione dell’onere della prova, sia il difetto del ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito, sia l’omessa considerazione di elementi fattuali asseritamente costitutivi della fattispecie;
– al di là dell’irrituale formulazione, peraltro, la doglianza è comunque infondata;
– giova premettere, sul punto, che in tema di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte, con la sentenza n. 9851 del 10/04/2018, ha affermato che:
1. l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta;
2. la prova della consapevolezza dell’evasione, peraltro, non richiede che l’Amministrazione finanziaria provi la partecipazione del soggetto all’accordo criminoso od anche la sua piena consapevolezza della frode ma che essa dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente;
3. incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi;
– orbene, la CTR si è attenuta ai principi sopra esposti, ritenendo, sulla base degli elementi introdotti dall’Ufficio e con motivazione congrua, gli acquisti effettuati da società cartiere e la consapevolezza della contribuente, che avrebbe dovuto sapere «data la sistematicità di dette operazioni compiute per numero e importi rilevanti», senza che, per contro, sia stata fornita alcuna idonea prova contraria;
– è poi irrilevante che non siano stati identificati gli effettivi fornitori della merce atteso che una volta fornita la prova della fittizietà dell’apparente venditore non è necessario che sia anche dimostrata l’identità di quello effettivo, che nulla aggiunge alla ormai conseguita dimostrazione dell’alterità soggettiva rispetto a quella reale;
– quanto, infine, alla contestazione in ordine al ragionamento presuntivo operato in base agli elementi introdotti in giudizio, la censura è ulteriormente inammissibile, traducendosi in una non condivisione del percorso motivazionale adottato dal giudice di merito giudice, in vista, dunque, di una nuova valutazione di merito, non consentita in sede di legittimità;
– il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., violazione dell’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972 “per incompleta ricostruzione del fatto storico complesso e per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” per non aver la CTR tenuto conto della nullità dell’avviso di accertamento, generico ed incompleto;
– il motivo è inammissibile e per più ragioni;
– per novità della questione, nulla risultando dalla sentenza, né avendo la ricorrente indicato (e riprodotto i relativi atti) ove la stessa era stata posta in primo e in secondo grado;
– per l’assoluta genericità della doglianza, nulla essendo stato precisato in ordine alle asserite insufficienze dell’avviso;
– per difetto di autosufficienza, non essendo stato in alcun modo riprodotto l’atto censurato;
– il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 d.P.R. n. 633 del 1972, nonché omessa motivazione su un punto decisivo della controversia; la ricorrente lamenta che l’obbligo di versare l’imposta incomberebbe, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, solo in capo all’emittente le fatture e non sull’utilizzatore delle stesse e che, inoltre, indebitamente l’Ufficio avrebbe ripreso i costi documentati anche ai fini delle imposte dirette;
– pure tale censura è inammissibile, presentando i medesimi vizi rilevati con riguardo al primo motivo, con evidente violazione del principio di chiarezza che presiede alla formulazione dei motivi di ricorso per cassazione;
– la censura, peraltro, da un lato neppure si traduce in una doglianza nei confronti della decisione della CTR (fermo restando che, per la costante giurisprudenza nazionale e unionale, il diritto a detrazione per il destinatario della fattura presuppone l’effettività dell’operazione: v. ex multis Corte di Giustizia, sentenza 6 settembre 2012, in C-324/11, Tóth; sentenza 22 ottobre 2015, in C-277/14, Ppuh; sentenza 19 ottobre 2017, in 0101/16, SC Paper Consult)’, dall’altro, poi, trascura che gli avvisi di accertamento di cui al giudizio hanno ad oggetto esclusivamente l’iva, sicché del tutto irrilevanti sono le censure in ordine all’indicata ripresa ai fini delle imposte dirette;
– il ricorso va pertanto rigettato per inammissibilità dei motivi;
– il ricorso incidentale condizionato – con cui l’Agenzia denuncia la violazione degli artt. 145 c.p.c., 7 I. n. 890 del 1982, 2700 c.c. e 20 d.lgs. n. 546 del 1992 per aver la CTR ritenuto tempestivi i ricorsi della contribuente per le annualità 2003-2005 – resta assorbito;
– le spese, regolate per soccombenza, sono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna il contribuente al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessive in € 13.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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