CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 giugno 2020, n. 12310
Tributi – Accertamento – Utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti – Prova di consapevolezza della frode da parte della società contribuente – Deducibilità costi fittizi
Rilevato che
1. con la sentenza n. 33/38/12 del 16/02/2012, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) respingeva l’appello proposto dalla F.C. s.p.a. avverso la sentenza n. 104/04/10 della Commissione tributaria provinciale di Varese (di seguito CTP), che aveva a sua volta respinto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2005;
1.1. come emerge anche dalla sentenza impugnata, l’atto impositivo era stato emesso per violazioni tributarie connesse all’utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;
1.2. la CTR motivava il rigetto dell’appello della società contribuente osservando che: a) le fatture emesse dalla società F.. s.r.l. riguardano operazioni soggettivamente inesistenti, essendo acclarato che detta società era una cd. cartiera, circostanza nemmeno messa in discussione dalla società contribuente; b) la indiscussa falsità delle fatture rilasciate da F.. s.r.l. «era ed è elemento presuntivo della partecipazione dolosa o quanto meno colposa all’operazione fittizia, essendo semplicemente impensabile che l’acquirente della merce possa non conoscere la natura fittizia dell’attività svolta dal fornitore, che è la sua controparte diretta, e quindi la falsità della fatturazione. Se già sembra assurdo che ci si possa rivolgere ad una cartiera senza essere ben al corrente della sua vera natura (compartecipazione dolosa), appare comunque inammissibile che l’acquirente possa rinvenire nella sua eventuale e colposa ignoranza una causa di giustificazione del suo oggettivo concorso alla frode, a meno di dimostrare che comunque non sarebbe stato in grado di conoscere la situazione reale usando l’ordinaria diligenza; prova ben lungi dall’essere stata fornita, non avendo l’appellante speso una sola parola per indicare quali cautele abbia preso per accertarsi che il fornitore fosse un’impresa di produzione di metalli ferrosi realmente esistente»; c) nella fattispecie non era in discussione l’effettività della fornitura, «ma il fatto che l’acquirente della merce l’abbia ordinata e ricevuta, provvedendo poi ad annotare le fatture, nella presumibile consapevolezza del carattere soggettivamente falso di tali documenti, o quanto meno nell’ingiustificabile e colposa ignoranza di tale vizio»;
2. F.C. s.p.a. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis. 1 cod. proc. civ.;
3. l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso F.C. s.p.a. deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 14, comma 4 bis, della I. 24 dicembre 1993, n. 537 e dell’art. 8, commi 1 e 3, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella I. 26 aprile 2012, n. 44, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando l’illegittimità della sentenza nella parte in cui non avrebbe ritenuto legittima la deduzione dei costi;
2. con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto sussisterebbero i presupposti di legge per la deduzione dei costi;
3. con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697, secondo comma, cod. civ., dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e degli artt. 39 e 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 4, e 360 bis cod. proc. civ.;
3.1. in buona sostanza, la società ricorrente si duole del fatto che la sentenza di appello riconnetta alla semplice fittizietà del cedente la consapevolezza della frode in capo alla cessionaria, senza peraltro prendere in considerazione gli elementi forniti da quest’ultima, quali le risultanze della sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante, l’occasionalità della fornitura e la circostanza che i contatti con la cartiera sarebbero stati intrattenuti da un soggetto terzo;
4. con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 17 della direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (sesta direttiva), dell’art. 168 della direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006 e dei principi del diritto unionale di certezza del diritto, legittimo affidamento e proporzionalità e di neutralità dell’IVA, per come elaborati dalla Corte di giustizia della UE, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi il diritto della ricorrente, in presenza di prova certa della inconsapevolezza della falsità delle fatture, alla detrazione dell’IVA, oltre che alla deduzione dei costi;
5. con il quinto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., illogica ed insufficiente motivazione in ordine al fatto controverso e decisivo, costituito dalla consapevolezza della frode da parte della società contribuente, evidenziandosi l’omessa considerazione degli elementi già indicati con riferimento al terzo motivo;
6. il terzo, quarto e quinto motivo, che possono essere cumulativamente esaminati vertendo su questioni connesse, sono fondati nei termini di cui subito si dirà;
6.1. come di recente evidenziato dalla S.C., anche sulla scorta della più recente giurisprudenza della Corte di giustizia della UE, «l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (così Cass. n. 9851 del 20/04/2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; conf. Cass. n. 27555 del 30/10/2018; Cass. n. 27566 del 30/10/2018);
6.2. nel caso di specie, la CTR non si è attenuta ai superiori principi di diritto, incorrendo in un duplice errore, l’uno sul piano della violazione di legge, l’altro sul piano motivazionale;
6.3. sotto il primo profilo, la sentenza impugnata, a fronte della dimostrazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, della fittizietà del fornitore, addossa sulla società contribuente l’onere di fornire la prova della inscientia fraudis, quando, come si è visto, detta prova grava indiscutibilmente sulla parte pubblica e deve essere fornita sulla base di «elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore»;
6.4. sotto il secondo profilo, la CTR, partendo dalla non contestata natura di cartiera di F.. s.r.l., presume la consapevolezza della frode in capo alla ricorrente con affermazioni apodittiche («sembra assurdo che ci si possa rivolgere ad una cartiera senza essere ben al corrente della sua vera natura») senza dare contezza degli elementi probatori offerti dalla ricorrente (rapporti con la cartiera mediati da un terzo, occasionalità della fornitura) e ricavabili anche dalla sentenza penale di assoluzione della quale il giudice di appello ha l’onere di tenere conto (cfr. Cass. n. 28174 del 24/11/2017; Cass. n. 16262 del 28/06/2017; Cass. n. 8129 del 23/05/2012);
6.5. la sentenza impugnata va, dunque, cassata in parte qua affinché, sulla scorta dei principi di diritto più sopra enunciati, il giudice del rinvio riesamini la questione relativa alla consapevolezza della frode in capo alla società contribuente;
7. I motivi primo e secondo restano, dunque assorbiti;
7.1. non è inutile evidenziare, peraltro, che anche qualora ritenga la consapevolezza della frode in capo alla ricorrente, il giudice del rinvio deve tenere conto dello ius superveniens di cui F.C. s.p.a. ha chiesto l’applicazione con il primo motivo e che, stante il chiaro disposto dell’art. 8, comma 3, del d.l. n. 16 del 2012, ha efficacia retroattiva;
7.2. invero, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, ove non utilizzati direttamente per commettere il reato, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del T.U. delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. n. 10167 del 20/06/2012; Cass. n. 24426 del 30/10/2013; Cass. n. 26461 del 17/12/2014; Cass. n. 25249 del 07/12/2016);
8. in conclusione, vanno accolti il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso nei limiti di cui sopra, assorbiti i restanti motivi; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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