CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 giugno 2020, n. 12372
Docente ripetutamente assunto con contratti a tempo determinato – Diritto a percepire il medesimo trattamento retributivo riservato agli insegnanti di ruolo – Riconoscimento dell’anzianità di servizio – Differenze stipendiali
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Torino ha respinto le impugnazioni, principale e incidentale, proposte rispettivamente dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e da S.M. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, pronunciando sull’opposizione avverso il decreto con il quale era stato ingiunto al MIUR il pagamento della complessiva somma di € 3.418,79, a titolo di differenze stipendiali maturate negli anni scolastici 2011/2012 e 2012/2013, aveva revocato il decreto, in quanto emesso in assenza dei requisiti richiesti dagli artt. 633 e seguenti cod. proc. civ., e poi, esaminata nel merito la domanda, aveva riconosciuto il diritto del M., docente ripetutamente assunto con contratti a tempo determinato, a percepire il medesimo trattamento retributivo riservato agli insegnanti di ruolo, con conseguente riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata sulla base dei contratti a termine;
2. la Corte territoriale, per quel che ancora rileva in questa sede, ha premesso che gli assunti a tempo determinato del comparto scuola non beneficiano della progressione stipendiale, legata all’anzianità di servizio, riconosciuta al personale di ruolo ed ha ritenuto la disparità di trattamento non giustificata e non conforme al principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo quadro, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999;
3. ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Giustizia per sottolineare il carattere incondizionato e preciso della clausola, ed ha aggiunto che l’anzianità di servizio, ove destinata ad incidere sul trattamento retributivo, rientra fra le condizioni di impiego, in relazione alle quali non è consentita la discriminazione rispetto al lavoratore a tempo indeterminato comparabile;
4. la Corte territoriale ha, poi, evidenziato che la disparità di trattamento non può essere giustificata facendo leva sulla specialità del sistema di reclutamento scolastico e sulla legittimità dei termini apposti ai contratti succedutisi nel tempo e ciò perché, ai fini della comparazione e del giudizio sulla sussistenza di ragioni oggettive, occorre apprezzare la prestazione lavorativa, che nella specie non differiva da quella resa dal docente a tempo indeterminato;
5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla base di un unico motivo, articolato in più punti, al quale ha opposto difese con tempestivo controricorso S.M.
Considerato che
1. con l’unico motivo di ricorso il Ministero denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione della direttiva 1999/70/CE e dell’accordo quadro alla stessa allegato, degli artt. 6 e 10 d.lgs. n. 368/2001, dell’art. 9, comma 18, del d.l. n. 70/2011, convertito in legge n. 106/2011, dell’art. 4 della legge n. 124/1999, degli artt. 36 e 45 del d.lgs. n. 165/2001, degli artt. 77, 79 e 106 del C.C.N.L. Comparto scuola 29/11/2007 e sostiene, in estrema sintesi, che alle supplenze, stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo, non si applica la disciplina generale dettata dal d.lgs. n. 368/2001, bensì la normativa di settore, ed in particolare l’art. 4 della legge n. 124/1999, che consente la reiterazione degli incarichi, in quanto giustificata da ragioni oggettive;
1.1. aggiunge che ai fini del giudizio sul carattere discriminatorio del trattamento riservato al supplente, bisogna tener conto di tutte le tutele a quest’ultimo assicurate, che non differiscono da quelle previste per l’assunto a tempo indeterminato, e rileva anche l’istituto della ricostruzione della carriera, che costituisce una normativa di assoluto favore in quanto solo in ambito scolastico al momento dell’immissione in ruolo il dipendente può fare valere l’anzianità maturata sulla base di contratti a termine;
2. ricorso è infondato, perché la sentenza impugnata è conforme all’orientamento, consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte a partire dalle sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, secondo cui «nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalia direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato.»;
3. all’affermazione del principio di diritto, richiamato in numerose pronunce successive (cfr. fra le tante Cass. n. 30573, 20918, 19270 del 2019 e Cass. nn. 28635, 26356, 26353, 6323 del 2018) alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., la Corte è pervenuta valorizzando l’interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro fornita dalla Corte di Giustizia, la quale con la recente sentenza del 20.6.2019 in causa C- 72/18, Ustariz Arósteui, ha ribadito la propria giurisprudenza affermando che «la clausola 4. punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che riserva il beneficio di un’integrazione salariale agli insegnanti assunti nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in quanto funzionari di ruolo, con esclusione, in particolare, degli insegnanti assunti a tempo determinato come impiegati amministrativi a contratto, se il compimento di un determinato periodo di servizio costituisce l’unica condizione per la concessione di tale integrazione salariale.»;
4. non si ravvisano, pertanto, ragioni che possano indurre il Collegio a rimeditare l’orientamento già espresso, al quale va data continuità, perché anche in questa sede il Ministero sovrappone e confonde il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola 4 dell’Accordo quadro, con il divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto della disciplina dettata dalla clausola 5 dello stesso Accordo;
4.1. che i due piani debbano, invece, essere tenuti distinti emerge già dalla lettura della clausola 1, con la quale il legislatore eurounitario ha indicato gli obiettivi della direttiva, volta, da un lato a “migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione”; dall’altro a “creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”;
4.2. l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste, quindi, anche a fronte della legittima apposizione del termine al contratto, giacché detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono “norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela” (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C-177/14, Regojo Dans, punto 32);
5. le considerazioni svolte nel ricorso prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate, e fanno leva sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, già ritenuti dalla Corte di Giustizia non idonei a giustificare la diversità di trattamento ( si rimanda alle sentenze richiamate nei precedenti di questa Corte citati al punto 2), nonché sulle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare, ossia sulle ragioni oggettive che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato e che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo quadro, da non confondere, per quanto sopra si è già detto, con le ragioni richiamate nella clausola 4, che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione;
6. non vale, poi, ad escludere la violazione del principio di non discriminazione la circostanza che ad altri fini ( ferie, festività, permessi, malattia, congedi) siano riconosciute al personale supplente le medesime garanzie delle quali godono gli assunti a tempo indeterminato, perché la clausola 4 impone l’equiparazione in tutte le condizioni di impiego, ad eccezione di quelle che siano oggettivamente incompatibili con la natura a termine del rapporto;
7. non rileva, infine, l’istituto della ricostruzione della carriera, sul quale questa Corte si è recentemente pronunciata con le sentenze nn. 31149 e 31150 del 2019, perché lo stesso assicura il recupero, a fini giuridici ed economici, dell’anzianità di servizio prestata sulla base di contratti a tempo determinato a partire dal momento dell’immissione in ruolo mentre nella specie si discute della spettanza o meno della progressione stipendiale in pendenza del rapporto a termine;
8. sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, da distrarsi in favore dell’Avv. R.C., il quale ha reso la prescritta dichiarazione;
9. non sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00. per esborsi ed € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge, con distrazione.
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