CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 giugno 2021, n. 18044
Tributi – IRPEF – Accertamento – Indagini bancarie – Prelevamenti e versamenti non giustificati e/o non documentati – Rideterminazione del reddito – Legittimità – Onere di prova contraria
Rilevato che
1. Con avviso di accertamento n. RC 7010401122/2009, per l’anno di imposta 2005, l’Agenzia delle Entrate rideterminava a carico di V.G. un maggior reddito (euro 176.229,00 a titolo di Irpef, oltre addizionali regionali per euro 3.688,00 e addizionali comunali per euro 1640,00), per ricavi non contabilizzati ed introitati da G.V. nel ruolo di legale rappresentante di varie società che erano state sottoposte a verifica finanziaria.
1.2. Dalla narrazione della sentenza impugnata risulta che l’accertamento seguiva ad una verifica fiscale eseguita mediante indagini bancarie che davano atto di prelevamenti e versamenti sul conto corrente bancario di G.V. non giustificati e/o non documentati.
2. G.V. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento spiccato nei suoi confronti innanzi alla Commissione provinciale di Roma che, con sentenza n. 288/30/2012, accoglieva il ricorso limitatamente alla «riduzione da un terzo ad un quarto di quanto accertato sul conto corrente bancario n. 934».
3. La decisione dei primi giudici veniva appellata dal contribuente innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito, CTR) che, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava all’appello.
4. Mauro e G.V., quali eredi di G.V., hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5. L’Agenzia delle Entrate ha presentato “atto di costituzione” al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.
I ricorrenti hanno presentato memoria, ex art. 380 bis-1 cod. proc. civ.
Considerato che
1. I ricorrenti, con il primo motivo di ricorso, deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., plurime violazioni di legge (artt. 38, 42, comma 2, DPR n. 600 del 1973, 6, 44 e 46 d.P.R. n. 917 del 1986 artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ.), per aver la CTR attribuito a V.G. presunti ricavi, quali utili extracontabili riferiti a varie società di cui G.V. era socio e legale rappresentante, senza che sussistessero gli accertamenti presupposti e cioè gli accertamenti a carico di dette società. Si dolgono, altresì, dell’illegittimità della pretesa fiscale che non qualifica il reddito per il quale è scattato l’accertamento, riferendosi, da un lato, alla presunzione dettata dall’articolo 32 d.P.R. n, 600 del 1973, in tema di accertamento bancario e, d’altro, att’ulteriore presunzione che gli utili conseguiti in nero dal socio – nella specie per l’importo di euro 409.834,41- erano distribuiti dalle stesse società che tali utili avevano conseguito, in violazione dell’articolo 42, secondo comma del d.P.R. n. 600 del 1973, che dispone, tra l’altro, che l’avviso di accertamento deve essere motivato relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato con distinto riferimento i singoli redditi delle varie categorie.
1.2. Col secondo mezzo deducono l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riguardante l’idoneità della documentazione prodotta ad assolvere l’onere della prova contraria rispetto agli accertamenti finanziari.
2. Il primo mezzo è infondato per le ragioni di seguito esposte.
2.1. Le ragioni del rigetto dell’appello del contribuente di cui alla gravata sentenza si fondano essenzialmente sulla genericità della prova liberatoria che consente di superare la presunzione di cui all’articolo 32 d.P.R. cit. (v. sentenza impugnata, pag. 3, terzo cpv.: «il contribuente si limita ad affermazioni veramente assertive, generiche, non provate e che non possono costituire il fondamento di una decisione giudiziale») e sull’implausibilità delle giustificazioni addotte dal contribuente («argomentazioni aventi ad oggetto la composizione del nucleo familiare, ma che nulla dimostra al fine di giustificare versamenti e prelevamenti che l’ufficio ha recuperato tassazione (…) ha prodotto solo parziali giustificazioni documentali che nulla tolgono al puntuale e corretto accertamento dell’ufficio»), e ciò sull’assunto, in diritto, la prova contraria avverso le presunzioni conseguenti ai controlli bancari «avrebbe dovuto essere specifica e non generica con riferimento alle singole operazioni risultanti dalla documentazione finanziaria come affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 18339 del 17/08/2009 (…)».
3. A fronte di tali motivazioni, il primo motivo ricorso risulta infondato nella parte in cui censura la meccanica attribuzione presuntiva degli utili extracontabili delle società di cui G.V. era socio. In realtà, alcuna violazione di legge vi è stata in quanto la presunzione di attribuzione ai soci di società a ristretta base sociale degli utili extracontabili, imputati al socio nell’anno in cui sono conseguiti, è superabile solo con la prova contraria da parte del socio – ritenuta non fornita dalla Commissione tributaria regionale – che tali utili non sono stati distribuiti perché accantonati e reinvestiti nella società.
3.1. Ed infatti, nell’ipotesi di società a ristretta base sociale (o a base familiare), la giurisprudenza di questa Corte, con orientamento non contrastato, ammette la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che vanno imputati al socio nell’anno in cui sono conseguiti, sempre che il socio non dimostri che gli utili extracontabili non sono stati distribuiti perché accantonati e reinvestiti nella società. È stato chiarito che il ricorso a tale presunzione, non viola il cd. divieto di doppia presunzione, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società – nella specie la M. s.r.l.- ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (ex pluribus, cfr. Cass. nn. 15824 del 2016, 32959 del 2018, 27778 del 2017; id. Cass., 24/01/2019, n. 1947).
3.1. Sul rapporto tra società a ristretta base e potere dell’Ufficio di svolgere accertamenti bancari ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, è stato evidenziato che l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perché la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa (ex plurimis, v. Cass., 21/11/2018, n. 30098; id., Cass., 15/03/2013, n. 6595). In tal senso è stato soggiunto che per le società di capitali con ristretta base partecipativa, ove sia accertata la percezione di redditi societari non contabilizzati, opera la presunzione di loro distribuzione “prò quota” ai soci, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti dalla società, non occorrendo che l’accertamento emesso nei confronti dei soci risulti fondato anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati (v. Cass., 11/08/2020, n. 16913).
3.2. Sulla base di tali principi, dunque, il primo motivo di ricorso risulta del tutto destituito di fondamento.
4. Il secondo motivo di ricorso, con il quale ci censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio ex art. 360, primo comma. n. 5 cod. proc. civ., risulta inammissibile in quanto i documenti cui i ricorrenti fanno riferimento ed il cui esame sarebbe stato omesso dalla Commissione tributaria regionale, sono solo richiamati e non riportati nel corpo del ricorso, con la conseguenza che questa Corte non può valutarne la decisività. Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la denuncia di omessa valutazione di prove documentali, comporta l’onere del ricorrente, per il principio di autosufficienza, non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (v. Cass.,21/05/2019 n. 13625).
5. Ne consegue che il ricorso va integralmente rigettato.
6. Nulla si provvede per le spese di lite, in quanto l’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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