CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 luglio 2019, n. 19923
Rapporto di lavoro – Demansionamento – Determinazione del danno patrimoniale – Emarginazione professionale e la scelta del dipendente di accedere al pensionamento anticipato
Rilevato che
1. con sentenza n. 557/2015 la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato in complessivi € 155.284,00 la somma capitale liquidata in favore di C.M., C.M. e A.L.C. quali eredi di R.M., originario ricorrente, a titolo di risarcimento del danno da demansionamento sofferto dal dante causa;
1.1. il giudice di appello, confermato l’accertamento del giudice di primo grado in punto di protratto demansionamento del M. da parte della datrice di lavoro, I.F.C.A. – Istituto Fiorentino di cura ed assistenza s.p.a. (da ora I.F.C.A.) -, confermata la correttezza della determinazione del danno patrimoniale in misura corrispondente all’importo versato dal M. all’INPS (per riscatto degli anni universitarii) onde accedere quanto prima al pensionamento anticipato di anzianità e porre in tal modo fine alla situazione di degrado ed emarginazione professionale, ha ritenuto insufficiente la somma, pari a € 10.000,00, liquidata in prime cure a titolo di ristoro del danno non patrimoniale, e la ha rideterminata in via equitativa in € 60.000,00;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso I.F.C.A.
sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 – bis.1. cod. proc. civ.;.
Considerato che
1. con il primo motivo parte ricorrente, denunziando ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 1218, 1223, 1226, 2103, 2087, 2697 e 2727 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto a titolo di danno patrimoniale scaturente dal demansionamento l’importo versato dal M. per il riscatto degli anni universitari ai fini del pensionamento anticipato.
Tale importo – sostiene – non si configurava quale conseguenza diretta ed esclusiva della illegittima condotta datoriale in quanto la scelta del pensionamento costituisce frutto di libera determinazione del dipendente che elide il nesso eziologico tra la (asserita) perdita patrimoniale ed il comportamento aziendale;
2. con il secondo motivo, denunziando ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 1218, 1223, 2103, 2043, 2059 2087, 2697 e 2727 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto, in carenza di un quadro probatorio specifico, il K. danno non patrimoniale e per avere proceduto alla relativa quantificazione in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità che, onde evitare la moltiplicazione delle voci di danno, richiede a tal fine la rigorosa allegazione e prova dello specifico pregiudizio sofferto dal lavoratore. Assume, infatti, che in concreto il danno era stato riconosciuto per il solo fatto dell’inadempimento datoriale; assume, inoltre, che vi era stata duplicazione delle voci di danno laddove, accanto al danno all’immagine era stato attribuito anche il danno alla dignità professionale ed alla <<sofferenza soggettiva dell’interessato connessa all’emarginazione professionale e alla necessitata determinazione al pensionamento anticipato>>;
3. preliminarmente deve essere disattesa la eccezione formulata dalla parte controricorrente intesa a far valere la inammissibilità del ricorso per cassazione nei confronti di A.C.L. e C.M. sul rilievo che la procura alle liti rilasciata da I. F.C.A. era stata conferita in relazione alla sola difesa nel giudizio nei confronti di C.M.. Ed invero la riferibilità della procura anche al ricorso per cassazione nei confronti di A.C.L. e C.M., pur facendo la stessa riferimento al solo nominativo di C.M., può ritenersi sulla base del principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo il quale il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione rispetta il requisito della specialità, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale si rivolge, atteso che il rispetto di quel requisito è con certezza deducibile, in base all’ interpretazione letterale, teleologica e sistematica, dell’art. 83 cod. proc. civ. (nella nuova formulazione di cui alla legge n. 141/97) per il fatto che il mandato forma materialmente corpo con il ricorso od il controricorso, essendo la posizione topografica della procura idonea – salvo che dal suo testo si ricavi il contrario – a dar luogo alla presunzione di riferibilità della procura medesima al giudizio cui l’atto accede (Cass. n. 15692 del 2009, Cass. n. 11741 del 2007). Nel caso di specie la presunzione di riferibilità della procura speciale, apposta su foglio materialmente spillato al ricorso per cassazione, alla impugnazione proposta oltre che nei confronti di C.M. anche nei confronti di A.C.L. e di C.M., non è superata dalla indicazione del nominativo, nella formula di conferimento della procura alle liti, del solo C.M., apparendo già prima facie la mancata indicazione anche del nominativi di A.C.L. e di C.M. frutto di mera svista in assenza di specifica, plausibile ragione per la quale la società avrebbe dovuto impugnare la sentenza di appello nei confronti del solo C.M. che rivestiva la medesima posizione sostanziale e processuale degli altri aventi causa dell’originario ricorrente;
4. il primo motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell’art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno – avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore – e determinarne l’entità, anche in via equitativa, con processo logico – giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (Cass. n. 19778 del 2014, Cass. n. 4652 del 2009). La sentenza impugnata ha dichiarato di condividere la decisione di primo grado <<circa la sussistenza del lamentato e prolungato demansionamento sul piano qualitativo e quantitativo sofferto dal M. nei suoi compiti specialistici >> nonché, in relazione al pregiudizio patrimoniale, la considerazione che, approssimandosi ai sessantanni di età, il M. aveva ritenuto opportuno di andare in pensione per porre fine alla situazione di degrado professionale alla quale l’azienda lo aveva sottoposto nonostante le reiterate richieste di adeguata ricollocazione nell’organigramma della casa di cura (v. sentenza, pag. 3, capoversi 3° e 4°); nella determinazione del danno non patrimoniale ha fatto riferimento alla sofferenza soggettiva scaturita nell’interessato dalla <<necessitata determinazione al pensionamento anticipato>>. Il concreto accertamento del giudice di seconde cure, che instaura una diretta relazione tra la situazione di emarginazione professionale del M. e la scelta di questi di accedere al pensionamento anticipato (con connesso riscatto degli anni universitarii), non risulta incrinato dalle generiche deduzioni alle quali la odierna ricorrente affida la illustrazione del motivo; non viene, infatti, allegata alcuna circostanza concreta che, ove considerata dal giudice di merito, avrebbe indotto con certezza ad una diversa ricostruzione del rapporto di derivazione causale tra situazione di degrado professionale ed emarginazione nella quale versava il M. e la scelta del pensionamento anticipato. Tale non appare, già prima facie il riferimento alle dimissioni rassegnate dal M. (a prescindere dalla violazione dell’art. 366 comma 1 n. 6 cod. proc. civ. per mancata trascrizione del documento), circostanza implicitamente esaminata dalla Corte nel porre in relazione causale diretta la situazione di emarginazione professionale del M. e la scelta del professionista di pensionamento anticipato; il riferimento al fatto dell’essere notorio che la scelta del pensionamento costituisce frutto di una complessiva ponderazione dell’interessato risulta, già in astratto, inidoneo alla valida censura della decisione in quanto secondo la giurisprudenza di legittimità, il ricorso, da parte del giudice, alle nozioni di fatto di comune esperienza, le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili, e non anche elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, attiene all’esercizio di un potere discrezionale; pertanto, la violazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c. può configurarsi solo quando il giudice ne abbia fatto positivamente uso e non anche ove non abbia ritenuto – come avvenuto nel caso di specie – necessario avvalersene, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 7726 del 2019). La liquidazione del danno patrimoniale in misura corrispondente ai costi sostenuti per l’accesso al pensionamento anticipato di anzianità appare coerente e logica con l’accertamento operato e si sottrae, pertanto, alle doglianze formulate;
5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Le censure articolate si risolvono in una serie di enunciazioni di principio relative alla necessità di adeguata allegazione e prova da parte del lavoratore del pregiudizio sofferto e della relativa entità ma non dimostrano mediante lo specifico riferimento agli atti di causa ed allo sviluppo della vicenda processuale nelle fasi di merito che parte ricorrente si è sottratta agli oneri di allegazione e prova sulla stessa gravanti. Neppure è ravvisabile la asserita duplicazione delle medesime voci di danno avendo la Corte di merito puntualizzato che la somma attribuita in via equitativa <<copriva>> sia il danno all’immagine sia <<la lesione della dignità personale e la frustrazione per la lenta e progressiva emarginazione>>, pregiudizio quest’ultimo concettualmente distinto dal primo, seppure a quello accomunato in quanto connesso con la lesione di diritti del lavoratore oggetto di tutela Costituzionale (Cass. n. 7963 del 2012), ed entrambi espressione della rilevanza costituzionale che la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione (Cass. n 6507 del 2001);
6. le spese di lite sono regolate secondo soccombenza;
7. sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 6.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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