CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 luglio 2020, n. 15755
Tributi – Istanza di accertamento con adesione relativa ad avviso di accertamento non preceduto da invito a comparire – Presentazione a mezzo raccomandata in busta chiusa con ricevuta di ritorno, in carta libera con indicazione del recapito – Legittimità – Termine – Rilevanza della data di spedizione
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate notificava alla società M. dei F.Ili M.A. & L. s.n.c. avviso di accertamento con il quale contestava violazioni ai fini IRAP ed I.V.A. per l’anno 2006, avendo rilevato l’emissione di fatture per operazioni inesistenti; notificava, altresì, due distinti avvisi di accertamento nei confronti dei soci L. e A.M. ai fini Irpef.
La società contribuente in data 17 febbraio 2012 inoltrava istanza di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 del 1997 a mezzo invio di raccomandata in busta chiusa con ricevuta di ritorno, che perveniva all’Ufficio il giorno dopo la scadenza del termine di 60 gg. dalla notifica dell’accertamento.
Il ricorso avverso l’avviso innanzi alla Commissione provinciale di Brescia veniva dichiarato inammissibile perché tardivo.
In esito all’appello proposto dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava illegittimo l’avviso di accertamento. Osservava, in via preliminare, che doveva darsi rilevanza alla data di invio del plico contenente l’istanza di accertamento con adesione e non alla data di ricezione dello stesso da parte dell’Amministrazione, per cui era da respingere l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo; nel merito, non ravvisando motivi di urgenza o adeguate motivazioni che potessero giustificare l’inosservanza del termine di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, riteneva che il mancato rispetto di tale termine dovesse essere sanzionato con la dichiarazione di invalidità dell’atto, come sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22230 del 4 novembre 2010.
Ricorre per la cassazione della suddetta decisione l’Agenzia delle entrate, affidandosi a due motivi, cui resiste la società contribuente con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 6 d.lgs. n. 218 del 1997, 3 d.P.R. n. 460 del 1996, 3 legge n. 241 del 1990, d.m. Ministero delle Finanze n. 678 del 1994 e 21 e 20 d.lgs. n. 546 del 1992. Sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dalla Commissione regionale, l’istanza di accertamento produce i suoi effetti, ivi compreso quello di sospendere il termine di impugnazione per proporre il ricorso giurisdizionale, solo ed esclusivamente quando l’istanza sia stata ricevuta dall’Ufficio; anche gli effetti <<accessori>>, tra cui il dovere dell’Ufficio di convocare il contribuente per dar corso alla procedura di contraddittorio finalizzata all’eventuale accertamento con adesione entro quindici giorni, decorrono dalla ricezione dell’istanza di accertamento. Assume, inoltre, che né l’art. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997, né l’art. 3 del d.P.R. n. 460 del 1996 prevedono che l’istanza di accertamento con adesione possa essere inviata con piego chiuso senza busta e che una istanza amministrativa non può mai considerarsi presentata il giorno della sua spedizione a mezzo posta. Essendo pacifico che l’avviso di accertamento era stato notificato il 21 dicembre 2011 e che il termine per proporre ricorso scadeva il 20 febbraio 2012, il ricorso doveva essere considerato tardivo perché proposto solo in data 17 aprile 2012.
2. Il motivo è infondato e va disatteso.
L’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 218 del 1997, nel disciplinare le modalità di presentazione dell’istanza di accertamento con adesione successiva alla notifica dell’avviso di accertamento non preceduto da invito a comparire, prevede che l’istanza possa essere presentata dal contribuente in carta libera, con la indicazione del recapito, anche telefonico, e, quanto al termine per la proposizione dell’impugnazione dinanzi alla Commissione tributaria, si limita a stabilire che è di 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento, in conformità a quanto dispone l’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Con riguardo alla questione della tempestività delle istanze di accertamento con adesione spedite a mezzo posta, questa Corte ha avuto modo di precisare che <<l’istanza di accertamento con adesione è ammissibile anche se spedita in busta chiusa e senza avviso di ricevimento, purché l’invio avvenga entro il sessantesimo giorno dalla notifica dell’atto impositivo (a prescindere dalla data di ricezione eventualmente successiva) in quanto l’art. 12 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, prescrive unicamente la forma scritta>> e che, del resto, non è ammissibile l’estensione analogica di una causa di decadenza che l’art. 22 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 pone in combinato disposto con l’art. 20 dello stesso decreto unicamente con riferimento al ricorso giurisdizionale, attesa la diversa funzione assolta dalla suddetta istanza rispetto al ricorso giurisdizionale che sia stato spedito alla Commissione tributaria provinciale con raccomandata priva di avviso di ricevimento ed in busta chiusa (Cass., sez. 5, n. 17314 del 30/07/2014).
Ne discende che, stante il principio di tassatività delle cause di decadenza dall’impugnazione (Cass. n. 7352 del 30/3/2006), la decisione del giudice di merito circa la legittimità dell’istanza di accertamento con adesione inviata dalla contribuente risulta conforme ai superiori principi richiamati, non avendo la Agenzia delle entrate neppure dedotto che la busta chiusa non contenesse l’istanza di accertamento con adesione relativa all’avviso di accertamento previamente notificato alla contribuente.
3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 legge n. 212 del 2000, dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., in quanto i giudici regionali hanno affermato l’invalidità dell’avviso opposto perchè notificato prima dello scadere del termine di sessanta giorni posto dal comma 7 dello Statuto del contribuente, non avendo ravvisato ragioni di urgenza che potessero legittimare l’inosservanza dello stesso termine; deduce, al riguardo, che l’avviso era stato notificato il 21 dicembre 2001, ossia qualche giorno prima della scadenza del termine per rettificare le dichiarazioni I.V.A. e IRAP per l’anno 2006.
Il motivo è infondato.
Non è in contestazione tra le parti che vi sia stato un accesso presso la sede della società in data 25 novembre 2011, all’esito del quale è stato redatto verbale di accesso, e che in data 21 dicembre 2011 è stato notificato l’avviso di accertamento oggetto di impugnazione, prima del decorso del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio (Cass. Sez. U, n. 18184 del 20/7/2013; Cass, sez. 5, ordinanza n. 27623 del 30/10/2018; Cass. n. 10388 del 12/4/2019).
Tale principio non può subire deroghe per il fatto che sia imminente la scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa.
Va, al riguardo, ribadito il principio secondo cui, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 (Cass. n. 8749 del 10/4/2018), ben potendo, invece, l’amministrazione offrire come giustificazione dell’urgenza la prova che l’esercizio nell’imminenza della scadenza del termine sia dipeso da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso sull’attività accertativa fino al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, a pena di vedere dissolta la finalità di recupero delle imposte non versate dal contribuente. La sola imminenza della scadenza del termine non integra, dunque, ragione di urgenza, spettando all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza (all’epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del termine idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento.
Nel caso in esame l’Agenzia delle entrate non ha assolto tale onere, poiché non ha indicato fatti concreti e precisi che le hanno impedito di procedere con l’accertamento tempestivamente per evitare la decadenza.
La Commissione regionale non si è discostata dai suddetti principi e va, pertanto, esente dalla censura ad essa rivolta.
4. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità.
Il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 – bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass, sez. 3, n. 5955 del 14/03/2014; Cass. Sez. U, n. 26280 del 25/11/2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
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