CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 luglio 2021, n. 21226
Licenziamento intimato dal curatore del fallimento – Opposizione avverso lo stato passivo del fallimento – Domanda tardiva di ammissione al passivo – Proroga del termine
Rilevato che
A.G. ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, illustrati anche con memoria, avverso il decreto del 14 gennaio 2020, con cui il Tribunale di Palermo ha rigettato l’opposizione dalla stessa proposta avverso lo stato passivo del fallimento dell’I.A.L. Sicilia, avente ad oggetto la domanda tardiva di ammissione al passivo, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751-bis cod. civ., di un credito di Euro 12.743,22, a titolo d’indennità di preavviso dovuta per effetto del licenziamento intimatole dal curatore del fallimento;
che il curatore del fallimento non ha svolto attività difensiva.
Considerato che
con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 16, primo comma, n. 4 e 101, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, sostenendo che, nel ritenere inammissibile la domanda di ammissione al passivo, in quanto proposta dopo la scadenza del termine previsto dalla prima parte di quest’ultima disposizione, il Tribunale non ha tenuto conto dell’avvenuta fissazione dell’adunanza per l’esame dello stato passivo oltre il centoventesimo giorno dalla dichiarazione di fallimento, attestante la particolare complessità della procedura, che comportava la proroga del pre-detto termine, si sensi della seconda parte dell’art. 101, primo comma, cit.;
che il motivo è infondato;
che non può infatti condividersi la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui la proroga del termine per la proposizione delle domande tardive di ammissione al passivo non dev’essere disposta al momento della dichiarazione di fallimento, costituendo una conseguenza della complessità della procedura, ricollegabile alla fissazione dell’adunanza per l’esame dello stato passivo oltre il centoventesimo giorno dalla dichiarazione di fallimento;
che in senso contrario depone il chiaro tenore testuale dell’art. 101, primo comma, seconda parte, della legge fall., il quale, nel prevedere la possibilità di prorogare il predetto termine da dodici a diciotto mesi, in caso di particolare complessità della procedura, precisa che detta proroga deve essere disposta «con la sentenza che dichiara il fallimento», in tal modo rimettendo la relativa determinazione al potere discrezionale del tribunale fallimentare, da esercitarsi in via preventiva, con la conseguente esclusione di qualsiasi automatismo, oltre che della possibilità di rinviare tale valutazione ad un momento successivo;
che la disposizione in esame mira a contemperare l’esigenza di flessibilità nell’articolazione della procedura con quella di certezza nell’individuazione dei relativi termini, garantendo al tempo stesso la possibilità di prevedere tempi diversi per il suo svolgimento, in relazione alla complessità delle operazioni da compiere per la formazione dello stato passivo, e la salvaguardia della posizione di uguaglianza dei creditori, mediante l’affidamento al tribunale di una valutazione prognostica fondata sul numero dei creditori e sulle difficoltà che il curatore è prevedibilmente destinato ad incontrare nella ricostruzione della situazione debitoria;
che le predette finalità vanno tenute distinte da quelle perseguite dal le-gislatore attraverso la disposizione di cui all’art. 16, primo comma, n. 4 della legge fall., che, nell’annoverare tra i contenuti necessari della sentenza di fallimento la fissazione dell’adunanza per la verifica dei crediti, stabilisce che la stessa deve tenersi «entro il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza, ovvero centottanta giorni in caso di parti-colare complessità della procedura»;
che tale disposizione, pur rivestendo anch’essa una portata acceleratoria, risponde infatti alla finalità di assicurare al curatore il tempo necessario per il compimento delle operazioni preliminari alla verifica dei crediti, in particolare per l’esame delle scritture contabili e delle altre fonti d’informazione, l’individuazione dei soggetti aventi titolo a partecipare al concorso e l’effettuazione dei relativi avvisi, e ai destinatari di questi ultimi il tempo necessario per la formulazione delle domande di ammissione al passivo;
che la riferibilità dei predetti adempimenti alla fase anteriore allo svolgimento dell’adunanza di verifica dei crediti rende evidente la diversità della funzione assegnata al termine di cui all’art. 16, primo comma, n. 4 da quella del termine di cui all’art. 101, primo comma, della legge fall., riguardante invece la fase successiva, escludendo pertanto la possibilità di ricollegare alla valutazione compiuta dal tribunale ai fini della fissazione del primo termine l’automatica proroga del secondo (cfr. Cass., Sez. VI, 15/06/2021, nn. 16943, 16944, 16945, 16946);
che non merita pertanto censura il decreto impugnato, il quale, rilevato che la sentenza di fallimento non prevedeva la proroga del termine per la proposizione delle domande tardive di ammissione al passivo, ha dichiarato inammissibile la domanda proposta dalla ricorrente, in quanto depositata in data successiva alla scadenza, osservando che la ricorrente era a conoscenza dell’intervenuta dichiarazione di fallimento del debitore, avendo presentato istanza tempestiva di insinuazione al passivo per altri crediti, e reputando irrilevante la circostanza che l’adunanza per la verifica dei crediti fosse stata fissata ad oltre centoventi giorni di distanza dal deposito della sentenza di fallimento;
che parimenti irrilevante deve ritenersi la circostanza che il Giudice delegato abbia autorizzato il curatore a procedere al deposito frazionato dello stato passivo, non risultando la stessa idonea ad incidere sulla decorrenza del termine per la proposizione delle domande tardive di ammissione al passivo, ricollegabile, nel caso in cui il procedimento di verifica si protragga per più udienze, esclusivamente all’esaurimento dell’esame di tutte le domande pre-sentate tempestivamente, con la conseguente inefficacia di eventuali decreti di esecutività emessi all’esito di ciascuna udienza (cfr. Cass., Sez. VI, 9/02/ 2021, n. 3054; Cass., Sez. I, 18/01/2018, n. 1179);
che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., censurando il decreto impugnato nella parte in cui l’ha con-dannata al pagamento delle spese processuali, senza tener conto della novità della questione trattata, che avrebbe giustificato la compensazione integrale o parziale delle spese;
che il motivo è inammissibile;
che, in tema di spese processuali, il sindacato del Giudice di legittimità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., è limitato alla verifica che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono es-sere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, restando invece affidata alla discrezionalità del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di com-pensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass., Sez. VI, 17/10/2017, n. 24502; Cass., Sez. V, 31/03/2017, n. 8421; 19/06/2013, n. 15317);
che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al re-golamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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