CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 maggio 2018, n. 12738
Tributi – IRPEF – Redditi di impresa – Determinazione del reddito – Deducibilità dei componenti negativi – Società non operante nel settore creditizio o finanziario – Contratti di “interest rate swap” – Esclusione
Considerato che
l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 93/06/10, depositata il 27.10.2010 dalla Commissione Tributaria Regionale della Emilia Romagna. Il contenzioso traeva origine da una verifica fiscale, all’esito della quale con avviso di accertamento n. 86903T4009612006, notificato alla società A.P., poi A.P., era recuperata a tassazione la somma di € 1.239.000,00 relativa ad Irpeg 2003.
L’Ufficio non riconosceva il requisito dell’inerenza dei costi sostenuti per la risoluzione anticipata di due contratti relativi a prodotti finanziari derivati, di interest rate swap, stipulati nel 2002 con la Banca Popolare di Verona e con Rolo Banca 1473 – Unicredit.
La società proponeva ricorso avverso l’atto impositivo, accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia con sentenza del 16.04.2009. L’appello della Agenzia era respinto dalla Commissione Regionale emiliana con la sentenza ora impugnata.
L’Ufficio ha censurato la sentenza con due motivi:
con il primo per falsa applicazione dell’art. 103 bis del d.P.R. n. 917 del 1986, ratione temporis vigente, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver erroneamente interpretato la disciplina con riguardo alla deduzione dall’imponibile dei costi sopportati dalla società per contratti a termine su derivati finanziari;
con il secondo per insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non emergendo l’iter logico da cui desumere il rapporto tra i contratti per derivati finanziari, stipulati e poi risolti, e le finalità produttive sociali;
ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza.
Si è costituita la società, che ha contestato le avverse difese per inammissibilità e infondatezza dei motivi, dichiarando anche di spiegare ricorso incidentale condizionato relativamente alle argomentazioni sostenute nei propri scritti difensivi, in particolare insistendo sulla natura e funzione di copertura rischi assunta dai derivati, cui pertanto non potevano riconoscersi esclusive funzioni speculative.
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso. È stata depositata memoria ex art. 380 bis.l dalla società.
Ritenuto che
I motivi di ricorso possono essere esaminati unitariamente trattando della medesima questione, ossia della deducibilità o meno dei costi sostenuti dalla società per la risoluzione di due contratti su derivati finanziari, di interest rate swap, sulla base della regola della inerenza. Essi sono fondati.
La sentenza impugnata riferisce che i contratti in questione erano stati stipulati nel 2002 su suggerimento di alcune banche, con durata quinquennale; erano stati definiti nella nota integrativa del bilancio di esercizio al 31.12.2002 come strumenti finanziari “non di copertura”. Nei primi mesi del 2003 erano stati anticipatamente risolti, previo esborso di € 1.239.000,00. Tale costo era stato portato in deduzione dalla società.
Tra la tesi dell’Ufficio – che ne aveva negato la deducibilità per difetto di inerenza sancito dall’art. 109 TUIR, sostenendo che la struttura negoziale fosse eminentemente aleatoria, finalizzata non alla copertura rischi ma ad intenti speculativi, di conseguenza da collocare tra le operazioni fuori bilancio e con costi a priori inidonei a produrre alcun risultato positivo per l’impresa – e la tesi della A. – che sosteneva di avere agito sulla base dell’allora vigente art. 103 bis, co. 3 bis del TUIR (poi 109), il quale aveva esteso anche alle imprese diverse da quelle creditizie e finanziarie la rilevanza fiscale di operazioni fuori bilancio, comprese quelle non aventi finalità di copertura – il giudice d’appello, dopo aver riassunto l’articolata motivazione della sentenza di primo grado, affermava che <<la società ARCELOR ….ha ad oggetto la lavorazione, selezione, preparazione e commercio di prodotti di acciaio, di prodotti siderurgici e di metalli. Per il conseguimento dello scopo sociale essa può compiere qualsiasi operazione mobiliare, immobiliare, commerciale, industriale e finanziaria necessaria o utile. Rientra nella attività finanziaria la stipula di contratti di interest rate swap (scambio tra tassi di interesse) con enti creditizi, consistenti nel prendere denaro a prestito pagando un tasso fisso e in più una commissione bancaria di servizio, e nel prestarlo agli enti medesimi a tasso variabile. La differenza tra interessi attivi (a tasso variabile) e interessi passivi (a tasso fisso) e la commissione bancaria, costituisce reddito o perdita. In base all’art. 103 bis del TUIR e norme connesse la ammissibilità di deduzioni di imponibile per eventuali perdite sui contratti di interesse va ritenuta inerente sia che si tratti di operazioni a scopo di copertura, sia a scopo speculativo, purché finalizzate ad una redditività e il tutto sia portato a bilancio>>.
Ebbene, alla luce dei dati normativi e dei principi regolanti il concetto di inerenza del costo, ai fini fiscali, l’interpetazione del giudice regionale è erronea e non può essere condivisa.
La giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato, con riferimento al reddito di impresa, che l’onere della prova della esistenza e della inerenza dei costi incombe sul contribuente (tra le tante e recenti, cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 9818 del 2016), ma soprattutto, ai fini che qui interessano, si è di recente affermato che in tema di deducibilità dei costi ai fini fiscali, vanno esclusi dai componenti negativi del reddito d’impresa gli accantonamenti per la copertura del rischio inerente il contratto denominato “interest rate swap”, quando la società non operi nel settore creditizio o finanziario, perché manca il requisito della inerenza del costo alla attività d’impresa, richiesto dall’art. 75 del d.P.R. n. 917 del 1986, all’epoca vigente, ora art. 109 del medesimo d.P.R.(Cass., Sez. 5, sent. n. 5160 del 2017).
L’orientamento va senz’altro condiviso, atteso che non si pone in discussione che la deducibilità di costi per contratti su interessi possa riguardare anche operazioni fuori bilancio, e non è neppure in discussione che tutta la disciplina prevista dall’art. 103 bis, compreso il comma 3 della norma ratione temporis vigente (ora art. 112, co. 5 e 6 del TUIR) sia stata estesa a soggetti diversi dagli enti creditizi e finanziari; quello che resta vincolante sotto il profilo della interpretazione delle regole di computo dei costi e dei ricavi è che nel caso che ci occupa sono insussistenti le condizioni di deducibilità dei costi di cui all’art. 75, proprio per la carenza del preliminare requisito della inerenza del costo alla attività di impresa svolta dalla società. Posto infatti che la A. pacificamente è società produttrice di beni (nel campo dei metalli e dell’acciaio) e certamente non opera nel settore dei servizi creditizi o finanziari, nessuna correlazione è ravvisabile tra la perdita derivante dalla stipulazione di un contratto di “interest rate swap” ed i ricavi o componenti positivi derivanti dalla attività di impresa svolta „da una società il cui oggetto sociale è costituito dalla produzione di metalli e acciai. Né può affermarsi che l’inerenza, qualunque valore ad essa voglia attribuirsi (cfr. da ultimo Cass., ord. n. 450 del 2018), sussista ogni qual volta i costi siano riferibili a qualsiasi operazione idonea a produrre reddito, poiché la riferibilità si relaziona non ai ricavi in sé, ma all’oggetto dell’impresa (costante in tal senso la giurisprudenza, Sez. 5, sent. n. 10269/2017; sent. n. 3746/2015; sent. n. 21184/2014; sent. n. 7701/2013).
Neppure la prospettazione che i contratti di interest rate swap sottoscritti tra la società e le banche fossero a copertura di rischi inerenti all’attività di impresa è persuasiva, emergendo anzi il contrario.
Risulta innanzitutto che nella nota integrativa i contratti fossero definiti strumenti finanziari non di copertura, ed inutilmente ora la difesa della contribuente mira a sminuire la portata e la rilevanza della nota; emerge peraltro pacificamente che il negozio fosse strutturato non solo con tipico scambio del tasso di interesse variabile – nel caso specifico E. tre mesi – contro il pagamento di un tasso fisso ed una commissione (cioè un classico swap su interessi, che già in sé implica una “scommessa” sulle performanti future dei due tassi), ma con una componente opzionale relativa al tasso d’interesse riferibile al dollaro USA – così introducendo un ulteriore elemento aleatorio, ossia combinandosi con la struttura del currrency swap (swap su valuta).
Al riguardo, perché possa riconoscersi la finalità di copertura del prodotto derivato -in assenza di una specifica definizione, è utile fare riferimento alla Circolare n. 166 del 1992 della Banca d’Italia, che nel § 5.9 definisce operazioni di copertura quelle effettuate a scopo di protezione – dal rischio di variazioni negative dei tassi di interesse, dei tassi di cambio o dei prezzi di mercato – del valore di singole attività o passività in bilancio o fuori bilancio o di insiemi di attività o di passività, a tal fine richiedendosi il concorso delle seguenti condizioni: a) l’intento dell’ente di porre in essere la copertura; b) l’elevata correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso d’interesse, ecc.) delle attività/passività coperte e quelle del contratto di copertura; c) la documentazione, risultante da evidenze interne, della sussistenza delle prime due condizioni. Tali condizioni sono peraltro richiamate dalle determinazioni Consob 26 febbraio 1999, necessarie per rilevare una stretta correlazione tra l’operazione di “copertura” e il rischio da coprire (cfr. Cass., Sez. 1, sent. n. 19013/2017 nella diversa ma per certi aspetti accomunabile questione della necessaria correlazione tra l’operazione di copertura e il rischio da coprire al fine della valutazione di meritevolezza degli interessi perseguiti con i contratti cd. “derivati”).
Ebbene, nessuna di queste condizioni si evince nell’operazione messa in essere dalla A., il che inequivocabilmente comporta che il prodotto negoziato fosse tipicamente aleatorio e speculativo, escludendosene pertanto la natura di operazione di copertura.
In conclusione, le operazioni di swap sugli interessi avevano caratteristiche estranee all’oggetto sociale, sicché i costi mancavano della inerenza ai ricavi sociali. Errata è dunque l’affermazione del giudice tributario regionale, secondo cui le perdite sui contratti di interesse vanno ritenute inerenti sia che si tratti di operazioni a scopo di copertura, sia a scopo speculativo, purché finalizzate ad una redditività.
La sentenza va dunque cassata.
Considerato che
Vertendo il giudizio sulla interpretazione giuridica della natura dei costi di risoluzione dei contratti di swap e sulla deducibilità o meno dal reddito Irpeg dell’anno 2003, non vi è neppure necessità di accertamenti in fatto. In particolare, come già accennato, dalle circostanze in fatto emerse nella pronuncia del giudice d’appello, e dalle stesse difese delle parti, per quanto già chiarito, non emerge alcuna relazione tra tale contratto e una posizione debitoria da coprire.
La causa può essere pertanto decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso originario della contribuente.
Sussistono invece giustificati motivi, attesa la complessità della questione, per compensare tra le parti integralmente le spese di causa.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; rigetta quello incidentale della contribuente; cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Compensa le spese di causa.
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