CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 maggio 2018, n. 12773
Imposte locali – ICI – Accertamento – Riscossione – Notificazione – Processo tributario
Ritenuto
che la E. s.r.I., proprietaria di immobili, impugnava l’avviso di liquidazione per l’Ici relativa all’anno 2001, notificato dalla A.S. s.r.l. per conto del Comune di Pomezia, e l’adita Commissione tributaria provinciale di Roma rigettava il ricorso, con decisione confermata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale respingeva l’appello della contribuente ritenendo legittima la gestione dell’accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi locali da parte del Concessionario, invece che da parte del Comune, ai sensi dell’art. 52, d.lgs. n. 446 del 1997, ed evidenziava altresì che “all’attribuzione di tali poteri consegue quale ineluttabile conseguenza non solo la legittimazione sostanziale, ma anche la legittimazione processuale per le controversie che involgano tali materie”;
che la società contribuente propone ricorso per cassazione, affidato ad un articolato motivo, con cui denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto, giacché la CTR ha erroneamente escluso la fondatezza dell’eccepito difetto di legittimazione del Concessionario, spettando il potere di accertamento e riscossione dei tributi in via esclusiva all’Ente locale, e censura l’interpretazione dell’art. 1, comma 171, I. n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), fatta propria dal giudice di secondo grado per superare la eccezione di decadenza triennale della potestà impositiva, essendo stato l’avviso di liquidazione impugnato, per l’annualità Ici 2001, soltanto in data 3/1/2007;
che il Comune di Pomezia, il quale ha partecipato al giudizio di appello, deduce di essere subentrato alla A.S. s.r.I., la quale non ha svolto attività difensiva, a seguito dell’assunzione in gestione diretta del servizio di accertamento e riscossione dei tributi, giusta deliberazioni del Consiglio Comunale n. 40 del 28/4/2009, e della Giunta Comunale n. 116 del 20/5/2009, e ribadisce la sussistenza della legittimazione processuale della A.S. s.r.I., società mista a capitale pubblico maggioritario costituita per l’esternalizzazione delle attività connesse alla gestione dei tributi, soggetto del tutto autonomo e distinto rispetto all’Ente locale, mentre la A.S. s.r.l. non ha svolto attività difensiva;
che, preliminarmente, va rilevato che non risulta in atti la prova della notificazione del ricorso nei confronti della intimata società A.S. in liquidazione, in quanto la ricorrente non ha prodotto, neppure in copia, l’avviso di ricevimento della raccomandata spedita dall’ufficio postale il 23/6/2010 (al procuratore domiciliatario) e l’8/7/2011 (alla parte personalmente);
che, va fatta applicazione del principio di diritto, affermato da questa Corte, secondo cui “Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c. p. c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione “prima facie” infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.” (Cass. n. 15106/2013);
che entrambi i profili di censura della impugnata sentenza sono infondati e vanno respinti;
che la decisione è in linea con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, qualora il Comune, in applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52, che regola la potestà regolamentare generale – affidi (ritenendo ciò “più conveniente sotto il profilo economico o funzionale”) il servizio di accertamento e riscossione delle imposte locali, mediante apposita convenzione, ai soggetti terzi indicati nella norma suddetta, il potere di accertamento del tributo spetta al soggetto concessionario e non al Comune (ex multis, Cass. n. 15079/2004), ed all’attribuzione di tali poteri consegue, quale ineludibile conseguenza, non solo la legittimazione sostanziale, ma anche la legittimazione processuale per le controversie che involgano tali materie (Cass. n. 1138/2008, n. 6772/2010, n. 25305/2017);
che va disatteso anche il profilo di doglianza contenente la decadenza dell’Ente locale dalla potestà impositiva, atteso che la I. n. 296 del 2006, art. 1, ha riordinato la disciplina dei tributi locali, stabilendo, in sostituzione di quanto precedentemente disposto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 11 e 12, che gli avvisi di accertamento dovevano essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello della dichiarazione o del versamento ed i ruoli per la riscossione coattiva entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento era divenuto definitivo;
che, inoltre, il comma 171 del medesimo art. 1 sopra citato ha previsto l’applicabilità delle cennate disposizioni “anche ai rapporti d’imposta pendenti alla data di entrata in vigore della legge”, ed avuto riguardo al tenore letterale ed al significato delle parole usate, deve ritenersi, come correttamente affermato dalla impugnata sentenza, che con esse il Legislatore abbia voluto estendere le nuove regole a tutte le vicende non ancora esaurite, dettando così una disciplina destinata a valere anche per il passato (tra le tante, Cass. n. 10958/2011), e – a ben vedere – il dissenso espresso dalla ricorrente su tale lettura della disposizione non si è tradotto in una diversa ma argomentata interpretazione della stessa;
che il ricorso, in conclusione, va respinto e la ricorrente condannata al pagamento delle spese di lite, liquidate, in favore del costituito controricorrente, come in dispositivo;
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.
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