CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 maggio 2018, n. 12793
Contenzioso tributario – Compensazione spese processuali
Fatto
Par. 1 II GDP di Roma, con sentenza n. 67284/2009, accoglieva il ricorso della contribuente, compensando le spese di lite con gli enti rimasti contumaci.
Avverso detta sentenza, proponeva appello F. S. dinanzi al tribunale di Roma che, con sentenza n. 24219/2011, rigettava il gravame proposto esclusivamente avverso il capo relativo alla disposta compensazione delle spese di Avverso la sentenza del Tribunale capitolino, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
I resistenti non si sono costituiti.
Diritto
Par. 2 Con il primo motivo del ricorso, la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 91 c.p.c e dell’art. 92 c.p.c., censurando la pronuncia impugnata per avere operato la compensazione delle spese, pur in assenza della soccombenza reciproca e delle gravi ed eccezionali ragioni di cui alla disposizione codicistica.
Par. 3 Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, assumendo che il giudice d’appello ha ritenuto di poter integrare la motivazione della sentenza impugnata, salvo poi omettere di esplicare tale potere aderendo alla pronuncia impugnata con l’appello.
Par. 4 I motivi – che vanno esaminati congiuntamente, per la loro intima connessione, riguardando la medesima questione – sono destituiti di fondamento.
II giudizio di primo grado veniva introdotto con ricorso del 3.06.2008, in epoca antecedente alla data di entrata in vigore della L. 2009 n. 69, ragion per cui la normativa ratione temporis applicabile era quella dettata dall’art. 2 della L. 2005/263 che recitava “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.
Tanto premesso, in tema di contenzioso tributario, secondo la testuale previsione dell’art. 15, comma primo, d.lgs. n. 546 del 1992, la commissione tributaria può dichiarare compensate le spese processuali in tutto o in parte a norma dell’art. 92, comma secondo, cod. proc. civ., norma quest’ultima emendata dall’art. 2, comma primo, lett. a), legge n. 263 del 2005, come modificata dall’art. 39-quater legge n. 51 del 2006; siffatta modifica della norma del codice di rito, che richiede per ritenere la compensazione delle spese, la concorrenza di “altri giusti motivi, esplicitamente indicati in motivazione” si applica, stante l’espresso rinvio contenuto nel suo citato art. 15, anche nel processo tributario, a decorrere dal primo marzo 2006, data di entrata in vigore della legge n. 516 del 2006 e, quindi, ai giudizi instaurati (come quello di specie) successivamente a tale data; la compensazione delle spese può essere disposta, dunque, – ai sensi dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 45, comma 11, di detta legge – per ” giusti motivi esplicitamente indicati dal giudice nella motivazione della sentenza”, e non per “gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione”( Cass. n. 22793/2015; n. 12284/2016).
Par. 5 In particolare, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi, pur nel regime anteriore a quello introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. a) della legge 28 dicembre 2005, n. 263, deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente desumibili dal complesso della motivazione adottata, e fermo restando che la valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in cassazione quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale ( v. Cass. 24531/2010).
Ebbene, il primo giudice aveva illustrato le ragioni giustificatrici della decisione in merito alla compensazione, individuandole nella natura “prettamente formale della ratio decidendi” – avendo accolto il ricorso per vizio formale di formazione del procedimento sanzionatorio – con motivazione successivamente integrata dal tribunale, in sede di gravame, il quale rilevava la sussistenza dei giusti motivi nell’esiguo valore della controversia nonché nella possibilità di difendersi anche personalmente, tenuto conto della semplicità dell’argomentazione.
Ed invero, ove non vi abbia provveduto il primo giudice, i giusti motivi possono, per colmare il tenore della pronuncia di primo grado, essere indicati, in sede di appello, dal giudice chiamato a valutare la correttezza della statuizione sulle spese, il quale nell’esercizio del potere di correzione, può dare, entro i limiti del “devolutum”, un diverso fondamento al dispositivo contenuto nella sentenza impugnata (Cass.n. 13460 del 2012; Cass. n. 1130 del 2015;Cass. n. 7815 del 2016).
Par. 6 Nella presente fattispecie, la motivazione sia pure scarna del G. di P., risulta completata ed arricchita dal giudice di appello che, nel rispetto del disposto dell’art. 92 c.p.c., ha fornito un adeguato supporto motivazionale, fondato sul modestissimo valore della controversia e sulla facoltà, per questione di estrema semplicità, di stare in giudizio personalmente, apprezzamento, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità solo quando le ragioni fondanti la scelta di compensare le spese siano illogiche o contraddittorie e tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (Nella specie, la S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha confermato la statuizione di compensazione delle spese processuali adottata dal giudice di merito in relazione all’intransigenza dimostrata dalle parti rispetto ad una somma molto modesta, così ponendo in rilievo come, in considerazione della causale e dell’importo in oggetto, la risoluzione della controversia sarebbe potuta e dovuta avvenire bonariamente, ove le parti avessero dimostrato la volontà di definire la lite anziché irrigidirsi sulle rispettive posizioni: Cass. n. 7763/2012).
Nella specie, le ragioni addotte dal tribunale per giustificare la scelta di compensare le spese risultano congruentemente motivate soprattutto in relazione al modestissimo valore della controversia e alla semplicità della questione dedotta. Alcuna illogicità è ravvisabile in detta opzione prevista dal legislatore anche nell’ipotesi di totale soccombenza.
Il ricorso è, quindi, infondato e deve pertanto essere rigettato.
Nella contumacia dei resistenti, le spese restano a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
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