CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 maggio 2019, n. 14040
Tributi – TARSU – Albergo – Accertamento maggiore superficie tassabile – Sopralluogo effettuato dalla polizia municipale – Mancata comunicazione al contribuente – Mancata allegazione all’accertamento – Difetto di motivazione dell’atto – Nullità
Ritenuto che
1. con sentenza n. 5287/30/15, depositata il 21 dicembre 2015, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia accoglieva l’appello incidentale proposto dalla A. S. s.r.l. avverso la sentenza n. 200/4/12 della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento, relativo all’insufficiente versamento della TARSU per l’annualità 2008, che conseguiva ad un aumento della superficie tassabile a mq 9.554, rispetto a quelli dichiarati di mq 1.295, di cui la contribuente aveva chiesto l’annullamento per difetto di motivazione; nel merito aveva poi contestato l’applicabilità della delibera comunale n. 165 del 2006, annullata dal TAR, e degli aumenti tariffari ivi previsti, nonché l’applicazione di tariffe maggiorate per le attività alberghiere;
3. la CTP aveva parzialmente accolto il ricorso ritenendo inapplicabili gli aumenti di tariffa disposti dal 2006;
4. la CTR, accogliendo l’appello incidentale della contribuente, aveva annullato l’avviso per difetto di motivazione, rilevando che nello stesso veniva effettuato un riferimento agli esiti di un sopralluogo effettuato dalla polizia municipale, atto non comunicato alla contribuente né allegato all’accertamento;
5. avverso la sentenza di appello, il Comune di Palermo ha proposto ricorso per cassazione, notificato in data 17 giugno 2016, affidato a tre motivi; la società contribuente ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo il Comune di Palermo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000 e dell’art. 1, comma 162, della L. n. 296 del 2006, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha annullato l’avviso di accertamento per difetto di motivazione, sebbene nello stesso fossero indicati i presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento della pretesa tributaria, ed in particolare l’indicazione della superficie tassabile desunta da una planimetria fornita dalla stessa contribuente;
2. con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 73 del d.lgs. n. 507 del 1993 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., contestando la motivazione nella parte in cui aveva ritenuto che dalla mancata allegazione del verbale di accertamento della polizia municipale conseguisse anche un difetto di prova dei presupposti impositivi, ritenendo di aver assolto il proprio onere probatorio, ed incombendo sul contribuente la prova della correttezza della superficie dichiarata;
3. con il terzo motivo deduce la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per aver disposto il rigetto dell’appello principale senza alcuna motivazione.
Osserva che
1 Il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità.
1.1 Nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento (vedi Cass. n. 9536 del 2013 e n. 16147 del 2017).
1.2 Ebbene, nel ricorso per cassazione in esame il motivo, con cui si contesta la valutazione di inadeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento impugnato compiuta dalla CTR, è stato proposto senza riportare il contenuto dell’atto, rendendo così impossibile la verifica dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione.
In particolare si fa riferimento ad una planimetria, posta a fondamento della rettifica, che sarebbe stata fornita dalla contribuente, in relazione ad un parere di conformità dell’immobile alla normativa antincendio, non menzionata nella decisione impugnata, di cui non è possibile verificare il richiamo nell’avviso in contestazione.
2. Il secondo motivo risulta infondato.
2.1 È stato più volte affermato da questa Corte che in materia di imposta sui rifiuti opera il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, e quindi della presenza di superfici tassabili nel territorio comunale, mentre grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l’esenzione, costituendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (vedi Cass. n. 22130 e 21250 del 2017).
La CTR ha fatto corretta applicazione di tali principi laddove ha ritenuto che, in assenza della documentazione relativa ai presupposti della rettifica, l’amministrazione non avesse fornito la prova della fonte dell’obbligazione tributaria.
3. Infondato infine anche il terzo motivo in quanto dall’annullamento dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione non poteva che conseguire il rigetto dell’appello principale, avente ad oggetto questioni attinenti al quantum della pretesa impositiva, i cui motivi, senza bisogno di motivazione alcuna, dovevano ritenersi necessariamente assorbiti dal preliminare ed integrale annullamento dell’atto.
4. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso non può trovare accoglimento.
5. Segue la condanna del Comune ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
5.1 Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012 (che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il Comune ricorrente a pagare alla società contribuente le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di € 5.600,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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