CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 maggio 2019, n. 14067
Contratto di agenzia – Revoca per giusta causa – Mancata regolarità della polizza – Comportamento contrario alla buona fede e correttezza
Rilevato che
Con ricorso al Tribunale di Salerno, B. F. esponeva che dal 16.5.90 svolgeva attività di agente generale in gestione libera della V. A. per il territorio affidato all’agenzia di Vallo della Lucania; che con nota del 25.6.98 la società disponeva con effetto immediato la interruzione di tutti i rapporti di collaborazione e la liberalizzazione del relativo portafoglio, con conseguente inevitabile decremento della produzione; che la società in data 29.9.99 gli comunicava la revoca del contratto di agenzia per giusta causa in ragione della mancata regolarità della polizza del sig. C. M.; che la dedotta giusta causa era inesistente.
Premesso quanto sopra il F. adiva il Tribunale chiedendo il riconoscimento:
a) dell’indennità di riduzione incasso ex art. 8 AEC;
b) dell’indennità ex art. 12-bis AEC (indennità risoluzione rapporto);
c) dell’indennità sostitutiva del preavviso ex art. 13 AEC;
d) dell’indennità provvigioni ex art. 20 AEC;
e) dell’incremento monte premi ex art. 25 AEC;
f) dell’indennità provvigioni ex art. 27 AEC;
g) dell’indennità di incremento incassi ex art. 26 AEC;
h) dell’indennità ramo vita ex art. 28 AEC;
9) dell’indennità rischi trasporti ex art. 32 AEC;
i) dell’indennità ex art. 33 AEC;
I) dell’indennità di cui agli artt. 1750 e 1751 c.c..
Chiedeva inoltre che il Tribunale dichiarasse illegittima la revoca del mandato perché priva di giusta causa e condannasse la preponente al pagamento in suo favore della somma di L. 336.237.866 ovvero alla maggiore o minore somma dovuta oltre interessi con vittoria di spese di lite.
Radicatosi il contraddittorio, la società contestava l’avverso ricorso ed in particolare rilevando che nessuna riduzione del portafoglio era stata mai disposta, e l’infondatezza delle avverse pretese economiche posto che dal conteggio delle indennità di fine rapporto, era emerso un credito a favore della Compagnia pari ad €. 37.877,21.
Con sentenza n. 2335/08 il Tribunale di Salerno accoglieva il ricorso e, per l’effetto, condannava la resistente al pagamento della somma di €. 75.000,00 per i titoli di cui in narrativa, oltre accessori come per legge; condannava la società resistente al pagamento delle spese di lite.
Il Tribunale dichiarava illegittima la risoluzione per giusta causa disposta dalla compagnia di A. nei confronti del F. e riconosceva come dovute:
1) le indennità di risoluzione-incasso,
2) l’indennità suppletiva di clientela (oggi indennità di scioglimento contratto) ritenendo più favorevole all’agente l’applicazione dell’art. 12-bis AEC rispetto all’art. 1751 c.c.;
3) l’indennità sostitutiva del preavviso,
4) l’indennità di provvigioni ex art. 20, co. 1, lettera c) AEC;
4) l’indennità di incremento monte premi ex art. 25 AEC,
6) l’indennità incassi ex art. 26 AEC;
7) I’indennità provvigioni ex art. 27 AEC,
8) l’indennità ramo vita liquidando gli importi dovuti per tali voci ex art. 432 c.p.c..
In merito all’indennità in base alle provvigioni ai sensi dell’art. 21 AEC, dell’indennità ramo vita ex art. 28 AEC e 32 indennità ramo rischi e trasporti così statuiva: “è da rilevare che i conteggi elaborati dal ricorrente si discostano lievemente rispetto a quelli del convenuto che indica la somma di €.17.175,92, già erogata in corso di causa, quella spettante per tali titoli. La somma corrisposta è da ritenere giusta pertanto alcunché spetta al ricorrente per tali titoli.
Avverso tale sentenza proponevano appello gli odierni ricorrenti, nella loro qualità di eredi di F. B., assumendo l’erroneità della valutazione equitativa adottata dal primo giudice per la liquidazione delle indennità riconosciute, in assenza di alcuna spiegazione dell’iter logico-giuridico applicato; l’omessa liquidazione dell’indennità sostitutiva del preavviso anche se era stata accertata la illegittimità del recesso operato dalla V. A.; l’omesso riconoscimento delle indennità provvigioni ramo rischi avendo erroneamente ritenuto che l’importo corrisposto in udienza coprisse tale voce e l’omesso riconoscimento del risarcimento danni per violazione del principio di correttezza e buona fede da parte della resistente.
Resisteva la V. A., deducendo, inoltre, che correttamente il Tribunale aveva ritenuto che la somma di €.17.375,92, versata in udienza, fosse sufficiente a coprire il credito per l’indennità ramo rischi e che nessun ulteriore danno poteva essere riconosciuto all’agente posto che alcun comportamento contrario alla buona fede e correttezza era stato posto in essere dalla compagnia e che, in ogni caso, l’elemento risarcitorio era già compreso nell’indennità di fine rapporto.
Con sentenza depositata il 21.1.14, la Corte d’appello di Salerno, disposta c.t.u. contabile, accoglieva per quanto di ragione il gravame, condannando la società al pagamento della somma di €.18.238,97, oltre accessori, a titolo di indennità di mancato preavviso, rilevando che l’insussistenza della giusta causa di recesso, ritenuta dal Tribunale, non aveva formato oggetto di appello incidentale; compensava le spese del doppio grado.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso gli eredi F., affidato a due motivi, cui resiste la società con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 1750 e ss. c.c., in relazione agli artt. 12 e 12-bis dell’AEC 28 luglio 1994 (accordo nazionale settore assicurazioni per la disciplina del rapporto di agenzia) nonché dell’art. 5-bis, punto g, dell’accordo impresa agenti V. 90, e di ogni altra norma e principio in materia di determinazione della indennità spettante all’agente di assicurazioni in caso di recesso ingiustificato dal rapporto di agenzia per decisione dell’impresa preponente (art. 360 n. 3 c.p.c.).
Lamentano in sostanza che la sentenza impugnata, escludendo la legittimità della quantificazione equitativa operata dal Tribunale, aveva nominato un c.t.u. contabile; che al fine di stabilire il credito degli eredi F. per l’indennità (o somma) aggiuntiva di cui all’art. 12-bis dell’AEC, questi aveva erroneamente determinato tale credito in L. 16.311.441 compiendo una serie di errori giuridici e di calcolo.
Il motivo è inammissibile in quanto non risulta, né i ricorrenti specificano e documentano in qual modo, in quale occasione e quando essi contestarono le conclusioni del c.t.u. in sede di appello. Va al riguardo chiarito che in tema di impugnazioni civili, le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito (Cass. n. 2707\04, Cass. 31 marzo 2006 n. 7696; Cass. 8 giugno 2011 n. 12532).
I ricorrenti prospettano inoltre cifre e dati attraverso meri rinvii a documenti e conteggi allegati nelle sedi di merito, demandando così inammissibilmente a questa Corte una indagine di fatto, preclusale, al fine di verificare la fondatezza o meno delle deduzioni formulate in ricorso.
Con secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 329 e segg. c.p.c., con particolare riferimento all’art. 342 c.p.c. e di ogni altra norma o principio in materia di effetti devolutivi dell’appello e di divieto di reformatio in peius della sentenza di primo grado.
Lamentano che il primo giudice, ritenuta fondata la richiesta dell’indennità per riduzione del portafoglio di agenzia (art. 8-bis AEC), aveva liquidato a tale titolo, sia pure con valutazione equitativa, la somma di €. 15.000, nonché, sempre con valutazione equitativa, in €.20.000,00 le provvigioni spettanti all’agente dopo lo scioglimento del contratto (art. 20 AEC) ed in ulteriori €.15.000, sempre con valutazione equitativa, l’indennità di cessazione del rapporto (art. 12 AEC).
Si dolgono che il c.t.u., quanto alle prime due voci di credito, aveva ritenuto, all’esito delle indagini, di non avere elementi sufficienti per la quantificazione, sicché la Corte di merito non aveva attribuito agli eredi F. alcuna somma a tali titoli, violando così il principio di reformatio in peius.
Il motivo è infondato.
La Corte distrettuale, infatti, afferma che è emersa come dovuta agli eredi F. la (ulteriore) somma di €. 18.238,97 a titolo di indennità di mancato preavviso. Anche qui deve rilevarsi che tale dato contabile è evinto dai giudici di appello dalla c.t.u. contabile disposta, come detto (e come esplicitamente affermato dalla sentenza impugnata) non contestata tempestivamente dagli attuali ricorrenti. Che si tratti di somma in aggiunta a quanto stabilito dalla sentenza impugnata è ammesso dalla stessa società controricorrente in memoria, sicché non può discutersi di reformatio in peius.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €. 200,00 per esborsi, €. 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.