CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 maggio 2022, n. 16582
Rapporto di lavoro – Addetti ai servizi di protezione civile – Art. 23 CCNL REGIONI E AUTONOMIE LOCALI 14 settembre 2000 – Superamento delle giornate di reperibilità – Mancata fruizione del riposo compensativo – Risarcimento del danno – Indennità di disagio – Esclusione
Rilevato che
1. Con sentenza del 10 novembre 2015 la Corte d’Appello di Milano confermava le sentenze, non definitiva e definitiva, del Tribunale della stessa sede, che avevano:
– accertato il diritto di M. C., G.F., G.F. e B.N.— dipendenti del COMUNE DI MILANO assegnati alla direzione «Protezione civile»— al risarcimento del danno (in misura pari al doppio della indennità di reperibilità) per le ore di reperibilità superiori alle dodici ore giornaliere, per il superamento delle sei giornate di reperibilità in un mese, per la mancata fruizione del riposo compensativo dopo i turni di reperibilità prestati nella giornata di riposo settimanale;
– rigettato le domande proposte per il pagamento delle indennità di disagio e di disponibilità.
2. La Corte territoriale riteneva che l’articolo 23 CCNL REGIONI E AUTONOMIE LOCALI 14 settembre 2000, al comma uno, individuava le 12 ore giornaliere di reperibilità ai soli fini della misura del compenso (£. 20.000 per dodici ore al giorno) e non per fissare un limite massimo di durata giornaliera del turno; in mancanza di un limite giornaliero, era ipotizzabile un limite di ragionevolezza, per evitare un pregiudizio alla integrità fisica del lavoratore.
3.Nella specie, il servizio di reperibilità era reso dai dipendenti nell’intervallo tra le prestazioni lavorative, ininterrottamente per una o due settimane al mese. Tale turnazione era irragionevole, per la gravosità della prestazione e perché in caso di chiamata effettiva poteva determinare il mancato rispetto del riposo giornaliero o il superamento dei limiti del lavoro straordinario; era, perciò, fonte di danni risarcibili, sotto il profilo della maggiore penosità delle prestazioni lavorative e del danno alla vita di relazione.
4. Quanto al limite mensile dei turni di reperibilità, la Corte territoriale riteneva che il limite di «sei volte» in un mese fissato dall’articolo 23 CCNL dovesse intendersi nel senso di «sei giornate di ventiquattro ore mobili»; la interpretazione sostenuta dal COMUNE— secondo cui la norma collettiva si riferiva a sei «turni» di reperibilità in un mese— portava a neutralizzare il limite mensile nel caso di turno di più giorni consecutivi.
5. Infine, il collegio d’appello, premesso che il CCNL prevedeva il diritto del dipendente al riposo compensativo in caso di reperibilità cadente nella giornata di domenica (o, comunque, nel giorno di riposo settimanale) reputava infondata la tesi del COMUNE, secondo cui occorreva una domanda del dipendente per la fruizione del riposo. Ne derivava il diritto del lavoratore al risarcimento del danno in caso di mancata concessione di tale riposo compensativo.
6. La Corte territoriale respingeva l’appello incidentale dei lavoratori avverso il rigetto della domanda di pagamento delle indennità di disagio e di disponibilità.
8. Rilevava che la contrattazione nazionale demandava alla contrattazione decentrata la determinazione dei criteri e della misura della indennità di disagio, la quale, pacificamente, sulla base della contrattazione decentrata non spettava per i servizi di protezione civile.
9.Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il COMUNE DI MILANO, affidato a tre motivi di censura; i lavoratori hanno opposto difese con controricorso contenente ricorso incidentale, articolato in tre motivi, cui il COMUNE DI MILANO ha resistito con controricorso.
10.1 lavoratori hanno depositato memoria.
Considerato che
1. Con il primo motivo il COMUNE DI MILANO ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 23, comma uno, CCNL 14 settembre 2000 REGIONI ED AUTONOMIE LOCALI nonché dell’articolo 111 Cost. per omessa motivazione.
2.Si censura la sentenza impugnata per avere, da un canto, interpretato la richiamata disposizione collettiva nel senso essa non fissava un limite massimo orario alla reperibilità giornaliera, dall’altro, in contraddizione con la premessa, confermato la sentenza di primo grado, che si fondava sull’interpretazione opposta del testo contrattuale.
3. Richiamata la giurisprudenza secondo la quale il servizio di reperibilità non costituisce un’effettiva prestazione lavorativa ma una prestazione strumentale ed accessoria, il COMUNE ha assunto che le parti collettive avevano indicato le dodici ore di reperibilità giornaliera come mero parametro di quantificazione della relativa indennità e non come limite del servizio esigibile; ha richiamato le indicazioni fornite nello stesso senso dall’ARAN ed evidenziato che la previsione del suddetto articolo 23 riprendeva quanto già disposto dal DPR nr. 347/1983, articolo 28. Ha pertanto dedotto che la corretta interpretazione della normativa contrattuale, come accolta dal giudice dell’appello, avrebbe dovuto condurre alla riforma della sentenza impugnata.
4. Il motivo è inammissibile.
5. La censura, da un canto, non contesta la interpretazione della normativa contrattuale accolta dal giudice dell’appello, che viene anzi diffusamente condivisa, dall’altro non coglie la ratio decidendi sulla base della quale la Corte territoriale è pervenuta comunque all’ accoglimento della domanda risarcitoria.
6. Ed invero, la sentenza impugnata, pur avendo affermato che la pattuizione collettiva non poneva alcun limite orario giornaliero al servizio di reperibilità, ha ritenuto che la articolazione dei turni, di lavoro effettivo e di reperibilità, adottata dal COMUNE— secondo la quale il lavoratore, per una o due settimane al mese, quando non era in servizio effettivo era ininterrottamente reperibile— fosse eccessivamente gravosa oltre che irragionevole sotto il profilo organizzativo e comportasse un danno per la maggior penosità della prestazione lavorativa ed alla vita di relazione.
7. La ragione del decidere non è colta dall’impugnazione.
8. Allo stesso modo, è estranea alla ratio decidendi la censura che la parte ricorrente muove in ordine alla conferma del quantum del risarcimento.
9. La Corte territoriale si è limitata a respingere l’appello incidentale dei lavoratori, che chiedevano aumentarsi l’importo del danno liquidato dal Tribunale; nel confermare le statuizioni del Tribunale, ha evidenziato che non vi erano, invece, ragioni di contestazione del COMUNE sulla quantificazione del danno. Erroneamente il COMUNE ricorrente assume che il giudice dell’appello con tale statuizione avrebbe posto a suo carico l’onere di «chiedere di essere condannato per un diverso titolo— il limite di ragionevolezza— neppure dedotto…».
10. Con la seconda critica si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 23, comma tre, CCNL 14 settembre 2000, relativamente al limite mensile (sei giorni al mese) del servizio di reperibilità fissato dalla disposizione contrattuale.
11.Si censura la interpretazione della pattuizione collettiva accolta nella sentenza impugnata, secondo la quale il limite di «6 volte al mese» indicherebbe sei giornate di ventiquattro ore mobili. Nella prospettazione del COMUNE, il termine letterale utilizzato non indicherebbe una giornata di 24 ore ma l’intera durata del turno di reperibilità, anche se superiore alle 24 ore.
12. Il motivo è infondato.
13. La disposizione dell’articolo 23 del CCNL 14 settembre 2000 del comparto delle regioni e delle autonomie locali è così articolata:
1. Per le aree di pronto intervento individuate dagli enti, può essere istituito il servizio di pronta reperibilità. Esso è remunerato con la somma di L.20.000 per 12 ore al giorno. Ai relativi oneri si fa fronte in ogni caso con le risorse previste dall’art.15 del CCNL dell’1.4.1999.Tale importo è raddoppiato in caso di reperibilità cadente in giornata festiva, anche infrasettimanale o di riposo settimanale secondo il turno assegnato.
2. In caso di chiamata l’interessato dovrà raggiungere il posto di lavoro assegnato nell’arco di trenta minuti.
3. Ciascun dipendente non può essere messo in reperibilità per più di 6 volte in un mese; gli enti assicurano la rotazione tra più soggetti anche volontari.
4. L’indennità di reperibilità di cui al comma 1 non compete durante l’orario di servizio a qualsiasi titolo prestato. Detta indennità è frazionabile in misura non inferiore a quattro ore ed è corrisposta in proporzione alla sua durata oraria maggiorata, in tal caso, del 10%. Qualora la pronta reperibilità cada di domenica o comunque di riposo settimanale secondo il turno assegnato, il dipendente ha diritto ad un giorno di riposo compensativo anche se non è chiamato a rendere alcuna prestazione lavorativa. La fruizione del riposo compensativo non comporta, comunque, alcuna riduzione dell’orario di lavoro settimanale.
14. Secondo la interpretazione proposta dal Comune ricorrente, il limite mensile fissato dal comma tre («sei volte») indicherebbe ciascun servizio di reperibilità compreso tra due prestazioni lavorative, anche di più giorni; sicché, ad esempio, si computerebbe una sola volta la reperibilità prestata dal venerdì, dopo la fine del turno di lavoro, al lunedì, primo giorno lavorativo successivo.
15. Tale interpretazione dilaterebbe, tuttavia, il limite mensile fissato dalle parti collettive, rendendolo di fatto indeterminabile nella durata, in quanto variabile in base alla articolazione dei turni settimanali di lavoro ed, in particolare, del tempo intercorrente tra le due prestazioni lavorative che delimitano il servizio di reperibilità.
16. Le parti collettive hanno invece inteso fissare un limite preciso, per evidenti ragioni di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori.
17. Tale interpretazione rende la disciplina collettiva compatibile con il diritto dell’Unione. Ed, infatti, anche nelle ipotesi in cui un periodo di guardia, per le modalità con cui è disciplinato, rispetta le condizioni per essere qualificato come «periodo di riposo» ai fini dell’applicazione della direttiva 2003/88, resta impregiudicato il dovere per i datori di lavoro di rispettare gli obblighi specifici ad essi incombenti, in forza degli articoli 5 e 6 della direttiva 89/391, al fine di tutelare la sicurezza e la salute dei loro dipendenti. Ne consegue che i datori di lavoro non possono istituire periodi di guardia talmente lunghi o frequenti da costituire un rischio per la sicurezza o la salute del lavoratore, a prescindere dal fatto che tali periodi siano qualificati come «periodi di riposo», ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2003/88 (Corte di Giustizia, grande sezione 21 marzo 2021, in causa C- 344/19, punti da 61 a 65; 21 marzo 2021 in causa C-580/19, punto 60; Corte giustizia UE sez. V, 11/11/2021, in causa C-214/20, punto 47).
18. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 23, comma quattro, CCNL 14 settembre 2000 in relazione al risarcimento del danno per la mancata concessione del riposo compensativo.
19. Il COMUNE ha censurato la interpretazione della normativa contrattuale enunciata nella sentenza impugnata, esponendo che con il CCNL di interpretazione autentica del 21 giugno 2007 le parti collettive avevano chiarito che, secondo la disposizione del comma quattro dell’articolo 23, ultimo periodo, la fruizione del riposo compensativo per il servizio di reperibilità prestato nel giorno di domenica (o di riposo settimanale) non comporta la riduzione dell’orario di lavoro settimanale.
20. Ne derivava che in caso di fruizione del riposo compensativo il dipendente avrebbe dovuto concordare con il COMUNE le modalità di recupero delle ore non lavorate nell’arco della settimana; era dunque rimesso ad una sua scelta se fruire del riposo, incrementando l’orario di lavoro in altri giorni della settimana, o, piuttosto, seguire l’orario settimanale ordinario.
21. Con l’ulteriore conseguenza che non era configurabile alcun inadempimento del COMUNE, in quanto i dipendenti non avevano presentato domanda di fruizione del riposo compensativo.
22. Sotto altro profilo si assume, altresì, che il danno da usura psicofisica non era stato né allegato né provato.
23. Il motivo è infondato.
24. Questa Corte nell’interpretare la disposizione dell’articolo 23 CCNL 14 settembre 2000, ha già affermato, nell’arresto del 9 luglio 2008 nr. 18812, che nelle ipotesi di servizio di reperibilità effettuato nel giorno di riposo settimanale e di mancata fruizione del riposo compensativo spetta al lavoratore un adeguato risarcimento per il danno da usura. Nella medesima sentenza si è osservato che spetta al datore di lavoro, onde adempiere ai propri obblighi, garantire il riposo compensativo della reperibilità, predisponendo i relativi turni, indipendentemente dal previsto raggiungimento di un accordo circa le modalità di godimento del riposo.
25. A tali principi va data continuità, perchè coerenti con la interpretazione della direttiva europea 2003/88/CE enunciata, in epoca successiva, dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
26. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia grande sezione 9 marzo 2021, in causa C 344/19; 9 marzo 2021, in causa C- 580/19; 15 luglio 2021, in causa C 742/19; sez. X, 8 settembre 2021 in causa C- 107/19; sezione V, 11 novembre 2021 in causa C-214/20) un periodo di guardia può essere qualificato come «orario di lavoro» ai sensi della direttiva 2003/88 anche nel caso in cui manchi un obbligo del dipendente di permanere sul luogo di lavoro, in ragione delle conseguenze che il complesso dei vincoli imposti al lavoratore comporta per la sua facoltà di gestire liberamente il tempo «di attesa» e di dedicarsi ai propri interessi.
27. Qualora il dipendente sia soggetto, durante i suoi servizi in regime di reperibilità, a vincoli di un’intensità tale da incidere, in modo oggettivo e molto significativo, sulla sua facoltà di gestire liberamente il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare detto tempo ai propri interessi si impone la qualificazione del periodo di guardia come «orario di lavoro» ai sensi della direttiva 2003/88.
28. A tal fine, è necessario prendere in considerazione il termine di cui dispone il lavoratore, nel corso del periodo di guardia, per riprendere le proprie attività professionali a partire dal momento in cui il datore di lavoro lo richieda, unitamente alla frequenza media degli interventi che detto lavoratore sarà effettivamente chiamato a garantire durante detto periodo.
29. Quanto al termine concesso per la ripresa del servizio, la Corte di Giustizia ha precisato che, quando tale termine, durante un periodo di guardia, è limitato a qualche minuto, tale periodo deve, in linea di principio, essere considerato, nella sua integralità, come «orario di lavoro». È tuttavia necessario, come parimenti precisato dalla Corte, stimare l’impatto di tale termine di reazione in esito a una valutazione concreta che tenga conto, eventualmente, da un canto, degli altri vincoli imposti al lavoratore, dall’altro, delle agevolazioni che gli sono accordate durante tale medesimo periodo (sentenza del 9 marzo 2021, in causa C-580/19, punti 47 e 48 e giurisprudenza citata).
30. Secondo la disciplina collettiva, l’interessato deve raggiungere il posto di lavoro assegnato nell’arco di trenta minuti, senza che sia previsto l’utilizzo di un veicolo di servizio che gli consenta di fare uso di diritti in deroga al codice della strada e di diritti di precedenza; trattasi di disciplina riferibile a tutte le aree di pronto intervento e, dunque, anche a quelle soggette a frequenti richiami in servizio ed ad interventi di durata media significativa.
31. Come già evidenziato nel citato precedente del 9 luglio 2008 nr. 18812, la concessione del riposo compensativo quando il servizio di reperibilità cada nel giorno di riposo settimanale deve essere allora interpretata nel senso dell’obbligo del datore di lavoro di concedere il riposo compensativo, per iniziativa propria.
32. La sentenza impugnata è conforme a tale principio e, pertanto, è esente dalle censure che le sono state mosse.
33. Con il primo motivo del ricorso incidentale, i lavoratori hanno dedotto— ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.— la violazione: degli articoli 40 e 45, comma tre lettera c) D.Lgs nr. 165/2001, 31 CCNL ENTI LOCALI 1994/1997, 15 e 17,comma due lettera e) CCNL ENTI LOCALI 1998/2001, anche con riferimento all’articolo 3 del CCDI del 31 luglio 2001, contestando il rigetto della domanda avente ad oggetto il pagamento della indennità di disagio.
34.1 lavoratori hanno esposto che la contrattazione collettiva aveva previsto che il fondo per i trattamenti accessori fosse destinato alla remunerazione di particolari condizioni di disagio, pericolo o danno. Il CCDI del 31 luglio 2001, all’articolo 3, definiva la condizione di disagio, correlandolo a tre tipologie: esposizione al sociale (elevata pressione dell’utenza); esposizione ad agenti atmosferici, chimici, biologici o fisici; uso di particolari attrezzature.
35.Tanto premesso, i lavoratori hanno esposto che gli interventi effettuati in servizio di protezione civile li esponevano a disagio ambientale e sociale sicchè — pur in mancanza del riconoscimento, in sede di contrattazione decentrata, del servizio di protezione civile tra quelli che davano luogo al pagamento della indennità— la stessa avrebbe dovuto essere loro attribuita, nel periodo 2002/2009 o in applicazione diretta del CCNL o in via di interpretazione estensiva del contratto collettivo decentrato integrativo ovvero a titolo risarcitorio.
36. Hanno altresì esposto di avere percepito una specifica indennità per attività disagiata fino al gennaio 2002, lamentando sotto questo profilo la violazione del principio di irriducibilità della retribuzione.
37. Hanno da ultimo censurato la sentenza sotto il profilo del difetto di motivazione in ordine alla affermata assenza di un peggioramento retributivo ed al rigetto della domanda proposta a titolo risarcitorio.
38. Il motivo è infondato.
39. Gli articoli art.2, comma 3, e art.45, comma 1, del D.Lgs.nr.165/2001 hanno demandato alla contrattazione collettiva nazionale e, nei limiti da questa stabiliti, alla contrattazione integrativa la determinazione dei trattamenti economici fondamentali ed accessori del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni nonché i criteri, le condizioni e le modalità di erogazione degli stessi.
40. Il CCNL 1998/2001, all’articolo 17, comma due lettera e) ha stabilito che le risorse di cui al precedente articolo 15 (per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività) fossero destinate anche a compensare l’esercizio di attività svolte in condizioni particolarmente disagiate da parte del personale delle categorie A , B e C. A norma del precedente articolo 4 è demandato al contratto collettivo decentrato integrativo di ciascun ente l’utilizzo delle risorse di cui all’art. 15, nel rispetto della disciplina stabilita dall’art.17. In particolare, detto contratto decentrato è stato delegato a regolare «le fattispecie, i criteri, i valori e le procedure per la individuazione e la corresponsione dei compensi relativi alle finalità previste nell’art. 17, comma 2, lettere e)…»
41. E’ pacifico che la contrattazione integrativa dell’ente non individuava gli addetti ai servizi di protezione civile tra i soggetti destinatari dell’indennità di disagio; pertanto essi non avevano titolo a riceverla.
42. Né può essere invocato a tal fine il principio di irriducibilità della retribuzione, come pure correttamente osservato nella sentenza impugnata, giacchè, a monte, detto principio non è applicabile ad indennità la cui erogazione non è certa nell’ an ma collegata a particolari condizioni di lavoro ed al permanere della valutazione che di tali condizioni operano le parti collettive, come meritevoli di uno specifico compenso.
43. Da ultimo, è infondata la denuncia di un preteso vizio di mancanza di motivazione, giacchè la motivazione espressa dal giudice dell’appello è riferibile tanto alla pretesa formulata a titolo retributivo che alla domanda svolta a titolo risarcitorio.
44.Con la seconda censura i ricorrenti incidentali hanno denunciato — ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ.— l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la sentenza impugnata esaminato la richiesta risarcitoria e/o retributiva da essi proposta in ragione dello svolgimento di «turni di disponibilità» ininterrotti, 24 ore su 24, per le chiamate in emergenza, con conseguente limitazione del loro tempo libero.
45. Il motivo è inammissibile.
46. Il vizio deducibile ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. è quello di omesso esame di un fatto storico, risultante dagli atti di causa ed oggetto del contraddittorio, di rilevanza decisiva rispetto ad un accertamento di merito compiuto nella sentenza impugnata. Nella specie il vizio, per come dedotto, configura, piuttosto che un vizio di motivazione, un error in procedendo del giudice dell’appello, per omessa pronuncia o per mancanza di motivazione.
47.Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, «nel giudizio per cassazione – che ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1 – il ricorso deve essere articolato in specifici motivi immediatamente ed inequivocabilmente riconducibili ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunzia da parte della impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate non è necessario che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purchè nel motivo su faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione. Va invece dichiarato inammissibile il motivo allorquando, in ordine alla suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia
48. Con la terza critica si deduce sotto lo stesso profilo— ai sensi dell’articolo 360 nr. 4 cod.proc.civ.— il vizio di nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 cod.proc.civ., sempre in relazione alla domanda di appello concernente la prestazione del servizio in «disponibilità».
49. Il motivo è infondato.
50. La Corte territoriale, alla pagina 9 della sentenza impugnata, al punto cinque, ha dato conto dell’appello incidentale tanto in ordine alla indennità di disagio che in ordine alla indennità di disponibilità, rigettandolo sotto entrambi i profili. Non vi è dunque omissione di pronuncia ma rigetto della domanda.
51. In conclusione, devono essere respinti tanto l’appello principale che l’appello incidentale.
52. Le spese del grado si compensano per la reciproca soccombenza.
53. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente principale dei ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
rigetta entrambi i ricorsi. Compensa le spese Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti in via incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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