CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 marzo 2021, n. 8148

Tributi – Imposte di registro, ipotecaria e catastale – Agevolazioni “prima casa” – Revoca – Immobile di lusso – Qualificazione – Disciplina applicabile ratione temporis – Art. 7 del D.M. 2 agosto 1969 – Ubicazione in zona di “gran pregio”

Fatti di causa

Considerato che alla parte contribuente veniva negata l’agevolazione fiscale per l’acquisto della prima casa ritenendo l’Ufficio trattarsi di abitazione di lusso, come tale non rientrante tra quelle cui spetta tale agevolazione;

la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente avverso l’avviso di liquidazione per l’imposta di registro per l’acquisto della prima casa;

la Commissione Tributaria Regionale della Liguria respingeva l’appello della parte contribuente in quanto: ai sensi dell’art. 7 del D.M. 2 agosto 1969 l’immobile va considerato di lusso quando, come nel caso di specie il costo del terreno coperto e pertinenziale supera di una volta e mezzo il costo della costruzione; il terreno è sito in una zona di grande pregio ed è inserito in un contesto di grande prestigio come quello di via al Capo di Santa Chiara a Genova come del resto testimonia il prezzo pagato di euro 1.700.000; in tema di agevolazioni fiscali è il contribuente ad essere gravato dell’onere della prova del diritto all’agevolazione; in forza dell’art. 10 del d.lgs. n. 23 del 2011 l’esclusione dell’agevolazione non dipende dalla concreta tipologia del bene e dalle sue caratteristiche qualitative e quantitative.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la parte contribuente affidandosi a due motivi di impugnazione e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso, mentre l’Agenzia delle Entrate si costituiva con controricorso.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo di impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la parte contribuente deduce nullità della sentenza per omessa motivazione in relazione agli artt. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, artt. 132 e 118 c.p.c. nonché art. 111 Cost., in quanto non sarebbe possibile comprendere le motivazioni in base alle quali l’abitazione in questione sia stata qualificata come “di lusso”;

con il secondo motivo di impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la parte contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 e dell’art. 7 del D.M. 2 agosto 1969 in quanto la circostanza che l’immobile si trovi in una zona di “gran pregio” sarebbe del tutto irrilevante al fine della qualificazione come “di lusso” della abitazione di in questione;

ritenuto che il primo motivo è infondato in quanto, secondo questa Corte: il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. SU n. 8053 del 2014);

in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 22598 del 2018);

ritenuto che tale motivo è infondato perché la Commissione Tributaria Regionale – osservando che: ai sensi dell’art. 7 del D.M. 2 agosto 1969 l’immobile va considerato di lusso quando, come nel caso di specie il costo del terreno coperto e pertinenziale supera di una volta e mezzo il costo della costruzione; il terreno è sito in una zona di grande pregio ed è inserito in un contesto di grande prestigio come quello di via al Capo di Santa Chiara a Genova come del resto testimonia il prezzo pagato di euro 1.700.000; in tema di agevolazioni fiscali è il contribuente ad essere gravato dell’onere della prova del diritto all’agevolazione; in forza dell’art. 10 del d.lgs. n. 23 del 2011 l’esclusione dell’agevolazione non dipende dalla concreta tipologia del bene e dalle sue caratteristiche qualitative e quantitative – ha fornito una motivazione articolata, esaustiva e ragionevole relativamente al perché l’immobile in questione debba essere considerato di lusso e ha conseguentemente ritenuto che non sussistessero i presupposti perché il contribuente potesse godere della agevolazione per la “prima casa”;

ritenuto che anche il secondo motivo è infondato in quanto secondo questa Corte:

la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione configura una pronuncia basata su due distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione (Cass. n. 17182 del 2020);

in tema di benefici fiscali per l’acquisto della cd. prima casa, deve considerarsi “abitazione di lusso”, come tale esclusa dall’indicato beneficio, ai sensi del d.m. 2 agosto 1969, quella realizzata su area qualificata dallo strumento urbanistico comunale come destinata a “ville con giardino”, rilevando, ai fini della spettanza dell’agevolazione, non già le intrinseche caratteristiche dell’immobile, bensì la sua ubicazione, in quanto indicativa di particolare prestigio e idonea, di per sé, a qualificare l’immobile come “di lusso”, al momento dell’acquisto e non a quello della sua costruzione (Cass. n. 29975 del 2019; Cass. n. 15553 del 2017);

in tema d’imposta di registro per l’acquisto della prima casa, l’art. 10, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 23 del 2011, che, nel sostituire l’art. 1, comma 2, della tariffa, parte 1, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, ha identificato gli immobili non di lusso, cui applicare l’imposta agevolata, in base al classamento catastale e non più alla stregua dei parametri di cui al d.m. 2 agosto 1969, non ha inciso retroattivamente sulla norma sostituita, la quale, in forza della norma di diritto intertemporale di cui all’art. 10. comma 5, del d.lgs. n. 23 cit., continua a regolare ai fini sanzionatori, i rapporti sorti sotto la sua vigenza, senza che assuma rilievo il principio del “favor rei” che, invece, presuppone l’abrogazione della norma precetto (Cass. n. 18421 del 2017);

ritenuto che, a prescindere da una indagine circa l’ammissibilità o meno del motivo di impugnazione in ragione della pluralità delle rationes decidendi su cui si basa la sentenza impugnata già esposte a proposito del primo motivo, la CTR si è attenuta al secondo e al terzo dei principi di diritto sopra illustrati laddove ha escluso la configurabilità dell’agevolazione attribuendo ragionevolmente rilevanza all’inserimento dell’abitazione in una zona di grande pregio e in un contesto di grande prestigio.

Ritenuto pertanto che entrambi i motivi di impugnazione sono infondati, il ricorso va conseguentemente respinto; le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 3.500, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.