CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 marzo 2021, n. 8155
Medico di formazione specialistica – Contratti di formazione e lavoro – Responsabilità dello Stato per mancata attuazione delle direttive comunitarie – Somma a titolo di rideterminazione triennale e di indicizzazione annuale della borsa di studio
Rilevato che
la Corte d’appello di Roma, per ciò che in questa sede interessa, confermava la sentenza del Tribunale che aveva respinto la domanda avanzata da G.S., nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, del Ministero della Salute e dell’Università degli Studi di Tor Vegata, volta al riconoscimento del trattamento economico e previdenziale previsto per i contratti di formazione e lavoro dalla normativa e dal CCNL nonché al pagamento delle differenze retributive in relazione alla borsa di studio goduta quale medico di formazione specialistica negli anni accademici dal 2000 al 2005 in base a quanto disposto dal DPCM 7 marzo 2007; in subordine, all’accertamento della responsabilità dello Stato Italiano per mancata attuazione delle direttive comunitarie in materia, con riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in misura di euro 52.000,00; in ulteriore subordine, con condanna al pagamento della medesima somma a titolo di rideterminazione triennale e di indicizzazione annuale della borsa di studio;
la Corte territoriale, richiamati i precedenti della Corte di legittimità nella materia de qua, escludeva la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, poiché la causa dello stesso era da ravvisare in via esclusiva nella formazione, con conseguente inapplicabilità dell’art. 36 Cost.; escludeva la disapplicazione della normativa interna e l’estensione retroattiva della disciplina di cui alla L. 266 del 2005; escludeva anche l’inadempimento della direttiva n. 93 del 2016, poiché quest’ultima, come stabilito dalla Corte di giustizia, pur ponendo l’obbligo incondizionato a che la formazione dello specializzando fosse a tempo pieno e retribuita, non conteneva una definizione comunitaria di remunerazione adeguata; reputava, di conseguenza, infondata anche la pretesa risarcitoria, per mancata o tardiva attuazione della direttiva, dal momento che la discrezionalità attribuita al legislatore esclude qualsiasi adempimento incolpevole, e, sulla base delle stesse premesse, escludeva la spettanza dell’indicizzazione annuale e della rideterminazione triennale della borsa di studio;
avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione G.S. sulla base di tre motivi;
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i Ministeri in epigrafe, l’Università degli Studi di Tor Vergata hanno resistito in giudizio con controricorso;
la proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ.
Considerato che
parte ricorrente ha dedotto:
con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – la violazione e/o falsa applicazione delle direttive n. 82/76/CEE e n. 93/16/CEE e del D. Lgs. 368/99 in relazione alla funzione attuativa delle stesse con la previsione di un’equa retribuzione che doveva essere riconosciuta, anche prima del 2007, ed il conseguente diritto al risarcimento per il danno derivante dalla sua mancata erogazione;
con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – la violazione e/o falsa applicazione, delle direttive n. 82/76/CEE e n. 93/16/CEE là dove ne è esclusa la natura precettiva ed il carattere imperativo; il giudice d’appello avrebbe errato a non considerare che l’obbligo di retribuzione degli specializzandi discenda direttamente dalle direttive europee e non dal diritto interno;
con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – la violazione delle predette direttive con riferimento all’individuazione del momento di adempimento da parte dello Stato Italiano;
diversamente da quanto sostenuto nella decisione impugnata, l’inadempimento permaneva anche dopo l’emanazione del decreto legislativo del 1991 ed ancora durante gli anni accademici rilevanti in causa;
tuttavia deve darsi atto che, in data 15.12.2020, la ricorrente, per il tramite dei legali, ha depositato atto di rinuncia al ricorso, notificato alle parti controricorrenti;
la rinuncia non risulta accettata, ma tale circostanza, non applicandosi al giudizio di cassazione l’art. 306 cod.proc.civ., non rileva ai fini dell’estinzione del processo. La rinunzia al ricorso per cassazione infatti non richiede l’accettazione della controparte per essere produttiva di effetti processuali (Cass. nr. 28675 del 2005) e, inoltre, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione (Cass., sez. un., nr. 1923 del 1990; nr. 4446 del 1986, in motiv.,Ord. nr. 23349 del 2020);
sussistono, pertanto, le condizioni previste dall’art. 390 cod.proc.civ. perché sia dichiarata l’estinzione del processo;
quanto alle spese, difetta l’accettazione delle controparti nelle forme di cui all’art. 391, comma 4, cod.proc.civ.
Ciò nonostante, il tenore dell’atto di rinuncia giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità;
la declaratoria di estinzione del giudizio esonera la parte ricorrente dal versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, nr. 115, art. 13, comma 1 bis (cfr. Cass. nr. 3688 del 2016; nr. 23175 del 2015).
P.Q.M.
Dichiara estinto il processo. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
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