CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 novembre 2018, n. 30393
Tributi – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Notificazione
Rilevato che
1. G.C.R. proponeva appello avverso la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli con la quale era stato rigettato il ricorso dalla stessa proposto avverso l’iscrizione a ruolo di una cartella di pagamento avente ad oggetto la somma di euro 167.219,40 a titolo di IVA, Irap addizionale regionale e comunale, IRPEF oltre a sanzioni e interessi.
I giudici di primo grado, preliminarmente avevano ritenuto ammissibile l’impugnazione dell’estratto di ruolo, e poi, nel merito, avevano rigettato il ricorso, non sussistendo alcuna delle nullità invocate in relazione alla notifica della cartella indicata nell’estratto di ruolo.
2. Avverso detta pronuncia proponeva appello G.C.R., deducendo nuovamente l’invalidità della notifica avvenuta a mani di tale C.G., indicata come appartenente alla casa ma non identificata.
Inoltre, l’appellante lamentava anche l’omessa pronuncia sulle altre questioni eccepite, relative alla decadenza e prescrizione della pretesa tributaria e alla carenza di motivazione ed infondatezza della stessa.
3. La Commissione Tributaria Regionale, nel rigettare l’appello, osservava che la questione relativa all’ammissibilità dell’impugnazione dell’estratto di ruolo era oramai passata in giudicato, in quanto non oggetto di contestazione sul punto da parte degli appellati, mentre doveva esaminarsi la questione della validità della notifica della cartella, in quanto effettuata a mani di tale C.G., della quale si contestava la qualità di addetta alla casa. Secondo il giudice dell’appello, in mancanza della querela di falso non era possibile confutare quanto attestato dall’ufficiale giudiziario, né era possibile superare tale dato con la produzione di altra documentazione, e dunque, doveva ritenersi pienamente valida la notifica effettuata. La ritenuta regolarità della notifica determinava a sua volta l’infondatezza della successiva eccezione di decadenza e prescrizione della pretesa tributaria, che invece era stata esercitata nei termini di legge. Infine, doveva ritenersi infondata anche la questione relativa alla asserita mancata motivazione, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, I. n. 212 del 2000, perché tale norma non prevede alcuna nullità.
4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione G.C.R., sulla base di due motivi di ricorso.
5. Resiste con controricorso Equitalia sud spa.
6. In prossimità dell’udienza la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c. e delle disposizioni in materia di notifica di atti, in relazione all’art. 360, n. 3 e 5, c.p.c.
La parte ricorrente afferma che è incontestato in atti che la notificazione sia avvenuta a mani di tale C.G., qualificatasi addetta alla casa.
Secondo la Commissione Tributaria Regionale la modalità con la quale confutare quanto attestato dall’ufficiale giudiziario avrebbe dovuto essere la querela di falso. Tale affermazione sarebbe erronea, in quanto ciò che era in contestazione non era la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo aveva formato, la data e il luogo della formazione dell’atto, o un fatto avvenuto in sua presenza o da lui compiuto, bensì il contenuto intrinseco dell’atto che rientrava nella libera valutabilità da parte del giudice. Dunque, il contenuto dell’atto poteva essere contrastato con ogni mezzo di prova senza che fosse necessaria la querela di falso.
Nella specie la ricorrente contestava anche l’omessa indicazione circa le ricerche effettuate per procedere alla notifica e, soprattutto, l’omessa identificazione di C.G., in quanto sulla relata era indicato solo il nome e cognome della stessa ma senza l’indicazione dei dati anagrafici e del documento di riconoscimento.
1. Il motivo è infondato, essendo il dispositivo conforme a diritto, ma la motivazione della sentenza deve essere in parte corretta.
1.2 Questa Corte ha già affermato che l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario gode di fede privilegiata rispetto all’attestazione della dichiarazione resa dalla persona che riceve l’atto, indicativa della propria qualità. Ne consegue che la relata di notificazione fa fede fino a querela di falso per le attestazioni che riguardano l’attività svolta, ivi compresa l’attestazione dell’identità del destinatario.
Tuttavia, in caso di notificazione ai sensi dell’art. 139 c.p.c., la qualità di persona di famiglia, di addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, di vicina di casa, di chi ha ricevuto l’atto si presume iuris tantum dalle dichiarazioni recepite dall’ufficiale giudiziario nella relata di notifica, incombendo sul destinatario dell’atto, che contesti la validità della notificazione, l’onere di fornire la prova contraria ed, in particolare, di provare l’inesistenza di un rapporto con il consegnatario comportante una delle qualità su indicate ovvero la occasionalità della presenza dello stesso consegnatario (ex plurimis Sez. L., Ord. n. 8418 del 2018, e Sez. 5, Sent. n. 26501 del 2014).
Deve inoltre precisarsi che non è causa di nullità della notificazione, ai sensi dell’art. 139, secondo comma, cod. proc. civ., la mancata indicazione del rapporto tra la persona cui è fatta la consegna dell’atto e il destinatario della notificazione, né l’ufficiale giudiziario notificante ha l’obbligo di fare ricerche in ordine al rapporto di dipendenza tra la persona che si qualifica addetta alla casa e il destinatario dell’atto, dovendo affidarsi alle dichiarazioni che gli vengono rese, sempreché queste concorrano con le apparenze, incombendo su colui che contesti l’eventuale difformità tra le apparenze e la realtà contestare la validità della notificazione, con la dimostrazione della assoluta occasionalità della presenza del consegnatario nel luogo di sua residenza (Sez. 1, Sent. n. 23028 del 2006).
1.3 Tutto ciò premesso, l’affermazione della sentenza circa la necessità di proporre querela di falso per confutare quanto attestato dall’ufficiale giudiziario circa la qualità di C.G. di “addetta alla casa” ex art. 139 c.p.c, non è conforme, limitatamente alla motivazione e non al dispositivo, al sopraindicato principio di diritto che afferma la natura di presunzione relativa della dichiarazione recepita dall’Ufficiale giudiziario nella relata di notifica.
Nel caso di specie il ricorrente ritiene di aver dimostrato l’inesistenza di un rapporto stabile con C.G. che aveva ricevuto l’atto sulla base di un certificato di famiglia, e sul fatto che nessun collegamento con la ricorrente era emerso nel corso della causa o dall’attestazione anagrafica prodotta.
Il motivo è infondato e il dispositivo della sentenza conforme al diritto, perché la ricorrente non aveva fornito alcuna prova in grado di vincere la presunzione iuris tantum circa l’esistenza di un rapporto stabile con C.G.. È di tutta evidenza, infatti, che la produzione di un certificato anagrafico o di famiglia non può assumere alcun rilievo in tal senso.
Si è già detto, infatti, che: «in tema di notificazioni, la dimostrazione dell’insussistenza del rapporto di parentela tra il destinatario dell’atto e la persona che risulti indicata come consegnataria nella relata di notifica può essere offerta mediante prova documentale, riguardando un’attestazione che non è frutto della diretta percezione dell’ufficiale giudiziario procedente, ma di notizie a questo fornite, e non è, quindi, assistita da fede privilegiata; tuttavia, non è sufficiente, al fine di negare validità alla notificazione, la produzione di uno stato integrale di famiglia, il cui contenuto non esclude il rapporto di parentela» (Sez. 6-5, Ord. n. 3906 del 2012).
Se la certificazione dello stato integrale di famiglia non prova l’assenza di un rapporto di parentela, tanto più non è idonea a dimostrare l’assenza della qualità di addetta alla casa e lo stesso vale per la certificazione anagrafica.
1.4 Infine è infondata la doglianza avente ad oggetto l’omessa indicazione del documento di riconoscimento o dei dati anagrafici del soggetto ricevente. Rispetto al dato che la ricezione dell’atto sia avvenuta da parte di persona che si è qualificata come C.G. «addetta alla casa», la relata del pubblico Ufficiale fa piena fede sino a querela di falso, non essendo affatto previsto che debba essere indicato il documento di riconoscimento della persona che riceve l’atto o i suoi dati anagrafici, ma solo ex art. 148 c.p.c. l’indicazione delle sue generalità, come avvenuto nel caso di specie.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione delle disposizioni in materia di decadenza e prescrizione, in relazione all’art. 360, n. 3, 4, e 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione delle disposizioni in materia di motivazione degli atti in relazione alle medesime norme.
Con l’atto di appello la ricorrente, oltre ad aver rilevato la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, aveva riproposto l’eccezione di decadenza e prescrizione dall’iscrizione a ruolo e la carenza di motivazione oltre che l’infondatezza della pretesa. Le iscrizioni impugnate, infatti, si riferivano ad imposte dirette ed IVA per gli anni di imposta dal 1999 al 2003. Pertanto, erano abbondantemente maturati i termini di cui agli artt. 25 d.P.R. n. 602 del 1973, non solo al 22 gennaio 2010, data di effettiva conoscenza dell’iscrizione a ruolo, ma anche al 9 dicembre 2008, data in cui la cartella era stata notificata.
2.1 Il motivo è infondato.
La ricorrente eccepisce la prescrizione per essere decorso il termine di prescrizione alla data della notifica della cartella di pagamento avvenuta il 9 dicembre 2008.
Tuttavia, il credito tributario aveva ad oggetto imposte dirette ed iva per le quali il termine di prescrizione è decennale e, dunque, riferendosi le stesse agli anni dal 1999 al 2003, alla data della notifica della cartella il suddetto termine non era ancora decorso.
Inoltre, la sentenza è conforme alla giurisprudenza di legittimità in materia di motivazione della cartella di pagamento, e in ogni caso, una volta accertata la regolarità della notifica della cartella di pagamento, il vizio di motivazione della stessa non poteva più essere fatto valere in sede di impugnazione dell’estratto di ruolo, risultando tardivo.
3. Il ricorso è integralmente rigettato.
4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
5. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 – quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di lite che liquida in complessivi euro 5.600,00 oltre rimborso forfettario, i.v.a. e c.p.a., se dovute;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
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