CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 novembre 2018, n. 30400
Beni di proprietà – Occupazione usurpativa – Diritto dominicale – Riscossione
Ritenuto in fatto
1. R. F. e M. R. F. chiedevano all’Agenzia delle entrate il rimborso delle somme trattenute dalla Commissione Straordinaria di liquidazione del Comune di Taranto, ai sensi dell’art. 11 della legge 413/1991, nella misura del 20% (€ 283.034,46 + 46.226,82) di quanto corrisposto nell’anno 2007 agli istanti a seguito di occupazione usurpativa (in assenza della dichiarazione di pubblica utilità o di altri provvedimenti amministrativi autoritativi) dei beni di loro proprietà, dopo la pubblicazione delle due sentenze del 2000 (nn. 272/2000 e 1248/2000) e successive transazioni del 20-12-2008 (€ 1.415.172,28 + € 231.134,09). Le istanze venivano respinte dalla Agenzia delle entrate.
2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, con sentenza riformata dalla Commissione tributaria regionale, che, accogliendo l’appello dei contribuenti, evidenziava che l’art. 11 della legge 413/1991 si applicava solo alla percezione dell’indennità di esproprio e di risarcimento per occupazione appropriativa, ma non alla fattispecie della occupazione usurpativa (le opere pubbliche eseguite non erano previste né nel piano regolatore generale né in quelli particolari), che solo il d.p.r. 327/2001, in vigore dal 30 giugno 2003, aveva previsto la ritenuta d’acconto anche per le somme percepite in caso di occupazione usurpativa (art. 35), che però l’occupazione acquisitiva era avvenuta negli anni ’70, sicché non si applicava alcuna delle due norme citate, che non si poteva fare riferimento al momento della liquidazione delle somme, in quanto atto successivo ad “un rapporto di per sé già definito”, che non vi era stata alcuna novazione con le due transazioni, che non poteva tenersi conto della successiva decisione del 25-10-2002, depositata il 7-11-2002, passata in giudicato dopo il 30 giugno 2003, essendosi formato giudicato interno sulla cristallizzazione della situazione alle decisioni del 2000.
3. Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
4. Resistevano con controricorso i contribuenti.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge 413/1991 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la ritenuta di acconto si applicava, ai sensi dell’art. 11 della legge 413/1991 anche in caso di occupazione usurpativa, per la perdita del diritto dominicale conseguente alla ierreversibile trasformazione del fondo con la realizzazione dell’opera pubblica.
1.1. Tale motivo è fondato.
1.2. Invero, per questa Corte, a sezioni unite, la ritenuta a titolo d’imposta, effettuata dall’Amministrazione espropriante sulle somme versate a titolo di indennità di espropriazione, non può ritenersi illegittima in caso di declaratoria di illegittimità degli atti della procedura e conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno per l’irreversibile trasformazione del fondo. Infatti, l’art. 11, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, include nel reddito imponibile non solo l’indennità di espropriazione, ma anche le somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime, relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche, ed assoggetta anche queste ultime alla ritenuta a titolo di imposta (Cass.Civ., Sez.Un., 30 giugno 2009, n. 15232).
1.2. Successivamente si è estesa l’applicabilità della ritenuta di acconto anche alle occupazioni usurpative (Cass.Civ., 24689/2011 ove si afferma che “non rileva che tale perdita sia avvenuta per occupazione appropriativa o usurpativa…attesa la rilevanza, invece, dell’unico profilo costituito dalla perdita della proprietà per avvenuta irreversibile trasformazione del fondo, alla base del riconoscimento di un danno risarcibile”; in tal senso anche Cass. Civ., sez. V, 22 maggio 2013, n. 12533; Cass.Civ., 26 maggio 2017, n. 13420;).
1.3. Del resto, l’art. 11 della legge 413/1991 dispone al comma 5 che “per le plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, di indennità di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi nonché di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazione di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche…si applicano le disposizioni di cui all’articolo 81, comma 1, lettera b), ultima parte del d.p.r. 917/1986”.
Al comma 7 dell’art. 11 si aggiunge che “Gli enti eroganti, all’atto della corresponsione delle somme di cui ai commi 5 e 6, comprese le somme per l’occupazione temporanea, risarcimento danni da occupazione acquisitiva, rivalutazione ed interessi, devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del venti per cento”.
Pertanto, proprio in considerazione del tenore della norma e, soprattutto, del comma 7, che si riferisce espressamente al risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, l’operatività della tassazione si collega alle plusvalenze consequenziali a tutte le vicende rientranti nel perimetro del corrispondente concetto, in coerenza con la ricostruita ratio dell’istituto, che presuppone l’equivalenza degli indici di ricchezza comunque correlati al dato oggettivo del valore dei suoli non derivante da attività produttiva del proprietario.
Benché il dato letterale dell’art. 11 comma 5 della legge 413/1991 preveda l’assoggettamento ad imposta solo per le plusvalenze corrispondenti a “somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime”, tuttavia “ciò non significa che le somme dovute per occupazioni “originariamente” illegittime o senza titolo siano esenti da imposizione” (Cass.Civ., 12533 del 2013 in motivazione).
1.4. Del resto, l’art. 35 del d.p.r. 327/2001, entrato in vigore il 30 giugno 2003, prevede espressamente la tassazione anche per le occupazioni senza titolo, ossia per quelle usurpative. Infatti, detta norma prevede che Si applica l’art. 81, comma 1, lettera b, ultima parte, del d.p.r. 917/1986, qualora sia corrisposta a chi non eserciti una impresa commerciale una somma a titolo di indennità di esproprio, ovvero di corrispettivo di cessione volontaria o di risarcimento del danno per acquisizione coattiva, di un terreno ove sia stata realizzata un’opera pubblica…” Come si nota è scomparso dopo la frase “risarcimento del danno per acquisizione coattiva” il riferimento a “conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime”.
2. Con il secondo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate si duole della “Violazione e falsa applicazione degli artt. 35 d.p.r. 327/2001, 9 d.p.r. 600/1973, 81 e 82 d.p.r. 917/1986 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”, in quanto per la Commissione regionale non può essere applicato l’art. 35 del d.p.r. 327/2001, entrato in vigore il 30-6-2003, con l’estensione del sistema di tassazione anche al risarcimento dei danni da occupazione usurpativa, perché deve tenersi conto, ai fini dell’applicazione della normativa, non al momento della percezione del risarcimento (nel 2007), ma al momento in cui è divenuto definitivo il titolo che vi ha dato causa. Al contrario, secondo la ricorrente, per individuare la normativa applicabile, deve farsi riferimento al momento dell’effettivo pagamento e, quindi, alla reale percezione del reddito, non al momento in cui diventa definitiva la sentenza che ha dichiarato il diritto al risarcimento del danno.
2.1. Tale motivo è fondato.
Infatti, per questa Corte la somma erogata a titolo di risarcimento per occupazione usurpativa di un bene immobile è assoggettata a tassazione ai sensi dell’art. 11 della I. n. 413 del 1991 se la sua percezione, che costituisce una plusvalenza, é successiva all’entrata in vigore della legge e, cioè, all’1 gennaio 1989, non assumendo rilievo, invece, il momento in cui è avvenuto il trasferimento del bene, salvo che il ritardo nel pagamento sia imputabile alla P.A. – nel caso di specie, è stata esclusa l’imputabilità del ritardo all’Amministrazione, essendo la liquidazione del risarcimento intervenuta all’esito di un lungo contenzioso giudiziario – (Cass.Civ., 9 febbraio 2017, n. 3503).
Nel caso in esame, il corrispettivo è stato ricevuto nel 2007, quindi anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 35 del d.p.r. 327/2001 (in data 30 giugno 2003), sicché non deve farsi riferimento alle sentenze che hanno stabilito il diritto al risarcimento del danno, pronunciate nel 2000.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 d.lgs. 546/1992 e 2697 e 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c. comma l n. 4 c.p.c. – error in procedendo – “, in quanto, ove si volesse tenere conto della data di formazione del titolo di pagamento (“nel presupposto manifestamente erroneo per le ragioni espresse nel precedente motivo”), la Commissione regionale aveva accertato, dopo specifica istruttoria ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 546/1992, la presenza di una decisione giudiziale del 7-11-2002, quindi passata in giudicato ex art. 327 c.p.c., dopo il 30-6-2003, con conseguente applicazione dell’art. 35 del d.p.r. 327/2001. Non si è formato alcun giudicato interno sulla circostanza dell’intervento delle due pronunce giudiziali del 2000, con cristallizzazione della vicenda, non essendovi stata contestazione della Agenzia delle entrate, e non vi è stato alcun accordo delle parti sul punto. Anzi, l’Agenzia delle entrate ha sempre basato la sua linea difensiva sulla effettiva dazione delle somme.
3.1. Tale motivo è assorbito, in ragione dell’accoglimento del secondo motivo, con il quale si aderisce alla tesi dell’Agenzia, per cui occorre fare riferimento ai fini della tassazione della plusvalenza da occupazione, anche usurpativa, alla effettiva ricezione delle somme, a nulla rilevando il titolo giudiziale che stabilisce il diritto al risarcimento dei danni.
4. La sentenza impugnata va, quindi, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo dei contribuenti.
5. La peculiarità della fattispecie indice a compensare per intero le spese tra le parti dei gradi di merito, mentre quelle del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei contribuenti e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
In accoglimento dei primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dei contribuenti.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito.
Condanna i contribuenti a rimborsare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.
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