CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 novembre 2018, n. 30401
Tributi – IVA – Accertamento – Acquisto merci fornitori UE – Pagamenti in anticipo – Fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della C.B. s.r.l., con riferimento all’anno 2005, evidenziando che la contribuente acquistava beni (computer e materiale informatico) da L.D., ditta individuale con sede in Forlì, che questi a sua volta acquista la merce da operatori intracomunitari, ponendosi nei confronti dei clienti italiani come un mero intermediario, che, infatti, la ditta non aveva una sede, non aveva un magazzino, riceveva ordini sia per telefono o via mail, si limitava ad acquistare merci da fornitori UE (danesi ed altri), otteneva pagamenti in anticipo rispetto alla successiva rivendita alle imprese italiane, non versava l’iva, vendeva i prodotti quasi sempre sottocosto, con perdite continue. Pertanto, era dimostrato non solo che le fatture erano emesse dalla contribuente per operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto il venditore L. non era l’effettivo venditore degli stessi, ma le società estere, ma anche che la contribuente era a conoscenza della frode o, comunque, poteva conoscerla con l’ordinaria diligenza di un imprenditore avveduto.
2. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, con sentenza che veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale, la quale evidenziava che con riferimento all’anno 2004 era stato emesso avviso di accertamento di identico contenuto a quello oggetto del giudizio (relativo all’anno 2005), che la Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso (sentenza 356/08/2007), che la Commissione regionale con sentenza 488/40/2011 del 27-6-2011 aveva rigettato l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, che la Commissione regionale intendeva uniformarsi alla suddetta decisione, “la cui parte motivazionale deve intendersi qui interamente trascritta…”.
3. Avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione regionale proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, che depositava memoria scritta.
4. Resisteva con controricorso la società, che depositava memoria scritta.
5. La Procura Generale depositava le conclusioni scritte.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 36 comma 2 n. 4 del d.lgs. 546/1992 in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”, in quanto la sentenza non ha risposto alle specifiche censure formulate dall’Agenzia delle entrate con l’atto di appello avverso la decisione della Commissione provinciale. Né sono stati esposti, neppure in modo sintetico, le ragioni ed il nucleo argomentativo a supporto della decisione di rigetto dell’appello.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”, in quanto la sentenza afferma che “questo Collegio ritiene, non soltanto per ragioni formali, di uniformarsi alla suddetta decisione, la cui parte motivazionale deve intendersi qui interamente trascritta, ad eccezione di quanto deciso in ordine alle spese”, sicché tale formula va interpretata nel senso che vi sarebbe un “vincolo” che obbligherebbe la Commissione regionale a conformarsi a quanto già deciso in relazione all’avviso di accertamento dell’anno 2004.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione dell’art. 2332 comma 1 c.c. e dell’art. 19 e 54 del d.p.r. 633/1972 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”, in quanto pur se la ditta L. era iscritta al registro delle imprese ed era esistente come soggetto giuridico ai sensi dell’art. 2332 comma 1 c.c., tuttavia la stessa era inesistente sotto il profilo fiscale ed economico.
4. Con il quarto motivo l’Agenzia censura la sentenza della Commissione regionale per la “violazione e falsa applicazione degli artt. 19 comma 1 e 54 comma 2 del d.p.r. 633/1972, dell’art. 2729 c.c., nonché dei principi indicati nella sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 12-1-2006 (in cause C-354/03, 355/03 e 484/03) e 6-7-2006 (in cause C-439/04 e 440/04) nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”, in quanto la Commissione regionale ha ritenuto che l’iscrizione al registro delle imprese del L. soddisfaceva il requisito di affidabilità idoneo a provare la diligenza del contribuente nella scelta del cessionario, che l’Ufficio doveva provare che il contribuente avesse tratto beneficio dalla frode, che la prova della regolare fatturazione e della contabilità regolare era sufficiente a liberare il contribuente da ogni onere a suo carico, che la prova della sottofatturazione e di anomalie dei pagamenti era irrilevante. Pertanto, la Commissione ha “addossato” all’Amministrazione oneri probatori che non le competevano ed ha ritenuto idonee, invece, le prove fornite dalla contribuente, invece non significative.
3.1. I motivi primo e secondo, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.
Invero, La Commissione regionale si è limitata a richiamare un proprio precedente relativo ad un avviso di accertamento emesso nei confronti della stessa società per l’anno 2004 (mentre ora è in discussione l’anno 2005), limitandosi a richiamare tale decisione, senza manifestare esplicitare le doglianze formulate dalla Agenzia delle entrate nell’atto di appello e senza esporre le ragioni giuridiche poste a fondamento della nuova decisione, non mostrando alcun vaglio critico del precedente.
Infatti, per la Suprema Corte, la motivazione per relationem “è legittima soltanto nel caso in cui a)si riferisca ad una sentenza che abbia già valore di giudicato tra le parti…ovvero riproduca la motivazione di riferimento, autonomamente ed autosufficientemente recepita e vagliata nel contesto della motivazione condizionata” (Cass.Civ., Sez.Un., 4 giugno 2008, n. 14815). Inoltre, si è affermato che, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta “per relationem” rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass.Civ., 8 gennaio 2015, n. 107; Cass.Civ., 6 marzo 2018, n. 5209, 21978, 17403; Cass.Civ., 14 febbraio 2003, n. 2196).
Deve, poi, considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass.Civ., 22022 del 2017).
Il precedente orientamento di questa Corte, per cui è sufficiente la motivazione che faccia riferimento a “precedenti conformi”, come consentito dall’art. 118 disp. att. c.p.c., sia di legittimità che di merito (Cass.Civ., 17640/2016), è stato superato da successive pronunce, con cui si è affermato che la motivazione “per relationem” ad un precedente giurisprudenziale esime il giudice dallo sviluppare proprie argomentazioni giuridiche, ma il percorso argomentativo deve comunque consentire di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato, dovendosi ritenere, in difetto di tali requisiti minimi, la totale carenza di motivazione e la conseguente nullità del provvedimento (Cass.Civ., 3 luglio 2018, n. 17403; Cass.Civ., 11 settembre 2018, n. 21978).
Del resto, per questa Corte, a sezioni unite, si è in presenza di una motivazione meramente “apparente” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e quindi materialmente esistente), come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento (Cass.Civ., Sez. Un., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass.Civ., Sez.Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass.Civ., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16599).
Né ovviamente si era formato il giudicato sulla precedente decisione che è stata impugnata dalla Agenzia delle entrate con ricorso per cassazione.
Tra l’altro, si rileva che nel processo tributario, il vincolo oggettivo derivante dal giudicato, in relazione alle imposte periodiche, deve essere riconosciuto nei casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione del rapporto, salvo che, in materia di IVA, ciò comporti l’estensione ad altri periodi di imposta di un giudicato in contrasto con la disciplina comunitaria, avente carattere imperativo, compromettendone l’effettività (Cass.Civ., 19 aprile 2018, n. 9710). Si è affermato anche che le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 cod. civ., e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano – secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08 – la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza comunitaria come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta – nella specie, la S.C. ha negato il valore di giudicato esterno a sentenze di merito che, pronunciandosi con riferimento ad avvisi di accertamento in materia di IVA emessi in contestazione di fatture per operazioni inesistenti in ordine ad anni diversi di imposta, avevano escluso la fittizietà di tali operazioni – (Cass.Civ., 16996/2012; Cass.Civ., 6953/2015; Cass.Civ., 8855/2016).
4. I motivi terzo e quarto sono assorbiti, in ragione dell’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.
5. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento dei motivi primo e secondo del ricorso, assorbiti il terzo ed il quarto, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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