CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 novembre 2021, n. 36075
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico – Redditometro – Indici di maggiore capacità contributiva – Allegazione di prove contrarie – Obbligo di esame analitico da parte dell’organo giudicante – Mancanza – Nullità della sentenza
Rilevato che
1. La Commissione tributaria provinciale di Varese respinse i ricorsi riuniti proposti da G.F. avverso gli avvisi di accertamento, per gli anni 2007 e 2008, con i quali era stato rideterminato, con metodo sintetico, il reddito, con conseguente recupero a tassazione di maggiore Irpef.
2. In esito all’appello del contribuente, che lamentò che i giudici di primo grado non avevano preso in considerazione le doglianze espresse con il ricorso introduttivo concernenti la mancata applicazione del nuovo redditometro, né avevano tenuto conto delle prove di segno contrario offerte, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza in epigrafe indicata, rigettò l’impugnazione, confermando la sentenza gravata.
Rilevato che il nuovo redditometro non poteva essere considerato retroattivo, in quanto l’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010 prevedeva che le modifiche apportate all’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 avevano effetto solo a decorrere dall’anno d’imposta 2009, e che la mancata instaurazione del contraddittorio non poteva giustificare l’annullamento dell’accertamento, i giudici di secondo grado ritennero legittimo l’atto impositivo, per non avere il contribuente, né in sede di accertamento né in sede di contenzioso, provato che i costi sostenuti per gli incrementi patrimoniali e per le spese di mantenimento dei beni posseduti fossero stati finanziati mediante proventi derivanti da dismissioni di patrimonio o da redditi esenti.
3. Avverso la suddetta decisione G.F. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, ulteriormente illustrato con memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ..
L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso il contribuente, censurando la decisione impugnata per «violazione e falsa applicazione dell’art. 36, secondo comma, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost. da parte della Commissione tributaria regionale di Milano e, precedentemente, da parte della Commissione tributaria provinciale», sostiene che la C.T.R., nel rigettare il motivo di appello proposto, con il quale aveva dedotto la mancanza di motivazione della sentenza emessa dai giudici di primo grado, è incorsa nella denunciata violazione di legge.
Evidenzia il ricorrente che la Commissione di primo grado, a fronte delle numerose censure svolte, si era limitata a ritenerle infondate, così statuendo: <<La Commissione, esaminati i ricorsi osserva: l’operato dell’Ufficio è legittimo e le motivazioni addotte dallo stesso ai fini del presupposto impositivo risultano corrette nel rispetto delle norme vigenti>>; la pronuncia non indicava le ragioni in considerazione delle quali erano state ritenute infondate le doglianze mosse avverso gli avvisi di accertamento, ma aderiva acriticamente alla tesi proposta dall’Ufficio finanziario.
Anche la Commissione tributaria regionale, ad avviso del ricorrente, nel rigettare l’appello, non ha fornito giustificazione alcuna circa le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento del decisum.
2. Il ricorso è fondato e va accolto.
2.1. Il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (in termini, Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053; Cass., sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053; conf. Cass., sez. 6-3, 8/10/2014, n. 21257), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass., sez. 3, 25/02/2014, n. 4448), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass., sez. U, n. 22232 del 2016, citata, e la giurisprudenza ivi richiamata).
2.2. Va, pure, rammentato che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al <<minimo costituzionale>> del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella <<mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico>>, nella <<motivazione apparente>>, nel <<contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili>> e nella ««motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile>>, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di <<sufficienza>> della motivazione» (Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053).
2.3. La sentenza in questa sede impugnata è affetta dal dedotto vizio motivazionale, posto che non espone le ragioni per le quali ha ritenuto di respingere il gravame del contribuente, all’esito di una valutazione delle censure dallo stesso formulate, per cui le considerazioni svolte costituiscono motivazione che non si pone al di sopra del cd. <<minimo costituzionale>> richiesto ai fini della resistenza della decisione al motivo formulato.
Manca, infatti, qualsiasi indicazione della ragione giuridica o fattuale che ha determinato il rigetto del gravame (Cass., sez. 3, 30/05/2019, n. 14762; Cass., sez. 3, 23/03/2017, n. 7402), avendo la sentenza adottato una generica tecnica motivazionale, che la rende sostanzialmente inesistente, risultando insufficiente il mero richiamo all’assenza di prova contraria, in difetto del dovuto apprezzamento in ordine alla inidoneità degli elementi probatori offerti a superare gli elementi presuntivi posti a base della rettifica.
Ciò in applicazione del principio secondo cui nel contenzioso tributario conseguente ad accertamenti sintetici-induttivi mediante cd. redditometro, per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta costituisce principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari (Cass., sez. 5, 8/10/2020, n. 21700).
3. Conclusivamente, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.