CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 ottobre 2018, n. 26747
Imposte indirette – IVA – Istanza di rimborso -Dichiarazioni fiscali – Credito d’imposta – Termine decadenziale
Rilevato che
Con sentenza n. 1852/23/17 depositata in data 19 maggio 2017 la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, accoglieva parzialmente l’appello proposto da G.S. avverso la sentenza n. 868/4/14 della Commissione tributaria provinciale di Brindisi che ne aveva respinto il ricorso contro il diniego di rimborso IVA 2005. La CTR osservava in particolare che, essendo stato il credito oggetto di lite esposto nella correlativa dichiarazione fiscale di periodo, l’istanza di rimborso de qua non era soggetta al termine decadenziale generale previsto dall’art. 21, comma 2, d.lgs. 546/1992, come affermato nel provvedimento impugnato e sostenuto in sede processuale dall’Ente impositore, bensì al termine prescrizionale ordinario ex art. 2946, cod. civ., sicchè conseguentemente accoglieva la domanda di condanna del contribuente, sia pure nella minor misura risultante ex actis. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo tre motivi.
Resiste con controricorso il contribuente.
Considerato che
Con il primo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’Agenzia fiscale ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione dall’art. 21, d.lgs. 546/1992, poiché la CTR ha ritenuto non soggetto al termine decadenziale previsto dalla disposizione processuale speciale evocata il credito IVA in oggetto, nonostante nella relativa dichiarazione annuale lo stesso venisse esposto “in detrazione” e non “a rimborso”, conseguentemente difettandone la relativa richiesta ed essendo quella successivamente presentata e rigettata con il provvedimento impugnato da considerarsi appunto tardiva rispetto a detto termine.
La censura è infondata.
Va ribadito che:
-«In tema d’IVA, ove il credito di imposta sia già desumibile dalle dichiarazioni del contribuente e non sia contestato dall’Amministrazione finanziaria, non è necessaria una specifica istanza di rimborso, che costituisce solo il presupposto di esigibilità per l’avvio del relativo procedimento, per cui non trova applicazione il termine biennale di decadenza previsto dall’art. 21, comma 2, ultima parte, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma solo quello di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.» (Sez. 5 – , Sentenza n. 4559 del 22/02/2017, Rv. 643105 -01);
– «In tema d’IVA, ai fini del rimborso dell’eccedenza d’imposta, è sufficiente la manifestazione di volontà mediante la compilazione, nella dichiarazione annuale, del quadro “RX4”, sebbene non accompagnata dalla presentazione del modello “VR”, che costituisce solo un presupposto per l’esigibilità del credito, sicché, anche in caso di cessazione d’attività, nella quale non è possibile portare in detrazione l’eccedenza l’anno successivo, una volta esercitato tempestivamente in dichiarazione il diritto al rimborso, non è applicabile il termine biennale di decadenza, previsto dall’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma solo a quello ordinario di prescrizione decennale, di cui all’art. 2946 c.c.» (Sez. 5, Sentenza n. 19115 del 28/09/2016, Rv. 641101 -01).
La sentenza impugnata si è attenuta ai principi di diritto di cui a tali arresti giurisprudenziali, sulla base della premessa di fatto, peraltro incontestata, che il credito de quo fosse stato appunto esposto nel quadro specifico della relativa dichiarazione annuale e che fosse stato utilizzato in compensazione soltanto in parte (quindi riconoscendo il credito stesso de residuo), affermando, correttamente, che l’originaria domanda di detrazione non potesse considerarsi a tal fine preclusiva.
Con il secondo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta l’omessa motivazione del giudice tributario di appello circa l’effettiva spettanza del credito oggetto della lite.
Con il terzo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 19, 30, d.P.R. 633/1972, 2697, cod. civ., poiché la CTR ha riconosciuto la spettanza, sia pure inferiore al “domandato”, del credito azionato senza tuttavia accertare l’assolvimento dell’onere probatorio -gravante sul contribuente quale “attore sostanziale”- del fondamento di tale pretesa.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono infondate.
Va infatti rilevato che non risulta in alcun modo che nei due gradi di merito l’Agenzia fiscale abbia contestato la fondatezza della pretesa creditoria del contribuente, se non sotto il profilo della decadenza della relativa istanza di rimborso (fin dal provvedimento impugnato e come sostenuto in diritto con la prima censura) ed in ordine al quantum debeatur, così come peraltro riconosciuto e ridotto dal giudice tributario di appello.
Ciò constatato, deve essere quindi ribadito che: -«In tema di contenzioso tributario, il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo riveste la qualità di attore in senso sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva la formazione del giudicato interno». (Sez. 5, Sentenza n. 15026 del 02/07/2014, Rv. 631523 —01; conforme, Sez. 5, Sentenza n. 29613 del 29/12/2011, Rv. 621057 -01);
-«I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito» (Sez. 3, Sentenza n. 2140 del 31/01/2006, Rv. 588057 – 01).
Volendo dare continuità ai principi di diritto di cui a tali arresti giurisprudenziali, le censure in esame ne risultano inammissibili/infondate, posto che la questione del fondamento meritale della pretesa creditoria del contribuente è stata sollevata, nella sua “integralità”, soltanto nel presente giudizio di legittimità e quindi deve considerarsi applicabile il principio della “non contestazione” quale conseguenza diretta del formarsi sul punto del “giudicato interno”.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Sez. 6 – l, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714— 01).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.100 oltre euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.
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