CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 ottobre 2018, n. 26748
Tributi – Redditi d’impresa – Accertamento – Notificazione a mezzo PEC – Disconoscimento di spese in fattura
Rilevato
– che l’Agenzia delle entrate ricorre con unico motivo nei confronti della contribuente, che resta intimata, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con la quale la CTR, in controversia relativa ad impugnazione di avviso di accertamento di un maggior reddito d’impresa ai fini IVA, IRPEF ed IRAP per l’anno di imposta 2003, ha rigettato l’appello proposto dall’ufficio avverso la sfavorevole pronuncia di primo grado, sostenendo, con riferimento al riconoscimento della deducibilità dei costi di esercizio, che questi potevano desumersi dai dati contenuti nella dichiarazione IVA;
– che sulla rinnovata proposta ex art. 380 bis cod. proc. civ., avanzata dal relatore a seguito dell’acquisizione dei fascicoli di merito disposta con ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 14420 del 2018, risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
Considerato
– che dall’esame dei fascicoli dei giudizi di merito è emerso che l’avviso di accertamento è stato notificato alla contribuente in data 15/12/2006 e che la stessa l’ha impugnato con ricorso del 14/05/2007, depositato in data 5/06/2007; ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, proposto avverso sentenza pubblicata in data 16/03/2017, notificato a mezzo posta elettronica certificata in data 31/03/2017, deve ritenersi tempestivo, essendo esso sottoposto al termine annuale di impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c. nella versione previgente alla modifica apportata dall’art. 46, comma 17, della legge n. 69 del 2009, che ha ridotto quel termine da un anno a sei mesi (fetina restando la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, che nella specie deve comunque computarsi), in quanto il nuovo e più breve termine si applica ai giudizi pendenti dopo la sua entrata in vigore (coincidente con il 4 luglio 2009), <da “pendenza del giudizio” individuandosi con riferimento alla notifica del ricorso, che, ai sensi degli artt. 18 e 20 del d.lgs. n. 546 del 1992, determina la litispendenza» (Cass. n. 11087 del 30/05/2016, Rv. 639992) e che nel caso in esame è di molto antecedente a tale data;
– che venendo al merito, con il motivo di ricorso la difesa erariale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e 109 TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986), in combinato disposto dall’art. 2697 cod. civ., chiedendo a questa Corte di «affermare il principio secondo cui in caso di disconoscimento di spese da parte dell’amministrazione finanziaria di costi relativi a prestazioni contenute in fatture, peraltro non esibite dal contribuente, ma solo comunicate, la parte privata deve provare l’inerenza e la riferibilità dei costi sopportati con l’attività commerciale svolta, non essendo sufficiente la comunicazione dei dati, sebbene utilizzati dall’ufficio per la rideterminazione induttiva del reddito derivante dalla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi» (ricorso pag. 6);
– che il motivo è fondato e va accolto; invero, «perché un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa. Per provare tale ultimo requisito [il cui onere incombe evidentemente al contribuente], non è sufficiente, poi, che la spesa sia stata dall’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa» (Cass. n. 6650 del 2006; conf. Cass. n. 23866 del 2007, n. 9196 del 2011 e, più recentemente, Cass. n. 11241 del 2017, di questa Sottosezione);
– che la decisione della CTR non si è conformata al predetto principio là dove ha riconosciuto «l’esistenza e la valida deducibilità dei costi pari ad 62.558,00 e dell’Iva relativa» sulla base della irrilevante circostanza della loro inclusione nella dichiarazione IVA presentata dalla contribuente;
– che va però precisato che nel caso di specie l’amministrazione finanziaria ha condotto nei confronti della contribuente un accertamento di tipo induttivo puro, ex art. 39, comma 2, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 (come ammette la stessa ricorrente — pagg. 3, 5 e 6 del ricorso), cosicché la stessa avrebbe dovuto «tenere conto — in ossequio al principio di capacità contributiva — non solo dei maggiori ricavi ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi» (Corte cost. n. 225 del 2005), come questa Corte ha più volte ribadito, affermando che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, tanto che, qualora per alcuni proventi non sia possibile accertare i costi, questi possono essere determinati induttivamente, perché diversamente si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, il profitto lordo, anziché quello netto, in contrasto con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.» (Cass. n. 3995 del 2009; conf. Cass. n. 23314 del 2013);
– che da quanto detto consegue che andrà accertato dal giudice di merito, cui la causa va rinviata, se nel caso di specie l’amministrazione finanziaria abbia ridotto il maggior reddito d’impresa accertato di una percentuale di costi pure induttivamente determinata ed in mancanza dovrà provvedervi il giudice del rinvio sulla base di tutti gli elementi disponibili, tra cui l’entità percentuale dei costi in altri anni d’imposta, escluso ogni automatico riferimento a quanto risultante dalla dichiarazione presentata dalla parte;
– che, pertanto, in accoglimento del ricorso, nei termini sopra esposti, la sentenza va cassata con rinvio alla competente CFR che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Puglia, Sezione staccata di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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