CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 ottobre 2018, n. 26814
INPS – Benefici contributivi – Mancato rispetto dei minimi retributivi previsti dal CCNL delle cooperative agricole – Condizione ostativa al riconoscimento dell’agevolazione
Ritenuto che
la Corte d’appello di Roma con sentenza 1140/2012 rigettava l’appello proposto da CO.PRO.VI. SOC. coop a r.l. avverso la sentenza del tribunale che rideterminava le somme dovute dalla stessa società all’Inps in complessivi euro 444.201,16 a titolo di contributi SCAU relativi agli anni dal 92 al 98 e sanzioni civili;
a fondamento della sentenza la Corte d’Appello sosteneva che, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata , la società ricorrente non aveva contestato il mancato versamento dei contributi richiesti dall’Inps; ma aveva eccepito, quale unico motivo di impugnazione, la mancata detrazione di contributi versati e non dovuti per gli stessi dipendenti e per lo stesso periodo; che attraverso le espletata ctu era stata accertata l’esatta misura delle somme di cui l’opponente era debitrice, dopo aver individuato e posto in detrazione le somme a suo credito; che pertanto non erano rilevanti le questioni proposte con l’appello relative a sgravi contributivi o a fiscalizzazione degli oneri sociali in quanto questioni nuove non proposte col ricorso iniziale avverso la cartella; neppure poteva essere esaminata la questione relativa all’individuazione della contrattazione collettiva applicabile ai lavoratori dell’impresa appunto perché trattavasi di profilo nuovo; tutte questioni correttamente non esaminate dal primo giudice in quanto estranee al thema decidendum; le stesse questioni di merito, peraltro, erano state oggetto di altro giudizio definito con sentenza della stessa Corte d’Appello di Roma n. 9489/2010, a seguito della sentenza del tribunale di Roma del 28 giugno 2005, ove la C. aveva dedotto di “aver diritto ai benefici contributivi (sgravi e fiscalizzazioni) sul rilievo che il mancato rispetto dei minimi retributivi previsti dal C.C.N.L. delle cooperative agricole non costituiva condizione ostativa alla concessione del predetto beneficio ciò perché non essendo tenuto al rispetto della contrattazione collettiva per i dipendenti delle cooperative agricole, aveva applicato un contratto collettivo più vantaggioso per i dipendenti”;
tra l’altro all’esito di c.t.u. contabile, con la citata sentenza, la Corte d’Appello aveva già accertato che tenendo conto dei benefici anzidetti la C. aveva versato all’Inps una somma maggiore del dovuto pari ad euro 1542,34 per gli operai a tempo determinato e ad euro 9855,36 per gli operai a tempo indeterminato, condannando l’Inps alla restituzione di euro 11.389, oltre accessori;
osservava inoltre il collegio che la sentenza oggetto gravame aveva recepito integralmente le conclusioni di una c.t.u. e che pertanto, al fine di dimostrare la erroneità della sentenza, era indispensabile che l’appellante producesse la stessa c.t.u. che invece non era presente nel fascicolo d’ufficio, come tra l’altro segnalato dalla medesima Corte in un’ordinanza che aveva disposto la rinnovazione dell’indagini peritale; inoltre, benché l’appellante fosse stata invitata più volte a depositare copia della c.t.u. espletata in primo grado – alla quale pure aveva fatto riferimento nell’atto di gravame sì da doversi presumere che fosse in possesso di copia dell’elaborato – essa non aveva ottemperato all’onere anzidetto, producendo copie di elaborati palesemente relativi ad altri giudizi, come quello da ultimo prodotto in data 9/1/2012 ove già l’esame del quesito ivi sottoposto al c.t.u. rivelava come si trattasse di altra indagine rispetto a quella demandata al c.t.u. con il quesito formulato dal tribunale all’udienza del 26/4/2005, come peraltro confermato dalle questioni esaminate in quella sede e dalle conclusioni raggiunte, ivi evidenziandosi una posizione debitoria della C. per complessive euro 169.270,81 che era appunto l’importo ritenuto dovuto da detta società nella sentenza del tribunale 28/6/2005 riformata dalla stessa Corte con la citata sentenza n. 9489 del 2010;
la mancata produzione della c.t.u. espletata in prime cure precludeva poi, secondo la Corte territoriale, anche la possibilità di verificare se ed in che misura fosse erroneo l’importo di euro 24.961,91 in cui il c.t.u. nominato nel precedente grado avrebbe quantificato (v. pagina 9 dell’atto di appello) l’ammontare dei crediti erroneamente versati dalla C. all’INPS ed invece di pertinenza dell’Inail, crediti cui fugacemente si accennava nel ricorso in opposizione;
per le medesime ragioni, riteneva infine la Corte di non poter utilizzare le risultanze della c.t.u. disposta dalla medesima Corte, ma in diversa composizione, atteso che in tale indagine erano state esaminate questioni non dedotte nel ricorso in opposizione come quelle relative alla spettanza degli sgravi contributivi e della fiscalizzazione per oneri sociali;
contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società C. con tre motivi di censura ai quali ha resistito l’Inps con controricorso.
Considerato che
con il primo motivo di ricorso viene dedotta l’erronea ed apodittica ricostruzione in fatto e conseguente vizio di omessa ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte affermato che nel giudizio fosse estranea la questione dell’applicazione del contratto agricoltura operata dalla C. nei confronti dei propri dipendenti, quando era stato lo stesso funzionario Inps ad aver introdotto nel processo con la sua testimonianza la relativa problematica, specificando la ragione dei contenuti del suo verbale ispettivo; pertanto bene aveva fatto la C. a riproporre in appello la questione dell’erronea disapplicazione dei benefici previdenziali (sgravi contributivi e fiscalizzazione degli oneri sociali) da parte del c.t.u. di primo grado, nell’erroneo presupposto che C. potesse applicare il CCNL agricoltura; ciò si evinceva anche dalla comparsa di costituzione in appello dell’Inps il quale deduceva che C. non potesse applicare il CCNL Agricoltura, implicitamente avvalorando la tesi che bene aveva fatto a ritenerla decaduta dai benefici previdenziali e che dette argomentazioni fossero oggetto di causa;
col secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 168 c.p.c. e dell’art. 36 disp. att. c.p.c. per avere la Corte, nel negare il riesame della c.t.u. pure espletata in secondo grado, imputato alla C. la mancata ricostruzione della c.t.u. non più rinvenuta nel fascicolo d’ufficio; mentre l’elaborato peritale del consulente del giudice non è un atto nella disponibilità delle parti e non è produzione processuale delle parti dovendosi pertanto ritenere che, se le medesime sono impossibilitate a ricostituire e ridepositare una copia, non fosse conforme alla legge che ne subiscano le conseguenze in ordine al dovere di allegazione che compete loro; ben aveva fatto quindi il primo collegio, rilevata la mancanza agli atti della c.t.u., a disporne la ripetizione; di contro il collegio decidente aveva erroneamente ritenuto la parte appellante responsabile di fatto della mancata produzione di una copia della c.t.u. in sostituzione dell’originale;
col terzo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. avendo la Corte d’appello ritenuto le questioni di cui agli sgravi fiscali ed alla fiscalizzazione degli oneri sociali, domande non introdotte nel primo grado e dunque assistite dal divieto previsto dall’articolo 345 c.p.c. di essere trattate in appello e conosciute dalla Corte; mentre, di contro, tale problematica era stata introdotta nel giudizio dalla testimonianza dell’ispettore dell’Inps resa nel primo grado di giudizio ed aveva formato oggetto del quesito formulato dal giudice di primo grado al c.t.u.;
inoltre sotto altro profilo la Corte alla luce dell’altra sentenza di altra sezione (la numero 9489/2010 agli atti e da essa citata per altre ragioni), aveva violato il disposto dell’art. 345 ultimo capoverso c.p.c., dal momento che ben poteva ritenere di avere tutti gli indizi probatori, anche alla luce dello smarrimento della c.t.u. di primo grado dal suo fascicolo d’ufficio, per ammettere ex novo l’indagine peritale quale indispensabile ai fini della decisione;
il primo ed il terzo motivo di ricorso – da esaminare unitariamente per la connessione delle censure – sono infondati, dato che l’allargamento della materia del contendere, rispetto al thema decidendum introdotto con il ricorso introduttivo, non può discendere automaticamente dalle dichiarazioni rese in giudizio da un testimone (fosse anche un ispettore dell’Inps); d’altra parte, l’articolo 420 del codice di procedura civile consente alle parti, quando necessario, di poter modificare domande, eccezioni e conclusioni già formulate previa autorizzazione del giudice; mentre nel caso in esame nessuna autorizzazione risulta richiesta o rilasciata in tal senso; correttamente, quindi, la Corte d’Appello ha ritenuto che la questione sollevata in appello, relativa agli sgravi contributivi ed alla fiscalizzazione degli oneri sociali, fosse questione nuova rispetto a quanto allegato con il ricorso in opposizione nel quale la società ricorrente non aveva contestato il mancato versamento dei contributi richiesti dall’Inps ma soltanto eccepito la mancata detrazione di contributi versati e non dovuti per gli stessi dipendenti e per lo stesso periodo (questione che era stata pure già decisa con il giudizio di opposizione ai decreti ingiuntivi definito con la precedente sentenza del 28 giugno 2005);
anche il secondo motivo è infondato atteso che, come la giurisprudenza ha già chiarito, anche a S.U. (Cass. n. 28498/2005), è onere dell’appellante fornire la dimostrazione delle singole censure, poiché l’appello, non è più, nella configurazione datagli dal codice vigente, il mezzo per passare da uno all’altro esame della causa, ma una “revisio” fondata sulla denunzia di specifici “vizi” di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata. Ne consegue che è onere dell’appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame (cfr. anche Cass. n. 3055/2013; n. 11352/2010); di più nel caso di specie l’appellante era stata invitata più volte in fase d’appello a depositare copia della c.t.u. in discorso – alla quale pure aveva fatto riferimento nell’atto di gravame sì da doversi presumere che fosse in possesso di copia dell’elaborato – ma non vi aveva ottemperato, producendo anzi copie di elaborati relativi ad altri giudizi;
in conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; deve darsi atto inoltre che sussistono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi € 7200,00, di cui € 7000,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali ed oneri accessori. Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del Dpr 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma Ibis dello stesso art. 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Commissione Tributaria Regionale per l'Abruzzo sezione 7 sentenza n. 237 depositata il 08 marzo 2019 - Ai fini del pagamento del contributo unificato si intende per atto introduttivo soggetto al pagamento dello stesso non solo il ricorso principale ma…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 30916 depositata il 19 ottobre 2022 - I motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 3237 depoitata il 5 febbraio 2024 - Nel processo ordinario di cognizione, le parti del processo di appello, nel rispetto dell'autoresponsabilità e dell'affidamento processuale, sono tenute, per…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 aprile 2022, n. 12618 - L'esclusione di un'efficacia diretta fino a querela di falso del contenuto intrinseco delle dichiarazioni rese agli ispettori dai lavoratori non implica che le stesse siano priva di qualsivoglia…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 27687 depositata il 2 ottobre 2023 - Nel processo tributario, quando il contribuente impugni il silenzio-rifiuto formatosi su una istanza di rimborso, costui, rivestendo la qualità di attore non solo formale ma anche…
- Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 2199 depositata il 22 gennaio 2024 - I motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Alla parte autodifesasi in quanto avvocato vanno l
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7356 depositata il 19…
- Processo Tributario: il principio di equità sostit
Il processo tributario, costantemente affermato dal Supremo consesso, non è anno…
- Processo Tributario: la prova testimoniale
L’art. 7 comma 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 (codice di procedura tributar…
- L’inerenza dei costi va intesa in termini qu
L’inerenza dei costi va intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità,…
- IMU: la crisi di liquidità non è causa di forza ma
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 7707 depositata il 21 m…