CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 ottobre 2019, n. 27049
Tributi – Accertamento maggiori utili non dichiarati – Società di capitali – Compagine societaria di secondo grado – Ristretta base societaria – Presunzione di distribuzione degli utili ai soci
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria provinciale di Pesaro, con sentenza n. 606/16, sez. 1, rigettava il ricorso proposto dalla C. Spa avverso l’avviso di accertamento TQ9030601089/12 per Ires,Iva e Irap 2008.
Avverso detta decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla CTR Marche che, con sentenza 14/2018, accoglieva parzialmente l’appello relativamente alla contestazione di omessa applicazione della ritenuta del 12,50% sugli utili corrisposti ai soci nell’anno 2008.
Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di un motivo.
Ha resistito con controricorso la società contribuente.
La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art 380 bis cpc
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate assume che erroneamente era stata esclusa la presunzione di ripartizione degli utili ai soci stante la base ristretta della società. Sostiene a tale proposito che la circostanza che i soci della società contribuente fossero B.A. e la H.B. spa e soci di quest’ultima fossero unicamente lo stesso B.A. nonché B.M. non impediva di ritenere che i maggiori utili non dichiarati conseguiti dalla società contribuente fossero stati distribuiti alle due persone fisiche B. nonostante l’intermediazione della H.B. spa, diversamente da quanto sostenuto dalla Commissione regionale che aveva sostenuto che in siffatta ipotesi si sarebbe verificata una inammissibile doppia presunzione.
Il motivo è manifestamente fondato.
Analoga fattispecie è già stato oggetto di esame da parte di questa Corte che, riguardo al carattere di secondo grado della presunzione di riparto degli utili nei confronti del socio persona fisica, si è richiamata al dato fondamentale e pervasivo dell’unica “affectio familiaris” che giustificherebbe quella presunzione e a cui non fa alcun velo l’intermediazione di una formale struttura societaria. Si è deciso nei termini che si riportano qui di seguito.
“In via di fatto è accertato che un’impresa ha come titolare una società di capitali della specie della srl (società K), che ha come soci una persona fisica A e una società di capitali, della specie della spa (società L), la quale ha come soli soci la stessa persona fisica A e la persona fisica B, coniuge di A.
In relazione ad una fattispecie così conformata si pone la questione di diritto consistente nel domandare se operi nei confronti sia della persona fisica A sia, e soprattutto, della persona fisica B la presunzione dell’imputazione degli utili extra bilancio ai soci di società di capitali di ristretta base sociale.
Alla domanda si deve dare risposta positiva.
Infatti, in una fattispecie come quella in esame, nella quale, data un’impresa avente come titolare una società di capitali – la società K – avente come soci una persona fisica A – ed una persona giuridica – la società di capitali L -, la quale ha come soli soci la stessa persona fisica A che è socia della società K – ed un’altra persona fisica – la persona fisica B -, i soci effettivi del soggetto titolare dell’impresa, di cui è titolare la società K, sono sempre e soltanto le due persone fisiche A e B, ad escludere che lo schermo della personalità giuridica sia idoneo a neutralizzare la presunzione dell’imputazione degli utili extra bilancio ai soci di società di capitali a ristretta base sociale opera il principio generale del divieto dell’abuso del diritto, che trova fondamento, per un verso, nei principi costituzionali di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e di eguaglianza (art. 3 Cost.) (in questo senso, Corte di Cassazione 23 dicembre 2008, n. 30055), e, per altro verso, nella tendenza all’oggettivazione del diritto commerciale e all’attribuzione di rilevanza giuridica all’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica assunta dall’imprenditore (in questo senso, per vicende relative al leasing tra società di gruppo, Corte di Cassazione 8 aprile 2009, n. 8481).
Sotto il primo profilo, “in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici” (Corte di Cassazione 23 dicembre 2008, n. 30055).
Applicato al caso in esame, il principio del divieto dell’abuso di diritto comporta che, ferma rimanendo la liceità civilistica della scelta organizzativa per la titolarità dell’impresa, non si potrà opporre l’esistenza di un socio intermedio, avente la natura di persona giuridica, per sottrarre i pochi soci effettivi dell’impresa alla presunzione di essersi ripartiti gli utili non contabilizzati. Sotto il secondo profilo, che è indissolubile rispetto al primo, quel che assume rilevanza per il diritto tributario, in tema di imputazione dei redditi societari derivanti da utili non contabilizzati, è la sostanza del fenomeno economico sottostante alle forme giuridiche, al fine di assicurare il rispetto dei principi costituzionali in tema di doveri di solidarietà dei consociati secondo la loro capacità contributiva (art. 3 Cost., comma 2, e art.53 Cost., comma 1). Questa prospettiva è allineata con l’evoluzione del diritto commerciale e con la progressiva affermazione in dottrina della concezione oggettiva del sistema del diritto commerciale, secondo la quale assume in esso una posizione centrale l’impresa, che è eretta a punto di riferimento sostanziale della normazione, a prescindere dalla persona del suo titolare.
Ne deriva una rilevanza giuridica dell’impresa che emerge a livello giuridico formale attraverso il conferimento di una connessa rilevanza giuridica unitaria anche al fenomeno sostanziale che si realizzi al di sotto dello schermo delle personalità giuridiche delle singole società interessate alla gestione dell’impresa.
In altri termini, la regola della presunzione dell’imputazione degli utili extra bilancio ai soci di una società di capitali a ristretta base sociale non limita la sua efficacia all’ipotesi in cui la ristrettezza della compagine sociale si verifichi in un solo grado, quando cioè la società di capitali titolare dell’impresa ha soci in numero limitato, ma estende la sua efficacia anche al grado ulteriore, cioè quando, per effetto della partecipazione alla società di capitali titolare dell’impresa di un’altra società di capitali, che sia a sua volta a ristretta base sociale, la compagine sociale, per così dire, di secondo grado, sia ancora caratterizzata dalla ristrettezza.
E quel che si constata nel caso di specie ultima, oggetto della presente controversia, nel quale la compagine sociale di secondo grado è costituita da due sole persone fisiche, per di più tra di loro apparentate. Per dare applicazione al divieto dell’abuso di diritto tributario nell’utilizzazione, lecita dal punto di vista civilistico, delle forme associate di titolarità dell’impresa a fini elusivi delle imposte sul reddito sugli utili non contabilizzati, lo strumento più idoneo è quello di riconoscere che l’efficacia della presunzione dell’imputazione ai soci sì estende a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si mantenga e si riscontri la ristrettezza della compagine sociale.
Vige, dunque, il seguente principio di diritto, al quale la sentenza impugnata non si è attenuta e al quale sarà data attuazione dal giudice del rinvio: “in attuazione del principio costituzionale di eguaglianza, formale (art. 3 Cost., comma 1) e sostanziale (art. 3 Cost., comma 2), e del principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53 Cost., comma 1) e del principio, che ne è corollario, del divieto dell’abuso di diritto tributario, la presunzione dell’imputazione degli utili extra bilancio ai soci di una società di capitali K, a ristretta base sociale, opera anche nei confronti dei soci della società di capitali L, che sia socia della società K e che, a sua volta, sia a ristretta base sociale“. ( Cass 13338/09)
Questo Collegio ritiene di doversi conformare al principio già affermato da questa Corte con conseguente accoglimento del ricorso e cassazione della sentenza impugnata
La causa dev’essere, quindi, rinviata ad altra Sezione della CTR delle Marche , che, liquiderà anche le spese processuali relative al giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per il prosieguo del giudizio ad altra sezione della CTR Marche anche per la liquidazione delle spese della presente fase.
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