CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 ottobre 2020, n. 23249
Tributi – Contenzioso tributario – Atti impugnabili – Autotutela per annullamento di un provvedimento definitivo – Provvedimento di diniego – Impugnabilità – Condizioni
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate notificava a M.G., esercente l’attività di commercio all’ingrosso di prodotti alimentari e ambulante senza posto fisso di generi alimentari e bevande, un avviso di accertamento con il quale gli venivano contestati omessi ricavi, per l’anno di imposta 1999, con conseguente determinazione delle relative imposte, sanzioni ed interessi.
L’avviso non veniva impugnato.
Successivamente veniva emessa una cartella esattoriale, in base all’accertamento resosi definitivo; anche la cartella non veniva impugnata.
Il contribuente, lamentando di essere stato truffato dalla propria commercialista che aveva anche denunciato all’autorità giudiziaria, presentava istanza di autotutela alla competente agenzia delle Entrate, la quale respingeva l’istanza.
Il M. impugnava il rifiuto davanti la Commissione Provinciale di Savona la quale, con sentenza n. 4/4/09, premesso che il suo giudizio non poteva estendersi oltre il sindacato sui vizi propri del provvedimento, accoglieva il ricorso.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva davanti la Commissione Tributaria Regionale della Liguria la quale, con sentenza n.2/3/2013 depositata il dì 11.1.2013 accoglieva l’impugnazione sul presupposto che il giudice di primo grado non poteva spingersi ad annullare il ruolo ormai definitivo, ma poteva rivolgere un semplice invito all’ufficio a rivedere l’istanza di autotutela.
Avverso la sentenza di appello M.G. ricorre per la cassazione, affidando il suo mezzo a un motivo.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il motivo il contribuente deduce violazione e mancata applicazione dell’art. 2 del DM 11.2.1997, n. 37; violazione e mancata applicazione dell’art. 53 della Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.
Lamenta che la CTR non aveva rilevato che la CTP si era limitata ad annullare il provvedimento di diniego e non il ruolo e che la sua mancata risposta al questionario e la mancata impugnazione dell’avviso erano avvenuti per causa non imputabile.
La censura non è fondata.
“Nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si basa su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente” (così da ultimo Cass. ordinanza n. 21146 del 24 agosto 2018).
Il dedotto interesse a che “ciascun cittadino sia soggetto ad una tassazione conforme alla legge e correlata alla propria capacità contributiva” è un interesse astratto (coincidente con il ripristino della legalità) laddove invece, per giustificare la doglianza contro il diniego di autotutela occorre che sia dedotto un interesse generale (cioè travalicante quello individuale della parte in causa), concreto e specifico (come, ad esempio, l’interesse derivante dall’intervenuto annullamento da parte del giudice amministrativo di un atto presupposto a quello in questione; di atto basato su una affermazione di principio, suscettivo di generalizzazione, errata), in esatta corrispondenza all’interesse di cui l’amministrazione deve dar conto nella motivazione dell’atto di annullamento (adottato anche in assenza di sollecitazione del privato) (Cass. 4937/2019).
In considerazione di quanto precede, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui “in presenza di un provvedimento definitivo l’autotutela dell’amministrazione possa essere attuata soltanto in presenza di elementi nuovi non sindacabili prima o di macroscopici errori chiaramente riscontrabili e tali da rendere palesemente contraddittorio o assurdo il risultato cui il provvedimento è pervenuto”, si sottrae a censura.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna M.G. al pagamento delle spese processuali che liquida in €4100,00 oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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