CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 settembre 2021, n. 25899
Rapporto di lavoro – Impiego di lavoratori non risultanti da scritture – Evasione contributiva – Violazione delle norme sui permessi non retribuiti
Con sentenza del 14.9.15 la corte d’appello di Milano, confermando due sentenze del tribunale della stessa sede del 2011 e del 2012, ha rigettato l’opposizione ad ordinanza di ingiunzione con la quale era stata comminata alla signora una sanzione per l’impiego di sette lavoratori non risultanti da scritture ed ha rigettato l’opposizione a cartella relativa contributi Inps evasi (con esclusione della posizione relativa ad un solo lavoratore).
In particolare, la corte territoriale ha ritenuto correttamente esercitato il potere ufficioso del giudice nell’acquisizione del verbale della polizia locale (in quanto non nella disponibilità dell’INPS); ha ritenuto sussistente la violazione delle norme sui permessi non retribuiti (che gli ispettori dell’Inps avevano accertato in misura pari a oltre metà delle giornate di lavoro, rilevando la presenza al lavoro di due lavoratori formalmente in permesso e ritenendo i detti permessi incompatibili con l’entità delle lavorazioni ed il tipo di organizzazione del lavoro riscontrato) e delle norme sulla registrazione e denuncia delle maestranze al momento dell’assunzione.
Avverso tale sentenza ricorre la signora L. con cinque motivi, accompagnati da memoria, cui il ministero del Lavoro resiste con controricorso; l’Inps, in proprio e quale mandatario della SCCI, ha prodotto delega in calce al ricorso notificato.
Con il primo motivo si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione degli articoli 421 c.p.c. e 2967 c.c., nonché vizio di motivazione, per avere la corte territoriale esercitato potere istruttorio officioso di acquisizione documentale, nonostante la decadenza dell’Inps (che colpevolmente era rimasto inerte nel richiedere il verbale) e per aver negato prova contraria una volta acquisito il documento.
Il motivo è infondato.
Quanto al primo profilo sollevato, questa Corte ha già chiarito (Sez. L, Sentenza n. 23882 del 09/11/2006, Rv. 593504 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15228 del 05/07/2007, Rv. 598240 – 01) che, nel rito del lavoro, il rigoroso sistema delle preclusioni che regola in egual modo sia l’ammissione delle prove costituite che di quelle costituende trova un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse.
La corte territoriale ha correttamente motivato in ordine alla necessità dell’acquisizione (per la necessità di approfondimento di fatti già acquisiti al processo) ed all’assenza di disponibilità del documento in capo all’Inps (con conseguente inconfigurabilità di colpa dell’Inps nell’acquisizione e produzione del documento).
Quanto al secondo profilo, relativo alla mancata ammissione in primo grado di testi ulteriori a confutazione del documento acquisito d’ufficio, la corte d’appello ha chiaramente indicato le ragioni relative, riguardando aspetti già accertati in giudizio (con la prova testimoniale che aveva corroborato definitivamente le risultanze della comunicazione della polizia locale in ordine all’avvenuta identificazione dei lavoratori rinvenuti sul luogo di lavoro).
Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione degli articoli 155, 116 e 244 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per aver trascurato che le prove testimoniali erano imprecise e contraddittorie.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione degli articoli 2700 c.c., 155, 116 e 244, nonché vizio di motivazione, per aver attribuito efficacia privilegiata alla comunicazione della polizia locale alla Asl e all’Inps, in ordine alla presenza dei lavoratori, trascurando invece le altre risultanze processuali (buste-paga e registrazione dei lavoratori).
Con il quarto motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione degli articoli 2697 c.c., 191 e 195 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per essersi basata la sentenza su consulenza che ricavava attraverso congetture fatti non provati dalle parti.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono infondati.
Intanto, non vi sono le violazioni di legge denunciate, avendo la sentenza attribuito alle prove raccolte il valore proprio, valutandone poi le risultanze e dando conto di tale valutazione nella motivazione.
I motivi invero impingono nelle valutazioni di merito del giudice in ordine alle risultanze probatorie, e, contrapponendo diversa lettura delle stesse, mirano sostanzialmente ad un controllo sulla motivazione della corte territoriale, al di là dei limiti consentiti al giudice di legittimità.
E’ infine infondato il quinto motivo di ricorso.
Con tale motivo si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione degli articoli 36 bis co. 7 decreto legge 203/06 convertito in legge 248/06 e 61 legge 689/81 nonché 4 legge 183/10 e vizio di motivazione, per la duplicazione della sanzione amministrativa ex art. 36 bis co. 7 I. 248/06 e per la applicazione con riferimento a posizione di lavorare invece regolare.
La sentenza impugnata ha rilevato – in presenza di comportamenti datoriali violativi di distinte disposizioni sanzionatone congiuntamente applicabili – che i soggetti creditori (INPS e Direzione del lavoro) hanno agito ognuno per il proprio credito, e dunque l’INPS per l’omissione contributiva e la DTL per l’irregolarità lavorativa, escludendosi così ogni duplicazione; del resto la ricorrente, pur richiamando il verbale ispettivo INPS – da cui risulta l’illecito e la sanzione per l’omissione contributiva inerente il lavoro nero – non ha anche dimostrato che con la cartella l’INPS abbia richiesto anche il pagamento della medesima sanzione già oggetto della richiesta della DTL.
Quanto al secondo profilo denunciato dalla ricorrente, la corte territoriale ha evidenziato -con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede – la sussistenza del rapporto lavorativo della lavoratrice W.Y., trovata il giorno dell’accesso intenta al lavoro e non registrata nelle scritture, con conseguente violazione della disposizione – all’epoca vigente – dell’art. 36 bis co. 7 decreto legge 203/06.
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in favore del solo Ministero, non avendo l’INPS svolto attività difensiva.
Sussistono invece i requisiti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore del solo Ministero del Lavoro delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre s.p.a.d.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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