CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2018, n. 21103
Tributi diretti – IRPEF – Accertamento – Compravendita immobiliare
Ritenuto
che, in relazione alla cessione di terreni siti in Pizzo Calabro, alcuni dei quali in comproprietà, da parte di G.S. ed altri, a favore della Immobiliare M. s.r.I., l’Agenzia delle Entrate notificava all’alienante avviso di accertamento ai fini IRPEF, per l’anno 2003, con una plusvalenza tassabile di Euro 221.156,00, avuto riguardo al maggior valore definitivamente accertato, nei confronti della società acquirente, ai fini dell’imposta di registro;
che la Commissione tributaria provinciale di Firenze, preso atto che l’Agenzia delle Entrate, nelle more del giudizio, aveva provveduto, in autotutela, all’annullamento parziale dell’avviso di accertamento, avuto riguardo alla erronea imputazione della plusvalenza per l’intero, e non per la sola quota di proprietà di taluni dei terreni ceduti, rigettava il ricorso del contribuente, ma la Commissione tributaria regionale della Toscana, in accoglimento dell’appello dello Scadi, annullava integralmente l’atto impositivo, sul rilievo che l’Ufficio era incorso in “ripetuti errori (…) nella determinazione dell’imposta dovuta; errori non solo nel primo accertamento ma anche nel successivo provvedimento di autotutela parziale ove risultano errate le aliquote fiscali applicate e conseguentemente la relativa imposta complessiva”, nonché nella “violazione degli artt. 67 e 68 del d.p.r. 917/86, “per assoluta carenza e/o erronea indicazione degli elementi essenziali previsti dall’art. 42 d.p.r. 600/73”;
che l’Agenzia delle Entrate ricorre, con tre motivi, per la cassazione della decisione, mentre i contribuenti resistono con controricorso, e propongono ricorso incidentale condizionato affidato a quattro motivi, illustrati con memoria;
Considerato
che con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 4, nullità della sentenza per la violazione dell’art. 36, comma 1, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, giacché il giudice di appello ha accolto il gravame del contribuente con una decisione basata su affermazioni apodittiche, prive di valore argomentativo, sorrette da una motivazione solo apparente, in quanto non è dato comprendere quale residuo rilievo possa attribuirsi agli errori compiuti dall’Ufficio nell’originario accertamento, essendo stati emendati in via di autotutela, e quale sia l’errore ricadente sulle aliquote applicate, tale da rendere l’avviso di accertamento nullo, ed infine per quale ragione ricorra la rilevata violazione degli artt. 67 e 68 del d.p.r. 917 del 1986;
che con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacché la sentenza del giudice di appello non esplicita i presunti errori afferenti tanto l’accertamento impugnato, quanto l’atto emesso in autotutela dall’Ufficio, e neppure i presupposti sostanziali della plusvalenza, che avrebbero condotto alla erronea individuazione delle aliquote applicate;
che con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 67 e 68, d.p.r. n. 917 del 1986, giacché i presupposti sostanziali della tassazione nulla hanno a che vedere con i contestati vizi formali dell’avviso di accertamento;
che con il primo motivo di ricorso incidentale i contribuenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 67 e 68, d.p.r. n. 917 del 1986, giacché il legislatore ha inteso sottoporre a tassazione la differenza tra il ricavato della vendita dei terreni ed i costi effettivamente sostenuti per l’acquisto, indipendentemente dal valore dei beni al momento della cessione ed a quello di acquisizione, per cui restano irrilevanti, ai fini della determinazione del reddito imponibile risultante dalla operazione, i valori determinati ai fini della imposta di registro, stante la palese diversità dei criteri di tassazione;
che con il secondo motivo denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2607, 2698 c.c., 38, d.p.r. n. 600 del 1973, giacché il giudice di appello ha operato una sorta di inversione dell’onere della prova, in quanto l’Agenzia delle Entrate non può fondare l’accertamento di valore degli immobili su una presunzione semplice, quale è quella che si riferisce al valore definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro;
che con il terzo motivo denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36, comma 1, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, giacché la sentenza impugnata risulta priva di motivazione in ordine alle censure formulate dagli eredi del contribuente con il ricorso in appello;
che con il quarto motivo denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacché il giudice di appello non ha considerato che per contrastare la presunzione a favore dell’erario, e la equiparazione tra valore accertato – e non impugnato – ai fini dell’imposta di registro, e prezzo riscosso in occasione della cessione dei beni, gli allora appellanti avevano prodotto in giudizio un certificato di definitiva valutazione dei beni immobili oggetto della vendita, attestante un valore inferiore rispetto a quello inizialmente accertato nei confronti della parte acquirente, richiamato invece dall’Agenzia delle Entrate nell’avviso di accertamento impugnato, ed avevano altresì evidenziato la circostanza che il pagamento del prezzo era stato dilazionato, e che le somme percepite dalla parte acquirente erano invece imputate esclusivamente ad un anno (2003), con conseguente aggravio delle aliquote fiscali progressive previste per I’IRPEF;
che i motivi del ricorso principale, scrutinabili congiuntamente, sono infondati e vanno rigettati per le ragioni di seguito esposte;
che, infatti, la CTR ha dimostro di avere esaminato le circostanze del caso concreto, per un verso, avendo dato atto dell’intervenuta riduzione in autotutela della maggiore imposta di registro accertata inizialmente nei confronti del contribuente, imputando al medesimo l’intera plusvalenza patrimoniale derivante dalla cessione dei terreni, solo in parte di sua esclusiva proprietà, e, per altro verso, avendo sottolineato l’erroneità della tesi erariale, basata sull’affermazione che “il valore dei beni accertato ai fini dell’imposta di registro, definito per mancata impugnazione dell’atto di accertamento è stato correttamente assunto dall’Agenzia delle Entrate quale prezzo di vendita e da esso, in mancanza di prova fornita dalla parte ricorrente circa la non coincidenza tra valore di mercato e prezzo di vendita, è stata determinata la plusvalenza tassabile ai fini delle imposte dirette”, risultando calcolata la plusvalenza senza neppure tenere conto delle somme percepite in ciascun periodo d’imposta, nonostante il pattuito pagamento dilazionato del prezzo, con conseguente applicazione sulla base imponibile IRPEF (2003) di aliquote più gravose;
che la decisione di secondo grado è conforme al diritto, e la relativa motivazione ben può essere integrata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, in quanto, come già affermato da questa Corte, “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 – che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva – esclude che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene, posto che la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Il riferimento contenuto nella detta norma all’imposta di registro ed alle imposte ipotecarie e catastali svolge una funzione esemplificativa, volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva (valore) rispetto a quella prevista per l’IRPEF (corrispettivo).” (Cass. n. 19227/2017, n. 12265/2017);
che, pertanto, la pretesa impositiva è illegittima in quanto si basa su un orientamento, ormai superato, secondo il quale l’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro legittimava l’Amministrazione finanziaria a procedere, in via induttiva, all’accertamento del reddito da plusvalenza, con conseguente onere della prova, a carico del contribuente, per superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato a quello coincidente con il valore di mercato accertato, in via definitiva, ai fini della imposta di registro;
che il rigetto del ricorso principale rende superfluo l’esame dei motivi del ricorso incidentale condizionato;
che le spese del giudizio di legittimità, anche in considerazione dello jus superveniens, sono compensate;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale, e compensa le spese del presente giudizio.
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