CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2018, n. 21107
Tributi – Attività commerciale – Studi di settore
Rilevato che
1. I.P., esercente l’attività di commercio all’ingrosso di articoli di merceria, filati e passamaneria, impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva determinato, in applicazione degli studi di settore, le maggiori imposte da lei dovute a titolo di IRPEF, IRAP ed Iva per l’anno 2000.
2. La commissione tributaria provinciale di Latina accoglieva il ricorso e l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro la decisione era respinto dalla commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, che riteneva fondata l’eccezione della contribuente in ordine alla utilizzazione di un diverso studio di settore, giudicava congrui gli elementi dalla stessa forniti a prova del minor reddito percepito, basati sulla discontinuità dell’attività esercitata, ed escludeva, per contro, la validità probatoria dei generici elementi addotti a sostegno dell’avviso di accertamento.
3. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La contribuente non si è costituita in giudizio.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., per non avere la CTR indicato nella decisione impugnata i fatti posti a fondamento della pretesa esercitata dall’Ufficio ed i motivi di censura svolti.
2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in relazione agli articoli 39 del d.P.R. n. 600/73 e 62 sexies del d.l. n. 331/93. Sostiene che la CTR ha errato nel ritenere illegittimo l’operato dell’Ufficio, che ha rideterminato il reddito, ai sensi dell’art. 62 sexies, co. 3, d.l. 331/93, in ragione delle gravi incongruenze rilevate fra i ricavi, i compensi ed il reddito dichiarato dalla contribuente e quelli fondatamente desumibili, con riferimento alla specifica attività svolta, dagli studi di settore.
3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per non aver la CTR tenuto conto delle specifiche censure da essa svolte con l’atto di appello.
4. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, l’omessa esposizione dello svolgimento del processo, richiesta dall’art. 132, co. 2 n. 4) cod. proc. civ. nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica apportatavi dall’art. 45 I. n. 69/2009, dà infatti luogo a nullità della sentenza solo quando non sia possibile ricostruire altrimenti i tratti essenziali della lite (Cass. nn. 27002/2011, 6683/2009), mentre nel caso di specie l’oggetto della controversia e le ragioni sulle quali si fonda la decisione emergono con chiarezza dalla lettura della parte motiva della pronuncia.
5. Il secondo motivo è parimenti infondato.
I cosiddetti studi di settore, introdotti dagli artt. 62 bis e 62 sexies del d.l. n. 331/93, direttamente derivanti dai “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal d.l. n. 69/89, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 154/89, idonei a fondare semplici presunzioni, sono, infatti, da ritenere supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti, che possono essere utilizzati dall’ufficio anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finché non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente (Cass. nn. 9459/2017, 30370/2017, 3302/2014): il vizio denunciato non ricorre, pertanto, nel caso in esame, atteso che la CTR, con valutazione in fatto non censurabile nel giudizio di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione, ha ritenuto che la contribuente avesse provato l’infondatezza della pretesa tributaria.
6. Anche il terzo motivo è infondato.
Questa Corte di legittimità ha infatti più volte affermato il principio secondo cui la sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero – purché il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo – dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. nn. 14786/2016, 2268/2006). Nel caso di specie la CTR da un lato ha affermato che la sentenza di primo grado, resa con ampia e diffusa motivazione, andava confermata, sì che la motivazione delle due sentenze si integra a vicenda con riguardo alla ricostruzione dei fatti ed ai motivi di censura svolti, e dall’altro ha esposto, seppure in maniera sintetica, le ragioni per le quali l’appello dell’Ufficio doveva essere respinto, avuto riguardo al fatto che, a fronte degli elementi generici sui quali si fondava l’avviso, la contribuente aveva fornito elementi a riprova della discontinuità dell’attività svolta. Mette conto considerare, poi, che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (fra moltissime, Cass. nn. 6288/2011; 27162/2009).
3. Il ricorso va, dunque, rigettato. Non si provvede sulle spese data la mancata costituzione della contribuente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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