CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2018, n. 21130
Tributi – Dichiarazione dei redditi – Accertamento – Scritture contabili – Condotta antieconomica
Ritenuto che
1. F. I. impugnava l’avviso di accertamento con cui l’agenzia delle entrate aveva elevato il reddito dichiarato per l’anno 2005 di euro 25.858,00, a fronte di ricavi dichiarati per euro 199.139,00, in relazione all’attività di somministrazione di caffè. La commissione tributaria provinciale di Benevento accoglieva il ricorso con sentenza che era parzialmente riformata dalla commissione tributaria regionale della Campania, la quale rideterminava i maggiori ricavi conseguiti in euro 25.000,00 sul rilievo che l’accertamento induttivo operato dall’ufficio era legittimo, data l’inattendibilità delle scritture contabili. Osservava la CTR che l’Ufficio: a) aveva correttamente calcolato in 8 g la polvere di caffè occorrente per una tazzina tenendo conto degli sfridi, in quanto normalmente vengono considerati 6, 5 o 7 g; b) aveva tenuto conto del fatto che l’esercizio commerciale era ubicato in zona dov’erano concentrati cinque esercizi della stessa specie; c) non aveva considerato nel suo calcolo il caffè utilizzato per preparare cappuccini e quello venduto in confezioni ai clienti. Rilevava, poi, la CTR che era eccessiva la ricarica applicata dall’Ufficio al costo del venduto relativo agli altri prodotti e che, pertanto, era equo ridurre a 25.000 i maggiori ricavi conseguiti.
2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la contribuente affidato a due motivi illustrati con memoria. L’agenzia delle entrate si è costituita in giudizio con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli articoli 39 e 42 del d.P.R. 600/73. Sostiene che la CTR non ha tenuto conto del fatto che, in presenza di scritture contabili regolari, l’Ufficio non aveva dedotto presunzioni gravi, precise e concordanti, tali non essendo la percentuale di ricarico applicata sui prodotti, sicché l’avviso di accertamento induttivo era illegittimo.
2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in quanto non è dato comprendere da quali elementi la CTR abbia tratto la conclusione che, per preparare una tazzina di caffè, sono necessari grammi 6,5-7 di polvere ed ha ridotto il reddito accertato sulla base di criteri meramente equitativi.
3. Osserva la Corte che il primo motivo è infondato. La Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare il principio secondo cui: << Sia in tema di accertamento delle imposte sui redditi che di accertamento ai fini IVA, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, sempre che la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente e sostanzialmente inattendibile, in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento dei contribuente. In siffatta ipotesi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ai fini delle imposte dirette e dell’Iva. > > (Cass. n. 6951/2017; Cass. n. 4312/2015; Cass. n. 6849/2009; Cass. n.13319/2011). La censura della contribuente involge il giudizio in fatto reso dalla CTR secondo la quale gli elementi forniti dall’Ufficio costituivano presunzioni gravi, precise e concordanti, per il che la doglianza relativa all’illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto fondato su presunzioni prive delle citate caratteristiche è infondata.
4. Il secondo motivo è parimenti infondato. La Corte di legittimità ha affermato il principio secondo cui: << Il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza nel senso precisato, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697, secondo comma, cod. civ.. >> ( Cass. n. 16531/2017; Cass. n. 9784/2010 ). Nel caso di specie la CTR, con giudizio in fatto, ha ritenuto che gli elementi forniti dall’Ufficio a sostegno della pretesa impositiva costituissero presunzioni gravi, precise e concordanti e che già si fosse tenuto conto degli argomenti addotti dalla contribuente la quale, per contro, non aveva addotto prova contraria circa la quantità di polvere di caffè reputata necessaria per preparare una tazzina di caffè.
5. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all’agenzia delle entrate le spese processuali che liquida in euro 2.200,00, oltre ad eventuali spese prenotate a debito.
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