CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2018, n. 21148
Tributi – Riscossione – Accertamento con adesione – Sospensione del termine di impugnazione dell’atto impositivo per 90 giorni conseguente alla presentazione dell’istanza di definizione da parte del contribuente – art. 12 del DLgs. 19 giugno 1997, n. 218 – Verbale di constatazione del mancato accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria – Nessuna interruzione della sospensione
Rilevato
che la contribuente aveva proposto istanza di adesione all’accertamento notificatole in data 28 marzo 2008, ma il successivo 21 maggio rinunciava espressamente ed in forma scritta alla definizione agevolata, notificando poi ricorso alla CTP in data 8 ottobre 2008;
che la CTP respingeva il ricorso nel merito, superando l’eccezione di tardività sollevata dall’Amministrazione finanziaria;
che la CTR accoglieva in via pregiudiziale l’appello incidentale dell’Ufficio, dichiarando il ricorso originario inammissibile perché tardivo, non esaminava l’appello principale della contribuente, correggendo tuttavia la motivazione della sentenza di primo grado, nel senso di specificare, all’interno delle spese di lite, la quota da intendersi per onorari e quella per diritti;
che insorge la contribuente affidandosi a tre motivi di ricorso; che si è costituita l’Amministrazione finanziaria con memoria.
Considerato
che con il primo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli articoli 21 e 62 d.lgs. n. 546/1992 in paramento all’art. 360, comma primo, n. 3 [e indica anche il 5] cod. proc. civ.;
che, nella sostanza, la contribuente lamenta come la CTR abbia interpretato la rinuncia all’adesione quale rinuncia anche al benefico della sospensione dei termini per la proposizione del ricorso;
che, secondo parte ricorrente, l’esegesi letterale delle norme in esame ricollega la decadenza della sospensione dei termini per ricorrere solo alla effettiva proposizione dell’azione o, comunque, non alla mera dichiarazione di voler proporre ricorso, né alla rinuncia al beneficio dell’adesione;
che il motivo è infondato e va disatteso;
che, infatti, questa Corte è più volte intervenuta sul punto specifico, in sintonia con il Giudice delle leggi, affermando come in tema di accertamento con adesione, la sospensione del termine di impugnazione dell’atto impositivo per 90 giorni conseguente alla presentazione dell’istanza di definizione da parte del contribuente, così come previsto dall’art. 12 del DLgs. 19 giugno 1997, n. 218, non è interrotta dal verbale di constatazione del mancato accordo tra questi e l’Amministrazione finanziaria, poiché, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, diretta a favorire il più possibile la composizione amministrativa della controversia, deve ritenersi che solo l’univoca manifestazione di volontà del contribuente possa escludere irrimediabilmente tale soluzione compositiva, attraverso la proposizione di ricorso avverso l’atto di accertamento, oppure con formale ed irrevocabile rinuncia all’istanza di definizione con adesione, facendo perciò venir meno la sospensione del temine di impugnazione. (Cass. 17439/2012, 3762/2012, 2857/2013);
che, per parte sua, la Corte costituzionale ha affermato non sembrare irragionevole neppure che la disposizione denunciata preveda che solo il contribuente possa far cessare la sospensione del termine di impugnazione proponendo ricorso avverso l’atto di accertamento, ipotesi questa equiparata dalla legge alla rinuncia all’istanza di accertamento con adesione (ultimo periodo del DLgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 3) – oppure mediante una formale ed irrevocabile rinuncia a detta istanza (Corte cost. ord. (140/2011);
che la pronuncia qui impugnata si è puntualmente attenuta a questi principi, senza che il ricorso abbia addotto ragioni che giustificano un mutamento di indirizzo del Collegio, e non merita dunque la cassazione;
che con il secondo motivo si lamenta violazione e mancata applicazione dell’art. 10, comma prima e secondo, I. n. 212/2000; dell’art. 6., comma terzo, terzo periodo, d.lgs. n. 218/1997; violazione e falsa applicazione dell’art. 21 e 62 d.lgs. n. 546/1992, in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3 [e indica anche n. 5] cod. proc. civ.;
che, nello specifico, si contesta la violazione del principio di buona fede e leale collaborazione dell’Amministrazione finanziaria per aver indicato nelle istruzioni che la proposizione del ricorso comporta automatica rinuncia all’istanza di adesione e aver poi sostenuto in giudizio che la rinuncia all’adesione comporta decadenza dalla sospensione dei termini a ricorrere; che il motivo è infondato e va disatteso;
che, infatti, le due affermazioni non sono in contraddizione, l’una indicando le conseguenze legali (rinuncia automatica) di un certo comportamento (presentazione del ricorso), l’altra affermando un principio generale e noto, ovvero che la rinuncia libera ed univoca ad una propria dichiarazione o istanza la rende priva di ogni effetto;
che con il terzo motivo si denuncia violazione e mancata applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e denunzia ai sensi dell’art. 62 d.lgs. 546/92 in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3 [e sempre n. 5] cod. proc. civ.;
che, in particolare, viene censurato come omissione di pronuncia della CTR il mancato esame del ricorso principale in appello per l’accoglimento del pregiudiziale appello incidentale contenente la riproposizione dell’eccezione di tardività;
che, pertanto, la ricorrente ripropone in questa sede la domanda sulla indicazione delle singole voci delle spese di giudizio cui la ricorrente era stata condannata in primo grado;
che il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato, in ragione del parametro di legittimità invocato;
che, in limine, merita annotare come la CTR abbia proceduto alla correzione della motivazione della sentenza di primo grado, distinguendo all’interno della somma posta a carico della ricorrente la quota per onorari e quella per diritti, da cui l’automatico calcolo degli accessori di legge, rispondendo così esplicitamente alla domanda contenuta nell’appello principale;
che, in definitiva, il ricorso è infondato e va rigettato;
che le spese della presente fase del giudizio possono essere compensate in ragione del periodo di formazione dell’orientamento giurisprudenziale di riferimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimità.
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