CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2021, n. 23384
Società di comodo – Disapplicazione – Situazioni oggettive – Assenza di strategia imprenditoriale
Rilevato che
– la I.A. s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 20 febbraio 2017, che, accogliendo l’appello incidentale erariale e respingendo il suo appello principale, ha respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’atto di diniego di disapplicazione delle disposizioni normative in tema di società non operative;
– il giudice di appello, confermando nella sostanza la decisione della Commissione provinciale, ha ritenuto che la società contribuente non avesse offerto prova dell’esistenza della dedotta oggettiva situazione di carattere straordinario che aveva reso impossibile il conseguimento di ricavi nella misura prevista dall’art. 30, I. 23 dicembre 1994, n. 724;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;
– la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis. 1 c.p.c.;
Considerato che
– con il primo motivo la società denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 30, l. n. 724 del 1994, 2, comma 36-decies e 36-undecies, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv., con modif., nella l. 14 settembre 2011, n. 148, e 2697 c.c., per aver la sentenza impugnata ritenuto che la disapplicazione della normativa dettata in tema di società di comodo presupponesse la dimostrazione della riconducibilità della non operatività della contribuente all’esistenza di un impedimento oggettivo e assoluto e non anche ad una legittima scelta economica dell’imprenditore;
– il motivo è fondato;
– i soggetti di cui all’art. 30, primo comma, l. n. 724 del 1994 (società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato) si considerano «non operativi» quando non superino il «test operatività» di cui al medesimo primo comma, ossia quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti;
– il terzo comma del medesimo articolo prevede che, in tale situazione, fermo restando l’ordinario potere di accertamento dell’Ufficio, si presume che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore ad un importo risultante dall’applicazione di criteri ivi indicati facenti leva sul valore di beni e immobilizzazioni posseduti;
– attraverso tale disciplina si è inteso disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (così, Cass., ord., 24 febbraio 2021, n. 4946; Cass., ord., 3 novembre 2020, n. 24314; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21358);
– il successivo comma 4-bis, nella formulazione applicabile al caso in esame ratione temporis, esclude dalla applicazione della richiamata disciplina antielusiva quelle società che dimostrino l’esistenza di «oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto …»;
– siffatta formulazione consegue alla modifica della norma operata con l’art. 35, comma 15, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv., con modif., dalla I. 4 agosto 2006, n. 248, che, ai fini della sottrazione dall’applicazione della disciplina antielusiva, ha fatto venir meno la necessità che tali oggettive situazioni scriminanti dovessero avere «carattere straordinario»;
– in coerenza con la richiamata ratio antielusiva che informa l’intera disciplina sulle società non operative, deve ritenersi che la nozione di impossibilità cui fa riferimento la fattispecie in esame deve essere intesa non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato (cfr. Cass., ord., 12 febbraio 2019, n. 4019; Cass. 20 giugno 2018, n. 16204; Cass., 28 febbraio 2017, n. 5080);
– l’attribuzione di un siffatto significato al concetto di impossibilità di cui alla fattispecie in esame risulta, inoltre, in linea anche con l’evoluzione normativa che ha interessato l’istituto, che, come rammentato in precedenza, ha eliminato nel comma 4-bis il riferimento al «carattere straordinario» delle oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, attenuando in tal modo il rigore della precedente formulazione e l’eccezionalità della situazione scriminante;
– la nozione di impossibilità va, dunque, intesa in senso elastico, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell’attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardi l’avvio oltre il primo periodo di imposta (così, Cass., ord., n. 24314/20);
– in tal senso, è stato affermato che può costituire elemento rilevante ai fini della sussistenza di una circostanza oggettiva idonea a superare la presunzione relativa derivante dal mancato superamento del test di operatività, il fatto che l’attività economica non sia stata posta in essere a causa della impossibilità di utilizzare un immobile per lo svolgimento dell’attività, a causa della protrazione dei lavori di realizzazione o di ritardi nel rilascio delle necessarie autorizzazioni, qualora il contribuente dimostri che le ragioni della protrazione o del ritardo non siano dipesi da un proprio comportamento, ma da ragioni estranee alla propria volontà (così, Cass., ord., 30 dicembre 2019, n. 34642);
– orbene, la Commissione regionale ha escluso che la contribuente avesse offerto la prova della ricorrenza di una siffatta circostanza, ritenendo che la non operatività della contribuente doveva ricondursi o a «un concentrarsi di eventi sfortunati … o [a] una “inettitudine produttiva” dovuta a una mancanza di strategie imprenditoriali»;
– così argomentando, non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, in quanto entrambe le cause individuate sono idonee a costituire oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento di risultati, derivanti dallo svolgimento dell’attività di impresa, conformi agli standards minimi previsti dall’art. 30;
– infatti, il riferimento al «concentrarsi di eventi sfortunati» evoca un fattore causale non riconducibile alla volontà della contribuente quanto, piuttosto, cause ad esse estranee;
– analoga considerazione può svolgersi con riferimento alla affermata «inettitudine produttiva», espressiva non già di una mancanza di volontà dell’imprenditore di svolgere l’attività di impresa, quanto di una incapacità dello stesso a raggiungere determinati risultati, voluti, ma non conseguiti per un suo deficit di capacità;
– sotto quest’ultimo profilo, può evidenziarsi che ai fini di escludere la ricorrenza della scriminante in esame non può attribuirsi rilevanza alla possibilità che l’imprenditore aveva di determinarsi diversamente nella gestione della propria impresa e di sottoporre, per tale via, a sindacato
– sia pure ai fini della sottrazione alla disciplina antielusiva – le scelte imprenditoriali;
– all’accoglimento del primo motivo di ricorso segue l’assorbimento dei motivi residui, in quanto strettamente dipendenti, con cui si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione alla mancata considerazione delle ingenti risorse finanziarie investite, in attuazione dell’oggetto sociale (secondo motivo) e la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.;
– la sentenza va, dunque, cassata con riferimento al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatti, questa Corte può decidere nel merito, accogliendo l’originario ricorso;
– in considerazione dell’assenza di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla controversa questione della individuazione della portata delle oggettive situazioni di cui alla fattispecie in oggetto, appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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