CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2021, n. 23416
Cartella di pagamento – Impugnazione – Irap non versata – Pretesa erariale successiva alla dichiarazione d’insolvenza – Recupero mediante insinuazione al passivo – Condizioni
Rilevato che
1. La C.F. S.p.A. in liquidazione e in amministrazione straordinaria, impugnava la cartella con cui le era stato intimato il pagamento di 248.634,00 euro, oltre sanzioni ed interessi per IRAP 2006-2007 non versata, rilevando che, trattandosi di pretesa erariale successiva alla data della dichiarazione dello stato d’insolvenza, il credito vantato dall’Ufficio aveva natura concorsuale ed era quindi recuperabile solo mediante insinuazione al passivo dell’amministrazione straordinaria intervenuta il 15 maggio 2007.
2. La CTP di Roma rigettava la pretesa della società, ritenendo che l’imposta dovuta fosse assoggettabile a sanzioni ed interessi per ritardato pagamento.
3. L’appello proposto dalla società avverso la decisione di primo grado veniva rigettato dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 5799/10/14, depositata il 29.9.2014.
4. Avverso tale decisione la società contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso solo Equitalia Sud s.p.a., mentre l’Agenzia delle Entrate, si è riservata di partecipare all’eventuale discussione orale ai sensi dell’art. 370 cod. proc. civ.
5. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio dell’8 marzo 2021, ai sensi degli artt. 375, ult. comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.
6. La società controricorrente Equitalia ha depositato una memoria nel termine previsto di cui all’art. 378 cod. proc. civ., insistendo nell’accoglimento delle proprie richieste
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce “nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 comma 6, e 24 Cost., 112 e 132 cod. proc. civ., 36, comma 2, n. 4, e 61 del d.lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. (ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.)”, assumendo che la motivazione della sentenza impugnata era “caratterizzata dalla totale carenza di un coerente ed autonomo iter logico ed espositivo”, non avendo i giudici di appello tenuto conto “delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello proposti dalla contribuente”, esaurendosi la motivazione in “una acritica adesione al decisum dei giudici di prime cure”.
Aggiungeva inoltre la ricorrente che “il giudice, nella discrezionalità che contraddistingue l’iter relativo alla formazione del proprio convincimento, ben può condividere il risultato ermeneutico e le valutazioni dei fatti operati da altro organo giurisdizionale al fine di utilizzarli per la propria decisione. Il limite interno alla detta discrezionalità è però costituito dall’obbligo di motivare compiutamente la decisione al fine di verificare, particolarmente in sede di legittimità, la compatibilità delle conclusioni cui è pervenuto il decidente alla cui sentenza la motivazione medesima è collegata”.
Il motivo è fondato.
Secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, la motivazione è solo apparente e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni oggettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., S.U. 03/11/2016 n. 22232). Questa Corte ha poi affermato che la motivazione per relationem è valida a condizione che i contenuti mutuati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass. S.U. 04/06/2008 n. 14814; S.U. 16/01/2015, n. 642), precisando che il giudice d’appello è tenuto ad esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado con riguardo ai motivi di impugnazione proposti (Cass. Sez. 5, 01/04/2016, n. 6326; Sez. 5, 07/08/2015, n. 16612), sicché deve ritenersi nulla – perché meramente apparente – una motivazione la cui laconicità non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione d’infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello proposti (Cass. Sez. 5, 30/07/2018; n. 20095; Sez. 5, 21/09/2017, n. 22022; e da ultimo 02/07/2020, n. 13488).
La sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., S.U., n. 8053 del 07/04/2014; nonché, Sez. 1, n. 14786 del 19/07/2016).
Nel caso di specie, la C.T.R., con una scarna affermazione di poche righe, si è limitata a richiamare le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, limitandosi ad affermare che la società aveva “ripetuto le argomentazioni già addotte in primo grado e già esaminate dai primi giudici, non apportando nulla di nuovo quali nuovi motivi o giurisprudenza, o nuovi elementi validi da esaminare”, senza tuttavia esplicitare, neppure con motivazione sintetica, il ragionamento logicogiuridico che l’ha condotta a respingere le ragioni della contribuente, ritenendo l’appello privo di nuove motivazioni idonee a contrastare la pretesa erariale.
Invero le considerazioni esposte, del tutto incongrue rispetto alle questioni prospettate dalla parte, non disvelano il percorso logicogiuridico seguito dal decidente per risolverla. Né può essere lasciato all’occasionale arbitrio dell’interprete il compito di integrare la sentenza, in via congetturale, con le più varie, ipotetiche argomentazioni motivazionali (cfr. Cass. civ. 5 agosto 2016, n. 16599), talché l’impossibilità di individuare l’effettiva ratio deciderteli rende meramente apparente la motivazione della decisione impugnata (cfr. Cass. S.U. sentenza 03/11/2016 n. 22232).
2. Restando assorbiti gli altri motivi con cui la ricorrente deduce tre ipotesi di violazione di legge, va accolto il primo motivo di ricorso con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia gli atti alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
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