CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 dicembre 2021, n. 41509
Tributi – Contenzioso tributario – Contemporanea pendenza del giudizio di cassazione e del giudizio di revocazione – Revocazione della sentenza di appello – Effetti – Inammissibilità del ricorso in cassazione per sopravvenuta carenza di interesse
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Liguria rigettava l’appello proposto da M. C. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Genova (n.2134/2015), che aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal contribuente per decorrenza del termine di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, contro l’avviso di accertamento n. TL3014102555/2014 e l’atto di contestazione delle sanzioni n. TL3C04 101181/2014, notificati il 25 agosto 2014, relativamente ad Irpef-Irap-Iva, per l’anno di imposta 2010, con aumento del reddito di lavoro autonomo, dichiarato per consulenza imprenditoriale e consulenza amministrativo-gestionale, da euro 64.302,00 ad euro 209.203,00. Il giudice d’appello, in particolare, evidenziava la tardività del ricorso di prime cure con riferimento all’atto di contestazione delle sanzioni, in quanto nel calcolo dei giorni decorrenti dalla notifica non potevano essere considerati i 90 giorni relativi alla procedura per adesione. Aggiungeva, poi, con riferimento all’avviso di accertamento, che era corretto il termine indicato dal contribuente, il quale aveva conteggiato sia i 60 giorni della sospensione feriale che i 90 giorni della procedura in adesione, sicché il ricorso era stato notificato entro i termini che scadevano il giorno 14 febbraio 2015; con riguardo all’eccezione di difetto di notifica degli atti e del questionario, la Commissione regionale osservava come fosse stata la stessa parte contribuente ad ammettere l’avvenuta notificazione di tali atti nel ricorso introduttivo del giudizio, “con ciò espressamente contraddicendo l’assunto riportato nelle motivazioni “. Tra l’altro, a riprova della piena conoscenza degli atti impositivi, il contribuente aveva presentato istanza di adesione, confermando ancora una volta la regolarità della notifica e la piena conoscenza dell’atto impositivo. L’Ufficio aveva, quindi, correttamente accertato omessi ricavi per compensi ricevuti da clienti e non riportati in dichiarazione. Le detrazioni non erano state concesse in quanto non indicate nei registri contabili.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente, depositando anche memoria scritta.
3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce la “violazione dell’art. 60, comma quarto, del d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 149 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. “. Il ricorrente ha premesso di svolgere l’attività di consulente finanziario a Londra e che l’Agenzia delle entrate sosteneva di avergli inviato presso la sua residenza di Londra il questionario n. 00301/2014, restituito poi per compiuta giacenza; il giudice d’appello ha erroneamente respinto l’eccezione di difetto di notificazione del questionario, ritenendo che la stessa parte avesse ammesso nel ricorso introduttivo del giudizio l’avvenuta notificazione dello stesso. In realtà, il contribuente ha sempre contestato la mancata notificazione del questionario n. 00301/2014, sia in primo grado, a pagina 3 del ricorso introduttivo, sia in appello, a pagina 4-5 dell’atto di gravame. Il questionario, dunque, non risulta né ricevuto né conoscibile dal contribuente. Pertanto, dalla mancata risposta al questionario non può derivare alcun effetto negativo per il contribuente, venendo meno il presupposto dell’accertamento induttivo eseguito dall’ufficio, ai sensi dell’art. 39, secondo comma, lett. d-bis, d.P.R. n. 600 del 1973.
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta “il difetto o l’apparente motivazione: violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.”. Il giudice d’appello si è limitato ad affermare che “nel merito le contestazioni dell’ufficio sono puntuali, e ricavate dai modelli 770 presentati dal contribuente. In sostanza l’ufficio ha accertato omessi ricavi per compensi ricevuti da clienti e non riportati dichiarazione “. Tale affermazione, però, oltre ad essere frutto di travisamento del contenuto dell’avviso di accertamento, da cui risulterebbe l’esatto contrario, ovvero l’equivalenza dei compensi dichiarati dal contribuente con quelli indicati nelle dichiarazioni dei sostituti d’imposta controllate dall’Ufficio, che viene fatto valere a mezzo di revocazione ex art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c., era censurata anche per difetto o apparente motivazione.
3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “l’omesso esame di fatto ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.”. Il giudice d’appello non ha tenuto conto della rettifica dell’errore inerente la composizione della clientela contenuto nello studio di settore facente parte della dichiarazione fiscale, presentata per l’anno 2010; tale rettifica era stata eseguita dal contribuente in sede processuale. Il ricorrente, sin dal ricorso introduttivo, ha evidenziato l’errore di fatto commesso nella compilazione dello studio di settore contenuto nel modello unico 2011, errore concernente l’indicazione della composizione della clientela. Si è dedotto, sia nel ricorso di primo grado che nell’atto di gravame, che i clienti che hanno corrisposto compensi al contribuente nell’anno di imposta 2010 erano costituiti solo da società di capitali, mentre non corrisponde al vero la complessiva quota del 40% di clienti diversi da società (esercenti arti e professioni, imprese individuali e persone fisiche), riportata nello studio di settore. Tale circostanza trova piena conferma proprio nelle dichiarazioni dei sostituti d’imposta, società controllate dall’Ufficio, dei quali si dà atto nell’avviso accertamento. Tale fatto, non esaminato dal giudice d’appello, è decisivo, determinando l’insussistenza dell’elemento presuntivo su cui l’Agenzia delle entrate ha fondato l’accertamento induttivo dei pretesi ricavi non dichiarati.
4. Il ricorso per cassazione è inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, essendo stata revocata la sentenza del giudice d’appello, in accoglimento del ricorso per revocazione presentato dal contribuente ai sensi dell’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c. La Commissione regionale della Liguria, con sentenza n. 504/3/2019, depositata il 30 luglio 2020, ha accolto il ricorso per revocazione presentato dal contribuente, con l’accoglimento dell’appello articolato dallo stesso. In particolare, ha accertato che il contribuente aveva come clienti esclusivamente le società di capitali che risultavano dagli atti e che l’Ufficio aveva potuto verificare in base al controllo incrociato dei dati. Pertanto, la Commissione regionale ha annullato l’avviso di accertamento e l’atto di contestazione delle sanzioni.
5. Quanto al rapporto fra il processo di cassazione ed il giudizio di revocazione si evidenzia che, mentre in precedenza, la proposizione della revocazione comportava ex lege la sospensione del giudizio di cassazione, impedendo la contemporanea pendenza dei due giudizi, l’art. 398 c.p.c., come modificato ai sensi della legge 26 novembre 1990, n. 353, consente di regola la contemporanea pendenza dei due giudizi, con un temperamento; resta salva, infatti, la possibilità per le parti di chiedere la sospensione del termine per proporre il ricorso per cassazione o del giudizio di cassazione stesso.
Si prevede infatti che “la proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre ricorso per cassazione o il procedimento relativo. Tuttavia, il giudice davanti a cui è proposta revocazione, su istanza di parte, può sospendere l’uno o l’altro fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, qualora ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta“.
6. È evidente, come rilevato dalla dottrina, che il nuovo meccanismo di interconnessione fra i due giudizi è stato inserito per impedire manovre dilatorie delle parti, tese a procrastinare il passaggio in giudicato della sentenza d’appello, con l’utilizzo strumentale dell’istituto della revocazione. È del pari evidente, come anche annotato dalla dottrina, che il giudizio di revocazione è pregiudiziale al processo di cassazione, in quanto, nell’iter logico della decisione, i vizi che si fanno valere con la revocazione, mezzo di impugnazione a critica vincolata ex art. 395 c.p.c., si collocano in un momento anteriore rispetto i vizi, che si denunciano con il ricorso per cassazione, anch’esso a critica vincolata ex art. 360 c.p.c.. La subordinazione del ricorso per cassazione al giudizio di revocazione è solo eventuale ai sensi dell’art. 398, quarto comma c.p.c., e risponde alla esigenza di assegnare priorità alla impugnazione di merito, tesa a far valere vizi di “giustizia” della sentenza, rispetto a quella di pura legittimità, che si innerva della “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”.
7. Nel caso di contemporanea pendenza del giudizio di cassazione e del giudizio di revocazione, quindi nell’ipotesi in cui il giudice del provvedimento impugnato abbia ritenuto che l’istanza di revocazione fosse manifestamente infondata (non concedendo la chiesta sospensione del termine per proporre ricorre per cassazione o il relativo procedimento), ai sensi dell’art. 398, quarto comma, c.p.c., oppure nell’ipotesi in cui la parte impugnante con la revocazione non abbia chiesto la sospensione del termine per presentare il ricorso per cassazione, deve distinguersi l’ipotesi in cui la sentenza sulla revocazione sia anteriore all’esito del giudizio di cassazione, dall’ipotesi in cui il provvedimento che chiude il processo di cassazione sia anteriore all’esito del giudizio di revocazione.
8. Se, infatti, il giudice d’appello provvede alla revocazione della propria decisione, il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse, per essere cessata la materia del contendere nel giudizio di cassazione, a nulla rilevando che la sentenza di revocazione potrebbe a sua volta essere impugnata in cassazione, giacché l’eventuale impugnazione costituisce una mera possibilità, mentre la carenza di interesse del ricorrente a coltivare il ricorso per cassazione è attuale, essendo venuta meno la pronuncia che ne costituiva l’oggetto. Alla cessazione della materia del contendere consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass., sez. 3, 2 aprile 2021, n. 9201; Cass., sez. un., 28 aprile 2017, n. 10553; Cass., sez. un., 29 novembre 2006, n. 25278; Cass., sez. 2, 12 novembre 2007, n. 23515; Cass., sez.2, 25 settembre 2013, n. 21951).
9. Il ricorrente ha prodotto in giudizio la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria n. 504/2020 che ha accolto il ricorso per revocazione presentato dal contribuente, con conseguente accoglimento dell’appello e con l’annullamento degli avvisi di accertamento impugnati.
10. Le spese del giudizio di legittimità vanno interamente compensate tra le parti, stante la sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente a proporre ricorso per cassazione.
11.Nell’ipotesi di causa di inammissibilità sopravvenuta alla proposizione del ricorso per cassazione non sussistono i presupposti per imporre al ricorrente il pagamento del cd. “doppio contributo unificato”.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso per cassazione per sopravvenuta carenza di interesse.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
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