CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 febbraio 2020, n. 4774
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Scostamento – Incongruenza
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria provinciale di Caserta , con sentenza n.2676/16 ,sez 9, rigettava il ricorso proposto dalla E. srl avverso l’avviso di accertamento TF7030300664 per Ires, Iva e Irap 2012.
Avverso detta decisione la contribuente proponeva appello innanzi alla CTR Campania che, con sentenza 9417/2017, accoglieva l’impugnazione.
Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi.
Ha resistito con controricorso la contribuente.
La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis cpc
Motivi della decisione
L’Agenzia delle Entrate deduce con il primo motivo di ricorso la nullità della sentenza in quanto supportata da motivazione meramente apparente.
Con il secondo motivo censura la decisione laddove è stato ritenuto che lo scostamento del 20% rispetto agli studi di settore non costituisse una grave incongruenza e che, comunque, tale scostamento risulterebbe giustificato dalla crisi economica del settore.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Invero, la sentenza risulta basata su una serie di argomentazioni pertinenti alla fattispecie.
In primo luogo, è stata fatta una valutazione circa la rilevanza dagli studi di settore. Inoltre si è dato conto della crisi esistente nel settore a causa dell’ingresso dei cinesi nel mercato aereonautico e della circostanza che la società ha un unico cliente e non può andare alla ricerca di compensi più remunerativi.
Ad ulteriore conferma di ciò, la sentenza ha dato atto che nel 2013 si è dovuto procedere ad una riduzione del 50% delle ore lavorative.
Tutte le citate argomentazioni portano necessariamente ad escludere che nel caso di specie si verta in tema di motivazione apparente.
Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato e per certi versi inammissibile.
Per quanto concerne la prima questione dello scostamento del 21% rispetto agli studi di settore , occorre attenersi ai principi stabiliti da questa Corte che, a più riprese, ha affermato che ” la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto dì accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. – (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012). In tale quadro complessivo è stato, così chiarito che “il tema della “grave incongruenza” appare del tutto assorbito dal procedimento in contraddittorio, potendosi affermare che legittimamente l’Ufficio procede dalla rilevazione dello “scostamento” ed incrementa il significato presuntivo ad esso attribuibile se e nella misura in cui il contribuente, intervenendo in tale istruttoria, non coopera nel proprio interesse adducendo fatti di contrasto che indichino elementi contraddittori ed avversativi rispetto a quelli provenienti da tale modalità di potenziamento del metodo di accertamento analitico-prestintivo” ed ancora che “la nozione di grave incongruenza non può essere posta avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse sicuramente al disotto od oltre tale accento di rilievo, vivendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività” (così Cass. n. 26843/2014) (Cass 22946/15).
Alla luce di tali principi del tutto corretta appare la decisione della Commissione regionale che si è ritenuta non vincolata dal mero dato numerico ma ha esaminato il contesto della situazione economica della società contribuente in relazione alle condizioni di mercato ritenendo giustificato lo scostamento dagli studi di settore.
In relazione a tale ultimo aspetto, tenendo conto di quanto in precedenza detto circa il fatto che la motivazione della sentenza risulta adeguata e non meramente apparente, si osserva che le censure mosse dall’Agenzia appaiono investire per diversi aspetti il merito della valutazione operata dalla Commissione e, come tali, si rivelano sostanzialmente inammissibili.
In ogni caso le stesse sono manifestamente infondate.
In particolare, per quanto concerne la questione secondo cui la riduzione dell’orario di lavoro sarebbe avvenuta a luglio del 2013 mentre la dichiarazione si riferiva ai redditi del 2012, è agevole osservare che l’adozione di misure come la riduzione del 50% degli orari di lavoro, data la sua gravità, non avviene nel momento in cui la crisi si manifesta ma necessariamente dopo un certo lasso di tempo in cui la crisi stessa ha prodotto i suoi effetti negativi.
Appare, dunque, del tutto conforme a logica ed alla esperienza comune la valutazione del giudice di seconde cure secondo cui la detta riduzione di orario era la dimostrazione di una crisi prodottasi già nell’anno precedente.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi circa l’altra censura relativa alla monocommittenza stante l’impossibilità per la contribuente di trovare alternative sul mercato con conseguente necessità di accettare le condizioni contrattuali offerte dall’unico cliente, a sua volta in crisi per la concorrenza cinese a basso prezzo.
Il ricorso va in conclusione respinto.
Segue alla soccombenza la condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 4000,00 oltre spese forfettarie 15% ed accessori.
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