CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 febbraio 2021, n. 4985
Tributi – Accertamenti bancari – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Rilevato che
l’Agenzia delle Entrate notificò nei confronti di G.P. un avviso di accertamento per riprese I.V.A., I.R.A.P., maggior reddito di impresa, reddito da plusvalenza e conseguenti sanzioni, relativamente all’anno di imposta 2005; che il P. impugnò detto provvedimento innanzi alla C.T.P. di Siracusa che, con sentenza 357/5/10, accolse parzialmente il ricorso;
che tale decisione fu appellata da G.P. e dall’Agenzia delle entrate, rispettivamente in via principale ed incidentale, innanzi alla C.T.R. della Regione Siciliana, sez. st. di Siracusa, la quale, con sentenza 102/16/13, depositata il 9.4.2013, respinse il gravame principale ed accolse quello incidentale. In particolare, la C.T.R., per quanto in questa sede ulteriormente interessa: (a) dichiarò inammissibili, per contravvenzione al divieto di nova in appello, i motivi di censura proposti dal contribuente avverso la decisione di prime cure e relativi (a.1) a presunti vizi della notificazione dell’avviso di accertamento, (a.2) al difetto di motivazione dell’atto impugnato, in merito al mancato riconoscimento della tassazione separata sulla contestata plusvalenza, nonché (a.3) al dedotto difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato rispetto alle sanzioni irrogate; (b) rigettò i motivi di gravame concernenti la lamentata violazione dell’art. 17, comma 1-bis, e dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973; (c) accolse l’appello incidentale proposto dall’Ufficio, in relazione al valore probatorio da assegnare agli accertamenti bancari compiuti nei confronti del contribuente per la ricostruzione del relativo reddito, difettando qualsivoglia prova – gravante sul P. – idonea ad escludere i singoli movimenti in entrata ed uscita dalle operazioni imponibili;
che avverso tale decisione G.P. ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi; si è costituita, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate;
considerato
che con il primo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. 536 (recte, 546) del 1992, per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto inammissibili, per violazione del divieto di nova in appello, i motivi di gravame concernenti l’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento ed il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, con riferimento alle plusvalenze;
che il motivo è inammissibile;
che esso pecca, infatti, di specificità (cfr. l’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.), laddove la difesa del P. si limita ad indicare le sole pagine del ricorso introduttivo del primo grado di giudizio (nonché dell’atto di appello) in cui le censure in questione sarebbero state svolte: sennonché, è consolidato il principio in virtù del quale l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo, sicché, laddove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del tantum devolutum quantum appelatum, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate (Cass., Sez. L, 8.6.2016, n. 11738, Rv. 640032-01);
che quanto precede determina l’assorbimento del secondo motivo, con il quale la difesa del P. si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 137 cod. proc. civ. per avere “sia il Giudice di prime cure che il Giudice del grado di appello…omesso di indicare le motivazioni in ordine ad censura della difesa assolutamente rilevante ai fini della decisione, essendo stata rilevata l’inesistenza della notificazione [dell’avviso di accertamento]” (cfr. p. 5 del ricorso);
che con il terzo motivo la difesa di parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la violazione o falsa applicazione dell’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 17 del d.lgs. n. 29 del 1993 (e succ. mod.), per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione “seppur carente della…delega” alla sua sottoscrizione da parte del Capo dell’Ufficio, fissata dai richiamati referenti normativi quale condizione di validità dell’atto;
che il motivo è infondato;
che esso, infatti, non si confronta con la ratio decidendi della impugnata decisione, la quale affronta espressamente la tematica della delega di firma, per affermarne l’esistenza, nella specie, sia pure nella forma di “ordine di servizio” (cfr. motivazione, p. 5, prime due righe): in tal modo, peraltro, la C.T.R. si è conformata al principio per cui la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (cfr. Cass., Sez. 5, 19.4.2019, n. 11013, Rv. 653414-01; Cass., Sez. 5, 25.9.2020, n. 20194);
che con il quarto motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla dedotta illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato, per essere stato questo emesso a seguito di revoca, in autotutela, di un precedente atto impositivo, nonostante la mancanza di elementi nuovi ed in difetto dell’indicazione dell’iter logico, delle motivazioni, degli atti e dei documenti sottesi alla sua emissione;
che il motivo è, in parte inammissibile, in parte infondato;
che va immediatamente evidenziato che, trattandosi di sentenza depositata in data 9.4.2013 – e, dunque, successivamente all’11.11.2012 – trova applicazione, rispetto alla stessa, l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nella versione novellata dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla I. n. 134 del 2012, con conseguente inammissibilità del vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria;
che, passando al dedotto error in iudicando, la censura è infondata, avendo la C.T.R. correttamente escluso l’operatività della disciplina dettata dall’art. 43 cit., per versarsi in presenza di un atto (non già modificativo o integrativo, quanto, piuttosto) integralmente sostitutivo del precedente avviso di accertamento (emesso sulla scorta di erronei criteri di imputazione e, perciò) annullato in autotutela dall’amministrazione. All’eliminazione dal mondo giuridico del provvedimento erroneamente conformato segue poi inevitabilmente – per mera conformazione alla necessitata attività imposta dalla legge e cioè per atto dovuto – l’adozione del provvedimento ritenuto conforme al precetto normativo e che sostituisce il precedente ormai cassato (cfr. anche, in motivazione, Cass., Sez. 6-5, 6.12.2016, n. 25023, Rv. 642029-01);
che con il quinto ed ultimo motivo, infine, la difesa del P. lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.) la violazione dell’art. 35, comma 22, del d.l. n. 223 del 2006, nonché l’omessa, insufficiente e contradittoria motivazione, per avere la C.T.R. “disatteso le istanze difensive, proposte in maniera coincidente sia in primo che in secondo grado (motivo n. 4 in entrambi i ricorsi) ed ha ritenuto inammissibile la proposta eccezione ritenendola inammissibile ex art. 57, primo comma, d.l.gs 546/1992” (cfr. ricorso, terzultima p, sub 5);
che il motivo è, sotto molteplici profili, inammissibile;
che va anzitutto ribadito che, trattandosi di sentenza depositata in data 9.4.2013 – e, dunque, successivamente all’11.11.2012 – trova applicazione, rispetto alla stessa, l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nella versione novellata dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla I. n. 134 del 2012, con conseguente inammissibilità del vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria. Quanto, poi, alla dedotta violazione dell’art. 35 cit., la censura in esame non si confronta con la motivazione della decisione impugnata la quale – contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del contribuente (cfr. ricorso, pp. 10, ult. cpv., 11 e 12) – ha evidenziato come i dati sulla cui scorta l’Ufficio ha proceduto al calcolo della plusvalenza ascritta al P. siano emersi dalle dichiarazioni rilasciate dallo stesso contribuente in sede di contraddittorio procedimentale (cfr. motivazione, p. 6, secondo cpv.) e non già dall’applicazione, alle compravendite in questione, del criterio del “valore normale”;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso vada rigettato, con la condanna di G.P. al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t., delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Per l’effetto, condanna G.P. al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t., delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 4.100,00 (quattromilacento/00), oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di G.P., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
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