CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 febbraio 2022, n. 6290

Imposta di registro, ipotecaria e catastale – Cessioni fra privati – Base imponibile – Valore dell’immobile – Deroga – Criterio del prezzo-valore – Condizioni di applicabilità

Fatti rilevanti e ragioni della decisione

§ 1. L’Agenzia delle Entrate propone due motivi di ricorso principale per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, in parziale accoglimento dell’appello di parte contribuente, ha ritenuto illegittimo, nella parte irrogativa delle sanzioni e ferma restando la rideterminazione di valore come operata dai primi giudici, l’avviso di accertamento notificato a V.A. ed a V.M. in recupero della maggiore imposta di registro ed ipocatastale sul rogito registrato il 7 agosto 2008 n. 7017/1T.

Rogito avente ad oggetto la cessione tra le parti di nuda proprietà in permuta di costituzione di usufrutto su alcuni immobili già in loro comproprietà, e fatto oggetto di autoliquidazione d’imposta secondo la disciplina del c.d. ‘prezzo-valorè ex art.1 co. 497 l. 266/2005 (valore catastale moltiplicato per i coefficienti ministeriali).

La commissione tributaria regionale, per quanto qui ancora interessa, ha osservato che:

– la facoltà di liquidare l’imposta di registro, ipotecaria e catastale in base al valore catastale moltiplicato, in luogo del prezzo dichiarato, era applicabile anche agli atti di permuta, come riconosciuto dall’amministrazione finanziaria con la Risoluzione n. 320/E del 9 novembre 2007;

– avendo essa natura agevolativa, incidente non solo sulle imposte qui dedotte ma anche su quelle reddituali, doveva tuttavia essere riconosciuta secondo parametri di stretta interpretazione;

– in particolare essa richiedeva, ai sensi della disposizione indicata, la formale ed espressa richiesta in atto, nella specie mancante;

– non sussistevano tuttavia i presupposti per l’applicazione delle sanzioni ex articolo 6, comma 2^ d.lvo 472/97, stante l’obiettiva condizione di incertezza normativa.

Si è costituito con controricorso Massimo Verdiani, anche in qualità di erede di A.V., formulando altresì un motivo di ricorso incidentale.

I contribuenti hanno depositato memoria.

§ 2.1 Con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle Entrate lamenta – ex art.360, co.1^, n.3) cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt.6 d.lgs. 472/97, 10, co. 3^ l.212/00, 8 d.lgs 546/92 e 2697 cod.civ..

Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto non applicabili le sanzioni, nonostante che la norma fosse obiettivamente chiara nel richiedere la formale richiesta in atto del regime del ‘prezzovalorè, e che non sussistesse alcuna incertezza applicativa né pluralità di interpretazioni possibili. Neppure, questi elementi, astrattamente legittimanti la disapplicazione delle sanzioni ai sensi della normativa indicata, erano stati allegati e dimostrati dai contribuenti.

Con il secondo (subordinato) motivo di ricorso principale si lamenta – ex art.360, co.1^, n. 4 cod.proc.civ. – nullità della sentenza per motivazione apodittica e contraddittoria in punto disapplicazione delle sanzioni. Per avere la commissione tributaria regionale omesso di spiegare le ragioni per le quali si verterebbe nella specie di obiettiva incertezza interpretativa, cadendo inoltre in evidente contraddizione là dove, per un verso, aveva ritenuto necessaria la richiesta dell’agevolazione in atto così come prescritta univocamente dalla disposizione, salvo poi apoditticamente concludere nel senso dell’incertezza interpretativa.

§ 2.2 Con l’unico motivo di ricorso incidentale, il Verdiani deduce – ex art.360, co.1^, n.3) cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’art.1 co. 497 l. 266/05.

Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto necessario che la richiesta del regime agevolativo fosse formalmente contenuta in una clausola dell’atto di trasferimento, senza considerare che, nel caso di specie, l’intenzione delle parti di accedere al regime del “prezzo – valore” risultava comunque palese dalle locuzioni utilizzate dalle parti nel rogito (nel quale venivano “esposti” i valori imputati sia alla nuda proprietà sia alla costituzione di usufrutto in permuta), e dalle modalità di calcolo dei valori imponibili esplicitati nell’atto stesso.

§ 3.1 Va prima affrontato il motivo di ricorso incidentale, in quanto logicamente e giuridicamente prioritario.

Esso è infondato.

Stabilisce l’art.1 co. 497 l. 266/05 che: “In deroga alla disciplina di cui all’articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e fatta salva l’applicazione dell’articolo 39, primo comma, lettera d), ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto. Le parti hanno comunque l’obbligo di indicare nell’atto il corrispettivo pattuito. Gli onorari notarili sono ridotti del 30 per cento.”

Quella per il criterio c.d. del ‘prezzo-valore costituisce dunque un’opzione agevolativa che consente alle parti dell’atto (in presenza di determinati requisiti soggettivi ed oggettivi, qui ininfluenti) di derogare al criterio generale di tassazione sulla base del valore di mercato degli immobili, a favore di un parametro matematico (valore catastale moltiplicato per i coefficienti normativi) ritenuto in concreto più conveniente.

In tal maniera la legge persegue la finalità di prevenire prassi elusive o evasive di occultamento dei corrispettivi effettivamente pattuiti.

La natura prettamente agevolativa dell’istituto è stata evidenziata anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.6/2014 nella quale, dichiarando illegittimo l’art. 1 co. 497 cit. nella parte in cui ammetteva all’opzione soltanto gli acquirenti in regime di libero mercato non anche quelli in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto, il giudice delle leggi ha tra il resto osservato che: “la norma oggetto di scrutinio esprime anche un’evidente valenza agevolativa, laddove consente al contribuente di non scegliere immancabilmente, tra i diversi criteri di determinazione della base imponibile, quello fondato sul valore “tabellare” (che potrebbe essere meno vantaggioso in situazioni congiunturali avverse), bensì quello ritenuto meno oneroso e quindi più conveniente”.

Ed è proprio questa natura agevolativa ad imporre, secondo parametri di stretta interpretazione, che l’esercizio dell’opzione avvenga in condizioni di univocità e certezza, solo in presenza delle quali ha modo di operare la preclusione accertativa di maggior valore che ne consegue e ne costituisce l’essenza.

Varie pronunce di questa Corte di legittimità hanno subordinato, seppure in contesti diversi dal presente, la necessità che la scelta per il criterio del ‘prezzo – valore risulti da una specifica “dichiarazione” resa in tal senso dalle parti; così nel caso di esercizio dell’agevolazione successivamente al formarsi del giudicato sul contratto preliminare ex articolo 2932 cod.civ. (Cass.n. 5751/18), ovvero successivamente alla divisione giudiziale (Cass.n. 8610/21). In nessun caso si è ritenuto che il requisito formale della esplicitazione in atto del regime agevolativo possa essere esautorato a favore di un criterio interpretativo che valorizzi il comportamento delle parti ovvero la loro intenzionalità comunque ricostruibile.

In linea più generale si è affermato (Cass.n. 8009/13) che “le agevolazioni tributarie non necessitano di una espressa richiesta, se non nei casi in cui sia la legge a prevedere l’indispensabilità di un’istanza del contribuente o una sua necessaria collaborazione, che consista nel manifestare determinate intenzioni cui siano ricollegabili i benefici o nell’indicare qualità proprie o caratteristiche del bene, non conosciute in generale dall’Amministrazione (…)”.

Orbene, i requisiti che, secondo questo indirizzo, rendono necessaria una espressa richiesta di agevolazione sono qui riscontrabili, dal momento che è lo stesso art.1 co. 497 cit. a testualmente subordinare il trattamento di favore alla “richiesta della parte acquirente resa al notaio”, e che questo regime presuppone – come detto – una valutazione discrezionale di convenienza che non è immanente nel tipo di atto, potendo infatti dipendere da una serie di variabili non note all’amministrazione finanziaria.

Per contro, la tesi sostenuta dai contribuenti non può trovare condivisione, dal momento che la previsione di legge circa la necessità di richiesta al notaio non può che riferirsi all’emersione di questa richiesta proprio nell’atto di trasferimento presentato per la registrazione; sia perché l’imposta di registro mantiene tipica connotazione di imposta “d’atto”, sia perché la prescrizione di legge implica che il notaio riporti nell’atto tutte le dichiarazioni di rilevanza fiscale a lui rivolte dalle parti contraenti.

Sotto altro aspetto, poi, neppure può ritenersi che la mancata esplicitazione in atto del regime agevolativo prescelto in alternativa alla regola generale di determinazione dell’imponibile possa essere surrogata dal contegno delle parti nell’esposizione in atto dei valori a loro giudizio tassabili (anche se infine rispondenti al valore catastale moltiplicato), dal momento che quest’ultimo criterio può apparire di per sé incerto e foriero di dubbi nell’orientamento della potestà accertativa dell’ufficio, così da evidentemente confliggere con l’esigenza di univocità ed immediata percezione dell’opzione che la legge persegue nel fare testuale riferimento alla necessità di esplicita ‘richiestà.

§ 3.2 Venendo ai motivi del ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate, si riscontra la fondatezza della prima doglianza, con assorbimento della seconda (di natura dichiaratamente subordinata).

La Commissione Tributaria Regionale ha escluso l’applicazione delle sanzioni “atteso che la violazione contestata riguarda la esplicita dichiarazione nell’atto di permuta oggetto dell’accertamento, ricorrendo l’impossibilità di individuare univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica applicabile al caso di specie”.

Contrariamente a questa affermazione, ‘la norma giuridica applicabile al caso di speciè era qui agevolmente individuabile nell’art. 1 co. 497 l. 266/05; e, come si è detto, si trattava di una norma che richiedeva chiaramente, ed anzi testualmente, quale presupposto di riconoscimento dell’agevolazione secondo il criterio tabellare, la espressa richiesta.

Neppure i contribuenti avevano sollevato dubbi circa ‘la norma giuridica applicabile al caso di speciè, limitandosi ad offrirne una interpretazione palesemente infondata.

D’altra parte, né la commissione tributaria regionale nella sentenza qui impugnata e neppure i primi giudici hanno mostrato dubbi di sorta tanto nell’individuazione della norma di riferimento, quanto nella sua esatta interpretazione sul punto specifico della necessità di espressa dichiarazione in atto.

In materia non sussisteva alcun fatto-indice (non indicazioni amministrative contraddittorie ovvero oscure; non oscillazioni giurisprudenziali di legittimità o merito; non sovrapposizione o successione di leggi non coordinate nel tempo ecc…) che potesse ingenerare ragionevoli equivoci nel contribuente che, volendo usufruire della tassazione più favorevole, veniva dalla legge richiesto di semplicemente farne espressa menzione nell’atto da presentare alla registrazione.

Secondo l’art.6 d.lgs. 472/97: “2. Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento”; (…)

4. L’ignoranza della legge tributaria non rileva se non si tratta di ignoranza inevitabile (…).”

Si è in proposito stabilito (v. Cass.n. 4169/20; 32082/19 ed altre) che: “in tema di sanzioni per violazioni delle norme tributarie, l’obiettiva ‘incertezza normativa tributarià, caratterizzata dall’impossibilità di individuare con sicurezza, al termine di un procedimento interpretativo corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, si distingue dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto – come emerge dall’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997, che distingue le due figure pur ricollegandovi i medesimi effetti – e costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria“; e, inoltre, che (Cass.n.3108/19 ed altre): “in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi dell’art. 10 della l. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione“.

E’ dunque evidente come facessero nella specie difetto tutti questi requisiti esimenti, sicché la decisione qui censurata risulta in effetti violativa della disciplina di riferimento.

§ 4. Segue pertanto, in accoglimento del ricorso principale dell’agenzia delle entrate ed in rigetto del ricorso incidentale di parte contribuente, la cassazione in parte qua della sentenza impugnata; non essendo necessari accertamenti di fatto, sussistono ex art.384 cod.proc.civ. i presupposti per la decisione nel merito mediante dichiarazione di applicabilità delle sanzioni.

Le spese di lite vengono compensate (per il consolidarsi in corso di causa dei richiamati indirizzi) quanto al merito, e poste a carico dei contribuenti quanto a quelle del presente giudizio di legittimità; la liquidazione avviene come in dispositivo.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso principale dell’agenzia delle entrate, respinto quello incidentale di parte contribuente;

– cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e decide nel merito dichiarando applicabili le sanzioni;

– condanna parte ricorrente incidentale alla rifusione delle spese di lite del presente grado di giudizio, che liquida in euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito; compensa le spese del merito;

– v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.