CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 gennaio 2019, n. 2017
Tributi – Alternatività tra imposta di registro ed IVA – Cessione di immobile strumentale ad attività agricola – Imponibilità IVA
Motivi in fatto
C. F. propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, avverso la sentenza della C.T.R. del Piemonte n. 65/1/11 depositata in data 19.5.2011; la CTR, accoglieva l’appello dell’Ufficio riformando la sentenza della CTP di Torino su controversia avverso un avviso di liquidazione emesso a seguito della omessa fatturazione del corrispettivo sulla vendita di un’area fabbricabile, costituente imponibile IVA e non, come invece ritenuto dalla contribuente, soggetto ad imposta di registro.
La CTR osserva che l’immobile era strumentale all’attività agricola esercitata, sicché la cessione risultava imponibile IVA.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Motivi in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art.177, comma 1 , lett. A) c.c., dell’art. 2082 c.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2 comma 1 e dell’art.4, comma 1, dpr 26.10.1972, n.633. Denunzia ai sensi dell’art. 62, decreto legislativo 31.12.1992, n. 546 e art. 360 n.3 e n.5 c.p.c.
Lamenta in particolare che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto sussistere il requisito soggettivo la cui mancanza, invece, escludeva l’imponibilità dell’operazione ai fini IVA, in quanto il bene le era pervenuto per donazione del padre e acquisto nella sfera privata.
2. Con il secondo motivo la contribuente deduce violazione e mancata applicazione dell’art. 65 DPR 22.12.1986, n. 917; dell’art. 2217 c.c., dell’art. 2710 c.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2 comma 1 e dell’art. 4 comma 1 DPR 26.10.1972 n.633. Denunzia ai sensi dell’art.62, decreto legislativo 31.12.1992, n. 546 e art. 360 n.3 e n.5 c.p.c..
3. Le censure possono essere trattate congiuntamente in quanto strettamente connesse.
Esse non sono fondate.
È incontestato che la contribuente sia un imprenditore agricolo.
Secondo l’orientamento più risalente di questa Corte (Cass. 20 novembre 2008 n. 27576 e Cass. 10 febbraio 2001 n. 1935) la cessione di terreno edificabile da parte di un imprenditore agricolo non potrebbe in nessun caso soddisfare il presupposto soggettivo IVA, atteso che i terreni edificabili non possono costituire oggetto dell’impresa agricola di cui all’art. 2135 c.c., non essendo destinati a coltivazione, silvicoltura e allevamento.
Alla stregua di altro orientamento (Cass. 2 ottobre 1999 n. 10943 e Cass. 3 aprile 2000 n. 3987) va esaminata concretamente la destinazione che l’imprenditore agricolo (cedente) abbia dato al terreno edificabile, riconoscendo: – l’imponibilità IVA della cessione operata dall’imprenditore agricolo che abbia destinato il terreno all’attività (agricola) dell’impresa;- l’estraneità all’IVA e la soggezione all’imposta di registro proporzionale alla cessione di terreno edificabile che, pur essendo appartenente all’impresa agricola, sia estraneo all’attività della stessa.
Secondo questa impostazione, in breve, ove il terreno edificabile non sia mai stato coltivato, ovvero non sia mai stato destinato all’attività agricola, pur appartenendo al patrimonio dell’imprenditore agricolo, non rientra nella sua “attività” e, pertanto, la sua cessione risulta fuori campo IVA.
Invece, ove il terreno edificatale sia stato in qualche modo destinato all’attività agricola, ad esempio essendo stato coltivato per un determinato periodo di tempo, la cessione risulterebbe imponibile IVA, soddisfacendo il presupposto impositivo del tributo sul valore aggiunto.
4. La giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass. 5366/1999; Cass. 27576/2008; Cass. 8327/2014; Cass.3436/ 2015 ; Cass. 15007/2015), dalla quale questo collegio ritiene di non discostarsi, si è di recente consolidata nel senso che un terreno edificabile, di proprietà e coltivato da un imprenditore agricolo, non può esser compreso tra i beni strumentali da assoggettarsi a IVA in caso di cessione ad altro soggetto, allorché l’immobile abbia acquisito una destinazione (edificatoria) diversa da quella originariamente goduta.
Invero il terreno che da agricolo diviene edificabile si trasforma in un bene diverso da quello che era in precedenza, nel senso che lo stesso può essere appunto edificato, tanto che il suo costo e la sua appetibilità commerciale aumentano. E aumentano proprio in ragione della trasformazione da bene che serve per la produzione agraria, a bene che consente di costruire e vendere abitazioni o altro (Cass. sez. trib. n. 8327 del 2014; Cass. sez. trib. n. 27576 del 2008; Cass. sez. n. 5366 del 1999). L’orientamento appena richiamato è stato altresì confermato da Corte giust. UE sez. Il n. 180 del 2011, per cui «La cessione di un terreno destinato alla costruzione deve considerarsi soggetta all’IVA a norma della legislazione nazionale di uno Stato membro, se tale Stato ha fatto uso della facoltà prevista all’art. 12 n. 1 della direttiva 28 novembre 2006 n. 2006/112/Ce, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva del Consiglio 19 dicembre 2006 n. 2006/138/Ce, indipendentemente dal carattere stabile dell’operazione o dalla questione se la persona che ha effettuato la cessione eserciti un’attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, nei limiti in cui l’operazione stessa non costituisca il mero esercizio del diritto di proprietà da parte del suo titolare. Per contro, una persona fisica che ha esercitato un’attività agricola su un fondo rustico riconvertito, in seguito ad una modifica dei piani regolatori locali sopravvenuta per cause indipendenti dalla sua volontà, in terreno destinato alla costruzione, non può essere ritenuta soggetta all’IVA ai sensi degli art. 9 n. I e 12 n. 1 della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2006/138, quando essa intraprende la vendita del suddetto fondo rustico, se tali vendite si iscrivono nell’ambito della gestione del patrimonio privato della persona stessa. Pertanto il trasferimento di un terreno dapprima agricolo poi divenuto edificabile per successiva modifica del piano regolatore deve considerarsi fuori del campo di applicazione di tale imposta».
5. Nella specie non è mai stato dedotto che il terreno abbia acquisito una destinazione (edificatoria) diversa da quella goduta, sicché la cessione risulterebbe imponibile IVA, soddisfacendo il presupposto impositivo del tributo sul valore laddove il terreno sia stato destinato all’attività agricola.
La CTR con accertamento di fatto insindacabile in questa sede ha ritenuto che l’alienante non aveva provato che il bene non fosse strumentale all’attività agricola esercitata; il giudice di appello ha evidenziato come la presunzione in base alla quale un terreno di proprietà di persona fisica titolare di impresa esercente l’attività agricola sia a quest’ultimo strumentale era stata, invece, corroborata dall’Ufficio con il riscontro delle dichiarazioni dei redditi dalle quali emergeva l’utilizzo dei terreni nel contesto dell’impresa agricola individuale. Inoltre la CTR ha rilevato che l’annotazione effettuata sul registro IVA integrava un elemento meramente formale inidoneo a superare l’effettività della destinazione di fatto all’esercizio dell’attività svolta.
6. Le censure motivazionali non conferiscono al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742/2015).
Di conseguenza, il preteso vizio di motivazione “può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” (ex multis, Cass. n. 8718/2005). Inoltre, l’omissione o insufficienza della motivazione resta integrata solo a fronte di una totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero di una palese illogicità del tessuto argomentativo, ma non anche per eventuali divergenze valutative sul significato attribuito dal giudice agli elementi delibati, non essendo il giudizio per cassazione un terzo grado di merito (Cass. S.U. n. 24148/2013; Cass. n. 12779/2015 e n. 12799/2014).
Del resto, esercitandosi l’ufficio motivazionale su un percorso argomentativo che presuppone, in ragione della natura presuntiva dell’accertamento, la selezione del materiale indiziario e quindi la valutazione degli elementi provvisti della necessaria concludenza probatoria, il riesame di essi che si richiede laddove non siano evidenziabili vizi logici, costituisce accertamento di merito che esula notoriamente dai limiti del controllo di logicità della motivazione affidato a questa Corte.
La CTR ha dato conto di avere esaminato gli elementi forniti ed ha effettuato una adeguata disamina della realtà fattuale, rendendo, così, possibile il controllo sulla logicità del ragionamento sviluppato per giungere alla rassegnata decisione.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte contribuente al pagamento delle spese processuali che liquida in €4000,00 oltre alle spese prenotate a debito.
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