CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 gennaio 2019, n. 2132
Tributi – ICI – Garage e box auto interrato nell’area pertinenziale al proprio fabbricato, classificata zona verde – Vincolo pertinenziale con l’immobile – Esclusione dell’area dall’assoggettamento all’ICI – Sussiste
Rilevato che
– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini ICI relativo all’anno di imposta 2011, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR, ritenuto ammissibile il ricorso d’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, in quanto rispettoso delle prescrizioni di cui all’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992, lo accoglieva sostenendo che il contribuente aveva realizzato un garage ed un box auto interrato nell’area pertinenziale al proprio fabbricato, classificata zona verde, avvalendosi della c.d. legge Tognoli, provvedendo poi all’accatastamento dell’autorimessa «per il quale esiste un vincolo pertinenziale con l’immobile non essendone possibile la vendita disgiunta»;
– avverso tale statuizione l’Ente comunale propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui replica l’intimato con controricorso;
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il ricorrente ha depositato memoria;
Considerato che
1. Il primo motivo di ricorso, con cui il comune ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992, sostenendo che aveva errato la CTR ad escludere l’inammissibilità del ricorso d’appello perché carente del requisito di specificità dei motivi, è manifestamente infondato e va rigettato, ponendosi la statuizione impugnata in sintonia con l’orientamento di questa Corte che, in materia, ha affermato il principio in base al quale «nel processo tributario, soddisfatto il requisito della specificità dei motivi di appello ove le argomentazioni svolte, correlate con la motivazione della sentenza impugnata, ne contestino il fondamento logico-giuridico, non richiedendosi necessariamente una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate che possono, invece, essere ricavate anche implicitamente, sia pure in maniera univoca, dall’atto di impugnazione considerato nel suo complesso» (Cass. n. 9083 del 2017; nonché Cass. n. 1200 del 2016 e, da ultimo, Cass. n. 4482 e n. 8248 del 2018), essendo sufficiente che l’appellante «svolga il motivo di appello in modo incompatibile con la complessiva argomentazione della decisione impugnata sul punto, posto che l’esame dei singoli passaggi della stessa è inutile, una volta che l’appellante abbia esposto argomentazioni incompatibili con le stesse premesse del ragionamento della sentenza impugnata» (Cass. n. 15936 del 2003).
1.1. Nel caso di specie dal contenuto dell’appello, riprodotto per autosufficienza nel ricorso, si evince che l’appellante ha mosso alla statuizione di primo grado una serie di censure che, a prescindere dalla loro fondatezza, anche ove fossero state ripetitive delle argomentazioni svolte nel ricorso introduttivo, erano comunque idonee a contrastare le argomentazioni svolte dai primi giudici, avendo l’appellante eccepito addirittura la nullità della sentenza «in quanto del tutto priva di una valida motivazione», e quindi evidenziato l’errore in cui era incorsa la CTP per avere «confuso l’imposta sul fabbricato, regolarmente pagata con quella eventuale sull’area pertinenziale» (ricorso in esame, pag. 13). E ciò avrebbero dovuto indurre la CTR a ritenere sussistente il requisito di cui all’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 e procedere all’esame nel merito di quei motivi.
2. Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 del d.lgs. n. 504 del 1992, censura la sentenza impugnata per avere i giudici d’appello erroneamente attribuito rilevanza alla natura pertinenziale dell’area fabbricabile ove il contribuente aveva realizzato le opere regolarmente assentite dall’Ente, sostenendo, altresì, che un’area, «quand’anche pertinenziale ad un fabbricato, dev’essere assoggettata ad imposizione» ai fini ICI, a meno che non sia «oggetto di una modificazione oggettiva e funzionale che ne sterilizzi completamente qualsiasi possibilità di impiego a fini edificatori».
3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto controverso tra le parti e decisivo per il giudizio, rappresentato dalla realizzazione da parte del contribuente di un garage e di un box interrato sull’area edificabile di proprietà dello stesso.
4. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati e vanno rigettati.
5. Occorre preliminarmente premettere che nel caso di specie costituiscono dati incontrovertibili: a) che il contribuente ha realizzato il garage ed il box interrato nell’area pertinenziale al fabbricato di proprietà del medesimo (sentenza, pag.3), avendo lo stesso ricorrente affermato che «l’area in questione (…) era adibita ad uso giardino», avente «le caratteristiche soggettive e oggettive per costituire, ai fini I.C.I., una pertinenza effettiva, concreta e durevole all’abitazione principale», su cui «in base al piano urbanistico allora vigente, non poteva essere vantato alcun diritto edificatorio» (ricorso, pag. 17); b) che il contribuente per poter realizzare le opere edilizie si era avvalso della c.d. legge Tognoli (legge n. 122 del 1989) che consente di ottenere «esclusivamente un permesso di costruzione su terreni privi di indice di edificabilità» (sentenza, pag. 3); c) che per le opere realizzate «esiste un vincolo pertinenziale con l’immobile non essendone possibile la vendita disgiunta» (sentenza, pag. 3). Circostanze, quelle sub a) e b) affermate dalla CTR e mai censurate.
6. Ciò posto, deve ricordarsi che questa Corte in tema di ICI insegna che «è esclusa l’autonoma tassabilità di area pertinenziale ad un fabbricato ove ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi di cui all’art. 817 c.c., restando irrilevante il regime di edificabilità attribuito dallo strumento urbanistico all’area pertinenziale nella ricorrenza di un effettivo asservimento della stessa all’immobile principale» (Cass. n. 1390 del 2016; in termini, Cass. n. 6501 del 2005, n. 14809 e n. 22128 del 2010, n. 25170/13, n. 15668/17 nonché Cass. n. 13606 del 2018, ma anche Cass. n. 25127 del 2009 citata dal ricorrente, con la precisazione, però, che diversamente da quanto sostiene quest’ultimo, la c.d. sterilizzazione in concreto e stabilmente dello ius edificandi presuppone l’esistenza di un’area edificabile, nella specie invece esclusa).
7. Sulla base di questo indirizzo, è dunque evidente come la commissione tributaria regionale, all’esito del vaglio del quadro istruttorio, correttamente ritenendo sussistente la natura pertinenziale dell’area in questione, in quanto provvista di una reale destinazione di asservimento al fabbricato (come peraltro espressamente ammesso dal ricorrente), priva di originario «indice di edificabilità» (che comunque, sulla scorta del citato principio giurisprudenziale, è circostanza irrilevante in presenza di vincolo pertinenziale) e su cui le opere erano state realizzate in forza della legge n. 112 del 1989 (c.d. Legge Tognoli), che all’art. 9 consente la realizzazione di parcheggi pertinenziali in deroga alle norme urbanistiche e ai regolamenti edilizi vigenti, ha giustamente escluso tale area dall’assoggettamento all’I.CI.
7.1. Si tratta di un convincimento compiutamente argomentato e conforme a diritto, che non trova smentita nella tesi – invero erronea perché in palese contrasto con il sopra citato indirizzo giurisprudenziale sostenuta del ricorrente nel secondo motivo, secondo cui l’assoggettamento all’ICI dell’area in questione derivava dall’ottenimento dei permessi edilizi per costruire, che avevano fatto mutare la destinazione dell’area, facendola divenire edificabile, e che rende del tutto irrilevante – prima ancora che infondata – anche l’omessa considerazione del fatto che il contribuente in quell’area aveva realizzato le opere assentite.
8. Quindi, alla stregua delle superiori considerazioni, non smentite dalle argomentazioni svolte dal ricorrente nella memoria depositata ai dell’art. 380-bis, secondo comma, ultima parte, c.p.c., in cui vengono sostanzialmente ribadite le tesi sostenute nel ricorso, quest’ultimo va rigettato ed il ricorrente, rimasto soccombente, condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l.n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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