CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 gennaio 2020, n. 1685
Indennità di disoccupazione – Non spettante – Ripetizione della somma – Verbale di accertamento ispettivo -Disconoscimento rapporto di lavoro
Rilevato che
la Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da T.T., diretta ad accertare l’illegittimità della pretesa dell’Inps di procedere alla ripetizione della somma di € 20.110,48, relativa a indennità di disoccupazione non spettante nel periodo 1/1/2005 – 31/12/2009;
la Corte territoriale rilevava che il giudice di primo grado “ha ritenuto … che la prova del versamento dell’indennità in parola fosse <documentata> dai prospetti allegati alla produzione di primo grado dell’Istituto e che le ragioni giustificative della pretesa restitutoria potessero rinvenirsi nelle risultanze del verbale di accertamento ispettivo del 13.4.2010, all’esito del quale era stato disconosciuto il rapporto di lavoro formalmente instaurato tra T.T. e L.B.”, soggiungendo che tali affermazioni non avevano costituito oggetto di censura da parte dell’appellante, il quale non aveva contestato la regolarità formale e la veridicità contenutistica dei prospetti prodotti dall’Istituto – nei quali erano “agevolmente riscontrabili sia i singoli numeri matricola, accompagnati dal codice fiscale e dalla data di nascita del T., relativi a ciascun provvedimento di liquidazione dell’indennità di disoccupazione che le modalità di versamento (a mezzo di pagamento diretto) della provvidenza nonché l’ammontare del debito e la sua causale (non risulta iscritto negli elenchi agricoli)”;
avverso la sentenza propone ricorso per cassazione T.T. sulla base di unico articolato motivo;
l’Inps resiste con controricorso;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
Considerato che
Con l’unico motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto assolto l’onere della prova gravante a carico dell’Inps sull’effettiva erogazione della indennità di disoccupazione, oltre a violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;
rileva che, se pur vero che in materia di richiesta di restituzione dell’indennità di disoccupazione agricola, laddove sia disconosciuta la sussistenza di un rapporto subordinato in agricoltura, grava sul lavoratore l’onere di provare la sussistenza del rapporto ex art. 2094 c.c., tuttavia tale onere è subordinato alla precisazione, nel provvedimento amministrativo di recupero del credito, degli estremi del pagamento, corredati dalla sintetica indicazione delle ragioni che non legittimerebbero la corresponsione delle somme erogate, così da consentire al debitore di effettuare i necessari controlli sulla correttezza della pretesa, laddove la comunicazione dell’istituto datata 3/3/2015 non rivestiva gli indicati requisiti: in assenza di tale indicazione e in costanza di contestazione della percezione delle somme di cui è richiesta la restituzione, l’onere di dimostrare di non averle ricevute, integrante probatio diabolica, non poteva essere addossato al ricorrente ma incombeva sull’Inps la prova dell’avvenuta erogazione, essendo a tal fine insufficiente la produzione dei prospetti degli archivi informatizzati dell’Istituto;
il motivo è inammissibile per quanto attiene al vizio di motivazione, dedotto con formulazione che esula dai parametri prescritti dalla nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. 8053/2014), nonché quanto alla censura attinente alla violazione dell’art. 2697 c.c., poiché nessuna violazione dell’onere della prova è ravvisabile nel ragionamento della Corte territoriale che ha ritenuto idonei a dimostrare l’avvenuta corresponsione delle somme richieste in ripetizione i prospetti prodotti dall’Istituto, non contestati quanto alla regolarità formale e alla veridicità contenutistica, nei quali erano agevolmente riscontrabili sia i singoli numeri di matricola, accompagnati dal codice fiscale e dalla data di nascita del T., relativi a ciascun provvedimento di liquidazione dell’indennità di disoccupazione che le modalità del versamento, a mezzo di pagamento diretto della provvidenza, nonché l’ammontare dell’indebito e la sua causale, relativa alla mancata iscrizione negli elenchi agricoli;
va richiamato in proposito il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in forza del quale “nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della “relevatio ad onere probandi”, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte”, con conseguente insindacabilità di tale apprezzamento in sede di legittimità (Cass. n. 3680 del 07/02/2019, conforme Cass. n. 27490 del 28/10/2019);
alla luce della ritenuta valenza probatoria dei prospetti allegati dall’Inps, poi, nessuna violazione dell’art. 2033 c.c. è ravvisabile;
in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza, non potendo trovare applicazione il disposto di cui all’art. 152 disp. Att. C.p.c. in assenza di trascrizione e specifica localizzazione di idonea dichiarazione sostitutiva;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 2.500,00 di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.