CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 giugno 2020, n. 12468
Contenzioso tributario – Procedimento – Atti impugnabili – Diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela – Impugnabile solo per eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, non per la fondatezza della pretesa tributaria
Rilevato che
– in controversia relativa ad impugnazione di un diniego di istanza di autotutela avanzata dalla contribuente con riferimento ad un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2009, con cui l’amministrazione finanziaria recuperava a tassazione la quota di plusvalenza realizzata a seguito di vendita di un terreno edificabile, di cui la contribuente D.G. era comproprietaria unitamente a F. e A.P., e che la stessa aveva definito con atto di adesione del 18/05/2015, versando anche la prima rata, con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado e, sulla premessa che l’adesione all’accertamento era stata presentata «sulla base di una pretesa erariale fondata sul falso presupposto dell’esistenza di una plusvalenza già affrancata con il versamento dell’imposta sostitutiva», in quanto oggetto di rivalutazione ai sensi della legge n. 448 del 2001 effettuata dai comproprietari nel 2002, riteneva illegittimo il diniego opposto dall’amministrazione finanziaria all’annullamento dell’atto impositivo che, così come statuito dai giudici di primo grado, doveva considerarsi «illegittimo sotto il profilo motivazionale e sostanziale, in quanto il rifiuto di annullamento di un accertamento privo di presupposto impositivo e comportante una doppia imposizione, risulta contrario alle norme che regolano l’esercizio del potere/dovere di autotutela»;
– avverso tale statuizione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di due motivi, cui non replica l’intimata;
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 d.lgs. n. 546 del 1992 e 2 d.lgs. n. 218 del 1997, e, richiamando i principi espressi da questo Giudice di legittimità (Cass. n. 25135 del 2018 e n. 18999 del 2018) e della Corte costituzionale (sent. n. 181 del 2017), sostiene che aveva errato la CTR nel ritenere illegittimo il diniego di autotutela proposto non per motivi riguardanti la legittimità del rifiuto ma per contestare la fondatezza della pretesa tributaria.
2. Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 218 del 1997, sostenendo che la CTR non aveva considerato che la disposizione censurata vietava espressamente l’impugnabilità di un accertamento che, come nel caso di specie (tanto emergendo anche dalla sentenza impugnata), era stato definito con adesione.
3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti alla stregua del consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui «In tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo» (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 7616 del 28/03/2018, Rv. 647518 – 01). Principio ribadito da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 21146 del 24/08/2018 (Rv. 650057 – 01) secondo cui «Nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente» (in termini oltre a Cass., Sez. U., n. 2870 del 2009 e n. 3698 del 2009, anche Cass. n. 17374 del 2017 nonché Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 21146 del 24/08/2018, Rv. 650057; Ordinanza n. 4937 del 20/02/2019, Rv. 652951; Ordinanza n. 5332 del 22/02/2019, Rv. 652959; Ordinanza n. 24032 del 26/09/2019, Rv. 655055).
4. Va peraltro rilevato che questa Corte, pronunciando nell’analogo giudizio promosso dal comproprietario F. P. (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 9370 del 2019), ha escluso che «la circostanza fatta valere dal contribuente (essere stato l’accertamento fondato su di un falso presupposto, in quanto la plusvalenza tassata con adesione sarebbe stata già in precedenza affrancata con il versamento dell’imposta sostitutiva) sia un evento di tale rilevanza da poter assurgere al rango di un rilevante interesse generale, tale da legittimare l’autotutela, in quanto detto interesse generale non può consistere nella mera deduzione di un’imposizione erronea, come tale riferibile esclusivamente all’interesse personale del contribuente di evitare una tassazione superiore rispetto a quella ritenuta giusta (cfr. Cass. n. 1965 del 2018; Cass. n. 7616 del 2018; Cass. n. 8947 del 2018).
5. A quanto fin qui detto deve ricordarsi che, in tema di imposte sui redditi, avverso l’accertamento definito per adesione è preclusa ogni forma d’impugnazione e, pertanto, devono ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso in quanto esse costituirebbero una surrettizia forma d’impugnazione dell’accertamento in questione che, invece, in conformità alla “ratio” dell’istituto, deve ritenersi intangibile (in termini, Cass. n. 13129 del 2018).
5. In estrema sintesi, il ricorso proposto dall’amministrazione finanziaria va accolto e la sentenza impugnata va cassata con decisione nel merito, ex art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, di rigetto dell’originario ricorso della contribuente che va condannata, altresì, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo, mentre vanno compensate le spese dei gradi di merito in ragione dei profili sostanziali della vicenda processuale.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente che condanna al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito, compensando le spese processuali dei gradi di merito.
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