CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 giugno 2021, n. 18193
Tributi – Riscossione – Crediti tributari – Azione revocatoria di atto di compravendita di immobili – Lesione della garanzia patrimoniale
Rilevato che
E.G. SpA, quale agente della riscossione per la provincia di Roma del tempo, evocava in giudizio la società A. s.r.l. e D. Immobiliare s.r.l. chiedendo la dichiarazione dì inefficacia, ai sensi dell’articolo 2901 cc, dell’atto di compravendita del 15 febbraio 2007 mediante il quale la società A. aveva trasferito alla s.r.l. D. dieci immobili ad uso abitazione e un terreno agricolo, deducendo di essere creditrice della prima società, sulla base di cartelle di pagamento per l’importo di euro 890.000 circa e che ricorrevano i presupposti per l’azione revocatoria, in quanto le due società avevano analogo oggetto sociale ed erano riconducibili al medesimo gruppo familiare, atteso che l’amministratore unico dell’acquirente era la madre dell’amministratore dell’altra società e gli altri soci erano parenti. Inoltre, l’atto sarebbe stato stipulato nella consapevolezza di ledere la garanzia patrimoniale e la compravendita avrebbe determinato una obiettiva diminuzione della garanzia, sul presupposto della conoscenza della lesività dell’atto, attesi gli stretti rapporti di parentela esistenti tra gli amministratori ed i soci delle parti contrattuali; si costituivano le convenute A. s.r.l. e D. Immobiliare s.r.l. chiedendo il rigetto della domanda; interveniva il terzo, S.P. s.p.a, deducendo di vantare un ulteriore credito e insistendo per la declaratoria di inefficacia;
il Tribunale di Roma rigettava la domanda, rilevando che in conseguenza del parziale pagamento, il debito si era affievolito e così il presupposto oggettivo dell’azione; inoltre, non sussistevano gli ulteriori requisiti, atteso che la cartella esattoriale era stata notificata al debitore alcuni mesi dopo la conclusione dell’atto. Analoghe considerazioni riguardavano la posizione del terzo intervenuto;
avverso tale decisione proponeva appello soltanto Equitalia, insistendo per l’accoglimento della domanda di inefficacia e inopponibilità dell’atto di compravendita. Si costituiva la s.r.l. A. chiedendo il rigetto dell’impugnazione. All’udienza del 13 novembre 2015 Equitalia chiedeva e otteneva di integrare il contraddittorio nei confronti del socio unico di D. Immobiliare che, nelle more del giudizio era stata cancellata dal registro delle imprese. Giuseppe Giugno, socio unico di D., non si costituiva, come pure la S.p.A. S.P.; la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 14 dicembre 2018, accoglieva l’impugnazione ritenendo sussistenti tutti i presupposti per l’azione revocatoria e dichiarava l’inefficacia dell’atto di compravendita, provvedendo sulle spese di lite; avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione A. s.r.l. affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate – Riscossione.
Considerato che
con il primo motivo si deduce la violazione degli articoli 2901 e 2697 cc attesa l’insussistenza dei crediti e considerato il contrasto con le evenienze processuali. In particolare, la Corte d’Appello non avrebbe considerato che il Tribunale, nel rigettare la domanda proposta da Equitalia, con riferimento specifico alla riduzione dell’originario credito posto a sostegno dell’azione revocatoria, aveva ritenuto provata la riduzione del credito sulla base di atti che non erano stati oggetto di contestazione da parte della società attrice. In particolare, Equitalia non avrebbe contestato gli atti di assenso all’estinzione dei crediti riferibili a singole cartelle, per cui il Tribunale, sulla base dei documenti non contestati, aveva affermato che l’originario credito di euro 890.000 circa, si era ridotto dell’ammontare di euro 597.000 circa, cui avrebbe dovuto aggiungersi l’estinzione dell’ulteriore credito di euro 78.000 circa. Rispetto a tale assetto probatorio la Corte ha affermato che Equitalia avrebbe tardivamente contestato lo sgravio del credito portato dalle cartelle in questione, soltanto in appello. Sotto altro profilo la Corte avrebbe erroneamente affermato che l’odierna ricorrente non aveva contestato nel giudizio di appello gli estratti di ruolo depositati da Equitalia, peraltro privi di sottoscrizione;
il motivo è inammissibile, perché non idoneo a censurare la decisione impugnata. Con riferimento all’elemento oggettivo del credito vantato da Equitalia, la Corte d’Appello ha fondato la decisione su due autonome argomentazioni, ognuna idonea a sorreggere la statuizione. In primo luogo, ha precisato che il profilo relativo alla riduzione dell’originario credito risultava contestato sulla base del contenuto degli estratti di ruolo depositati da Equitalia e non censurati in appello da A. s.r.l. Con autonoma argomentazione, ha correttamente richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il profilo della diminuzione del credito, comunque sussistente e significativo, non incide sulla fondatezza della domanda ai sensi dell’articolo 2901 c.c. poiché l’atto del quale si chiede la dichiarazione di inefficacia rende certamente più difficoltosa la esecuzione del credito. Sotto tale profilo, pur volendo accedere alla tesi della ricorrente, residuerebbe un significativo credito di oltre euro 210.000 per sola sorte capitale, idoneo a fondare la pretesa di Equitalia. In questa sede preme rilevare che tale seconda argomentazione della Corte d’Appello non è adeguatamente censurata e ciò rende, altresì, inammissibile, ai sensi dell’articolo 100 c.p.c., il motivo riferito alla prima argomentazione;
ma anche con riferimento alla questione della contestabilità o meno del credito, che secondo la ricorrente si sarebbe considerevolmente assottigliato, la censura è inammissibile perché dedotta in violazione dell’articolo 366, no n. 6 c.p.c, atteso che la S.r.l. A., per sostenere la novità delle eccezioni che si assumono formulate da Equitalia per la prima volta in appello, avrebbe dovuto trascrivere la propria comparsa di costituzione depositata nel giudizio di secondo grado o riportarne, quantomeno, i passaggi significativi, con i quali sarebbe stata dedotta la novità e conseguente inammissibilità delle eccezioni. Analoghe considerazioni riguardano la presunta contestazione, da parte di A. s.r.l., in sede di appello, degli estratti di ruolo depositati in quella sede da Equitalia e che la Corte territoriale assume non essere stati contestati;
con il secondo motivo si lamenta la violazione delle medesime disposizioni con riferimento al requisito oggettivo. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente applicato il principio di presunzione di lesività per la garanzia patrimoniale degli atti di trasferimento (a titolo gratuito), al negozio oggetto di revocatoria, pacificamente oneroso. Ciò avrebbe determinato un’illegittima inversione dell’onere della prova, in quanto incombeva su Equitalia la dimostrazione dell’incapienza del residuo patrimonio del debitore. Tale prova non sarebbe stata fornita dall’appellante;
il motivo è infondato. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del consolidato principio secondo cui l’atto dispositivo integra il requisito dell’eventus, non solo nel caso in cui il trasferimento comprometta totalmente la consistenzi patrimoniale del debitore, ma anche quando determini, come nel caso di specie, una variazione quantitativa, tale da rendere più incerta la soddisfazione del credito. Tale principio opera indipendentemente dalla natura dell’atto di trasferimento (a titolo oneroso o gratuito). In ogni caso l’onere di dimostrare l’idoneità del patrimonio residuo è a carico del debitore; con il terzo motivo si deduce la violazione delle medesime disposizioni con riferimento ai requisiti soggettivi.
Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non ricorrerebbe la prova della consapevolezza del pregiudizio, neppure da parte del terzo. In ogni caso, trattandosi di atto a titolo oneroso incombeva sull’attore la prova della consapevolezza della variazione quantitativa o qualitativa del patrimonio e della maggiore difficoltà del soddisfacimento del credito;
il motivo è inammissibile perché censura sostanzialmente la valutazione del materiale probatorio, effettuata dal giudice di merito, richiedendo alla Corte di legittimità un’inammissibile ricostruzione alternativa della vicenda prospettando una soluzione più appagante rispetto a quella posta a sostegno della decisione impugnata. Sotto altro profilo si contesta la sussistenza di elementi presuntivi, deducendo genericamente che la prova dell’elemento soggettivo non avrebbe potuto fondarsi su presunzioni e che, comunque, l’onere di dimostrare quell’elemento ricadeva su Equitalia. Sotto tale profilo la doglianza è assolutamente generica e, in ogni caso, non è consentito censurare il ragionamento del giudice di merito fondato sulla prova per presunzioni, senza richiamare la violazione delle norme che presiedono alla disciplina di tale prova e senza contestare specificamente i profili di gravità, precisione e concordanza degli elementi presi in esame dalla Corte territoriale. In sostanza, parte ricorrente censura la valutazione del materiale probatorio e la disciplina della prova per presunzioni al di fuori dei casi di cui a Cass. Sez. U, n. 1785 del 2018;
peraltro, la Corte d’Appello ha individuato gli elementi posti a fondamento della propria decisione, riferita ad un credito sorto in data anteriore alla compravendita, facendo corretta applicazione del principio che consente di fondare sulle presunzioni l’elemento soggettivo riferito, sia alla posizione del debitore, che del terzo, atteso che la consapevolezza da parte di quest’ultimo va accomunata a quella del debitore ed entrambe possono essere provate per presunzioni (Cass. 18 giugno 2019 n. 16221);
ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in € 6000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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