CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 giugno 2021, n. 18210
Tributi – Accertamento bancario – Redditi di lavoro autonomo – Versamenti su conto corrente non giustificati – Presunzione di compensi non dichiarati – Deducibilità dei costi
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate notificava a L.F., dipendente part time del Comune di Paupisi e ingegnere con partita Iva, un avviso di accertamento con il quale, in relazione all’attività professionale svolta, recuperava a tassazione, per l’anno di imposta 2005, maggiori ricavi derivanti da versamenti sul conto corrente ritenuti compensi percepiti, a fronte di prestazioni non fatturate e costi indeducibili.
Il contribuente proponeva ricorso e la CTP di Benevento lo accoglieva.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la CTR della Campania lo accoglieva con sentenza n. 56/33/13, depositata il 19.2.2013 sul presupposto che a fronte delle prove documentali offerte dall’ufficio il contribuente non aveva dimostrato che i movimenti sul conto corrente professionale erano stati tenuti in considerazione nella determinazione del reddito complessivo. Con riferimento ai costi portati in detrazione la CTR rilevava che non era stata dimostrata la strumentalità del bene rispetto alla attività esercitata.
Il contribuente ricorre per la cassazione della sentenza con nove motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 n. 4c.p.c.la violazione dell’art. 112 c.p.c.
Lamenta che la CTR aveva ampliato causa petendi e petitum rispetto alle contestazioni poste a base dell’avviso di accertamento.
La censura è infondata per difetto di autosufficienza.
Il ricorrente non esplicita in cosa consisterebbe il preteso ampliamento e quale parte della sentenza avrebbe violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. L’affermazione contenuta nella sentenza a tenore della quale il contribuente, avrebbe dovuto provare che i movimenti sul conto corrente professionale erano stati tenuti in considerazione nella determinazione del reddito professionale è coerente con le contestazioni di cui all’avviso di accertamento, come trascritto dallo stesso ricorrente.
2. Con il secondo, terzo e quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 2697 c.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del DPR n. 600/1973, per errata sussunzione dell’accertamento nella tipologia induttiva ed assenza del presupposti legittimanti l’accertamento induttivo puro.
3. Con il quinto motivo il ricorrente deduce omessa motivazione su fatto decisivo e controverso rappresentato dai presupposti per procedere all’accertamento induttivo.
Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta.
Esse sono inammissibili.
L’accertamento oggetto di causa è un accertamento analitico induttivo ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) del DPR n. 600/1973, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, basato su dati desunti direttamente dalla contabilità e dai documenti forniti dal ricorrente ed in particolare da versamenti in contanti sul conto corrente.
La sentenza impugnata non fonda in alcun modo la propria decisione sui presupposti dell’ accertamento induttivo puro.
Secondo la giurisprudenza pressoché unanime della Corte, alla quale questo Collegio intende dare continuità, già nella vigenza del testo antecedente alla modifica introdotta dall’art. 1 comma 402 della legge 31.12.2004 n. 311 (che ha aggiunto la parola “o compensi”), la presunzione stabilita dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo cui sia i prelevamenti che i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività (se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito) era applicabile non solo al reddito di impresa in senso stretto ma anche ai redditi di lavoro autonomo, dovendosi ritenere che il termini “ricavi” figura impiegato in una accezione ampia, riferibile non solo ai componenti positivi del reddito di impresa di cui agli artt. 85 e 109 del Tuir, ma anche e più in generale ai proventi derivanti da ogni attività di lavoro autonomo di cui all’art. 53 Tuir. (conformi: Sez. 5, Sentenza n. 14041 del 27/06/2011, n. 4601/2002, n. 11750/2008, n. 430/2008, n. 11750/2008, n. 14026/2012; Cass.23709/2019; difforme n. 27845/2018).
La Corte costituzionale, con sentenza n. 228 del 2014, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 32 comma primo n. 2 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 nella parte in cui, con riferimento ai lavoratori autonomi, prevede che i prelevamenti costituiscano presunzione di maggiori compensi, restando invece invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili (Sez. 5, Sentenza n. 16697 del 09/08/2016; Sez. 6-5 n. 7951 del 2018).
La CTR ha, invero, ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, analitico-induttivo in cui non si prescinde completamente dalle scritture contabili, ma si integrano le risultanza delle stesse per mezzo dell’utilizzo di prove presuntive a fronte della deduzione delle quali il contribuente può sia dimostrare l’illogicità della presunzione, sia dare prova contraria alle sue risultanze; la CTR (pronunciando correttamente quanto al diritto) ha in fatto ritenuto logica la presunzione e non fornita la prova contraria.
4. Con il sesto motivo deduce l’inammissibilità dei motivi di appello per violazione dell’art. 53D.Ivo546/92 e conseguente giudicato interno formatosi in punto di esistenza ed inerenza delle prestazioni rese da B.L. s.r.l. ed E. s.n.c. nonché di esistenza ed inerenza delle operazioni rese da E.T. s.r.l.
La censura non è fondata.
Come riconosciuto dallo stesso contribuente l’Agenzia in sede di appello ha censurato la sentenza di primo grado con riferimento all’inerenza dei costi e all’onere della prova. La contestazione sull’inerenza evidentemente condiziona la valutazione della deducibilità dei costi.
In ogni caso, questa Corte ha generalmente ritenuto (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 20379 del 24/08/2017) che in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi dell’ art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni.
Nella fattispecie che occupa dallo stesso ricorso del contribuente si evince che l’appellante ha diretto specifiche censure volte a contestare le conclusioni alle quali è addivenuto il primo giudice, e non mere generiche critiche.
5. Con il settimo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 n.3cp.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento alla ripartizione dell’onere della prova sulla inesistenza e sulla inerenza dei costi.
6. Con l’ottavo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 comma 1lettd) del d.lgs 600/73 e degli artt. 2727 e 2729 c.c.
Con entrambi i motivi censura la sentenza impugnata con riferimento alla ripartizione dell’onere della prova sulla inesistenza e sulla inerenza dei costi.
La censura non è fondata.
Il ricorrente richiama malamente la giurisprudenza di questa Corte in materia di prova di operazioni inesistenti.
La contestazione in esame riguarda invece l’inerenza dei costi documentati.
La CTR ha ritenuto che i costi dedotti non fossero inerenti in quanto non era stata dimostrata la strumentalità del bene acquistato alla attività esercitata.
Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 21980/15, n. 21446/14, n. 24426/13, n. 9108/12, n. 5748/10), sia in tema di imposizione diretta sia in tema di Iva, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell’impresa solo se redatta in conformità ai requisiti di forma e di contenuto prescritti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, ed idonea a rivelare compiutamente natura, qualità e quantità delle prestazioni attestate.
La parte contribuente può comunque integrare il contenuto della fattura con elementi di prova idonei a dimostrare la deducibilità dei costi (Cass. n. 1147/2010).
E’ altresì consolidato il principio secondo cui sia ai fini della deduzione dei costi in tema di imposte dirette sia ai fini di detrazione Iva, incombe sul contribuente l’onere di provare l’inerenza del bene o del servizio acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o del servizio all’esercizio dell’attività medesima (cfr. Cass. n. 13300/17, Cass. n. 18475/16, Cass. n. 21184/14, Cass. n.16853/13).
Si è su tale questione ulteriormente chiarito che in tema di accertamento delle imposte sui redditi l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina di cui al D.P.R. n. 597 del 1973, che del D.P.R. n. 917 del 1986, incombe al contribuente (cfr. Cass. n. 23626/2011)
7. Con il nono motivo deduce, in relazione all’art. 360comma 1 n. 5 omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Pretermissione immotivata dei mezzi di prova prodotti.
La censura è fondata per quanto di ragione.
Con riferimento al recupero dei compensi corrisposti alla ditta E.T. s.r.l. la CTR ha rilevato come mancasse anche la prova della certezza del costo, non essendo stato possibile effettuare il relativo riscontro in quanto la società cui avrebbe corrisposto i compensi non aveva prodotto la dichiarazione dei redditi.
Nulla ha osservato la CTR, invece con riferimento ai compensi corrisposti alla B. e L. s.r.l. e alla E. s.n.c.
A tanto provvederà il giudice di rinvio.
Il nono motivo di ricorso deve essere, pertanto, accolto limitatamente alla deduzione dei costi corrisposti alla B. e L.w s.r.l. e alla E. s.n.c. e la sentenza cassata con rinvio alla CTR della Campania anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il nono motivo di ricorso per quanto di ragione, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania anche per le spese del giudizio di legittimità.
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